Non chiamatela nazionalista. Lei si definisce patriota. Né di destra né di sinistra, ma per una Francia di nuovo libera e sovrana. E contro chi usa la definizione classica “estrema destra”, Marine Le Pen è arrivata a minacciare azioni legali, così almeno racconta Le Nouvel Observateur. Un messaggio elettorale che prova, almeno a parole, a staccarsi dalle vecchie categorie, per investire l’eredità del padre – nazionalista dell’ultradestra francese già ai tempi di de Gaulle – contro la moneta unica e l’eurocrazia.
Alle amministrative del marzo scorso i francesi che sono andati a votare l’hanno premiata dandole legittimazione e accrescendo le sue quotazioni. Ma è anche vero che il tasso di astensione ha toccato il 35 per cento, e i cugini d’Oltralpe, oltre alla disaffezione per la politica, non hanno risparmiato due bacchettate alle principali forze dell’Esagono: i socialisti di François Hollande e l’Ump dell’ex presidente Nicolas Sarkozy.
A guadagnare punti e municipalità è stata lei, Marine Le Pen, presidente del Fronte nazionale dal gennaio 2011. Da quando il padre Jean-Marie le passava il testimone alla guida del partito di estrema destra e xenofobo ha proceduto a un restyling con le liste Bleu Marine, puntando il dito contro austerità e rigore e dichiarando guerra al Leviatano europeo, il mostro burocratico che uccide la libertà del popolo francese.
La Le Pen, 45 anni, ha aderito al partito diciottenne e ha iniziato la sua carriera politica al Circolo nazionale degli studenti di Parigi , movimento vicino al “partito di famiglia”, dove ha militato durante gli studi in legge. Poi è approdata al servizio giuridico del Front national e ha raggiunto il primo mandato politico come consigliere regionale. Nel 2004 ha ottenuto infine lo scranno a Bruxelles, combattendo per un decennio da pasionaria euroscettica. Secondo Madame Le Pen l’Unione europea è una prigione per i popoli, che ha dimostrato la sua inefficacia su ogni fronte. Il suo obiettivo è fermarne l’avanzamento, fare marcia indietro nel processo di integrazione e difendere la Francia a Bruxelles e a Strasburgo. La sua battaglia procede sempre insieme al padre, anche lui al Parlamento europeo dal 2004. Peccato che secondo Votewatch, organizzazione indipendente che promuove la trasparenza nel decision making europeo, entrambi siano tra i meno presenti alle votazioni in plenaria. La figlia al numero 701 su 766, il padre al 709.
Figlia d’arte, con il Trota Renzo Bossi sembra avere in comune non solo un posto in Consiglio regionale agli esordi della carriera, ma anche le simpatie leghiste. L’alleanza con il Carroccio alle prossime Europee è stata suggellata dal segretario Matteo Salvini, mentre Beppe Grillo le ha dato il benservito perché «di appartenenza politica diversa» (della serie “discriminazioni tra euroscettici”). Le Pen, con o senza 5 Stelle, conta di creare un gruppo al Parlamento europeo per legare i partiti “sovrani” di Francia, Olanda, Austria, Belgio, Svezia e Italia. Per farlo le servono 25 europarlamentari di almeno 7 Paesi membri. E l’obiettivo non è affatto lontano.
Dall’intesa politica annunciata lo scorso 13 novembre all’Aja tra lei e il leader del Pvv Geert Wilders (l’antislamista che ha fondato il Partito per la libertà olandese) emerge una questione che, a nostro avviso, merita di essere spiegata. Visto che forse per la prima volta nell’Ue due formazioni tradizionalmente considerate nazionaliste firmano insieme un programma elettorale transnazionale. Scelta di lungo periodo o di una tattica elettorale?
Lei ha commentato così: «Ci terrei a precisare che non abbiamo firmato nessun accordo. Il nostro è stato un incontro ufficiale per annunciare agli elettori europei che una collaborazione tra partiti sovrani è possibile per sconfiggere il mostro burocratico e federale europeo. Che ha fallito su tutti i fronti: da quello economico a quello sociale, senza contare l’immigrazione di massa. Non esiste nessun programma, né alleanza pre-elettorale. Tutti i nostri incontri riguardano esclusivamente la possibilità di formare, dopo le elezioni, un gruppo parlamentare autonomo nel Parlamento europeo».
(Introduzione di Silvia Ricciardi)
INTERVISTA A MARINE LE PEN
(Estratta dall’e-book di Guido Bolaffi e Giuseppe Terranova, Marine Le Pen &Co. Populismi e neopopulismi in Europa, goWare, 2014)
Come lei stessa ha dichiarato all’Aja e in un’intervista al Financial Times del 10 gennaio, l’obiettivo principale dell’intesa con Geert Wilders è quello di «mettere insieme tutti i movimenti patriottici del Vecchio Continente per liberare i cittadini dal mostro di Bruxelles». Con quali proposte concrete chiede il voto ai cittadini europei? E in particolare, cosa che in Italia fa molto discutere, liberare i cittadini dal mostro di Bruxelles significa uscire dall’Euro?
Per mettere in piedi un’opposizione parlamentare efficace e costruttiva è indispensabile formare un gruppo autonomo. Solo così è possibile ricoprire posizioni chiave nelle Commissioni parlamentari e proporre emendamenti nelle sessioni della plenaria. Visto che i parlamentari Non Iscritti sono discriminati, cosa che è uno scandalo. I nostri economisti considerano l’euro un esperimento fallimentare di massa. Il partito olandese di Geert Wilders ha commissionato da poco uno studio, NExit, realizzato da un istituto indipendente. Dal quale emerge che è più conveniente uscire dall’euro che rimanerci. E che l’uscita dalla moneta unica garantirebbe crescita e occupazione nelle nostre nazioni.
Nello scenario post-elettorale, nel caso in cui riuscirete ad avere una sufficiente forza all’interno del Parlamento Europeo come ritenete di condizionare la nomina dei vertici europei? Ad esempio qual è il vostro candidato alla Presidenza della Commissione?
Noi disprezziamo e detestiamo l’ultra liberale, filo-globalizzazione Commissione Europea. Comunque vada una cosa è certa non giocheremo mai questa partita pensata soltanto per dare una piccola legittimità alla Commissione. Ecco perché non abbiamo nessun candidato da proporre come Presidente. Continueremo ad essere fermi sulle nostre posizioni.
Sull’immigrazione, com’è noto, lei ha fatto della preferenza nazionale un suo cavallo di battaglia. Bene. Ma come si concilia la libertà di mercato, che come sa segue logiche diverse da quelle politiche, con l’imposizione di una riserva nazionale? La storia dice che fino ad oggi nessuno ci è mai riuscito. Qual è in concreto la sua ricetta?
Di quale storia parla? Purtroppo molti esperti non capiscono bene di cosa si parla. Preferenza nazionale significa garantire diritti economici e sociali in primis alle persone che hanno la cittadinanza ( a prescindere dalla razza o dalla religione). È una cosa corretta, logica ed equilibrata. Per secoli gli Stati hanno dato priorità ai nazionali e succede ancora oggi in molti Paesi del mondo come gli Stati Uniti e la Cina. Solo i demagoghi di Bruxelles, con la loro propaganda ultraliberale sono convinti di avere ragione.
Noi non crediamo che l’Unione europea riuscirà ad avere rapporti commerciali di successo col mondo intero, né che abbia l’intelligenza di proteggere i nostri cittadini e i nostri mercati dalle devastazioni della globalizzazione. D’altronde, cosa è diventata la globalizzazione? Avere Paesi Terzi schiavi che producono cose che acquistano cittadini occidentali disoccupati e indebitati? Mi preme sottolineare che l’Ue è l’unica area del mondo che non registra né crescita, né occupazione. La follia dell’euro e dell’austerity stanno distruggendo persino Paesi nostri come la Grecia. Questo esperimento deve finire. Solo un’Europa delle nazioni e dei popoli liberi costruita su una collaborazione in alcune indispensabili materie può avere successo. Dobbiamo mantenere la pace, e cooperare ,certo, ma tenendo conto delle profonde differenze che esistono fra di noi. I cugini non possono vivere sotto lo stesso tetto.