«Sporco». Il direttore dell’Aifa, Luca Pani, definisce così in commissione Sanità in Regione Lombardia il laboratorio degli Spedali Civili di Brescia. Lo aveva già descritto come un luogo ampiamente inadeguato durante la seduta della commissione Stamina in Senato. Ora spiega meglio che cosa vuole dire: «Il laboratorio è sporco in Gmp». L’acronimo vuol dire Good manufacturing practices, buone pratiche di fabbricazione. Sono quelle che vanno seguite per garantire le condizioni di sicurezza nella produzione dei farmaci. E anche per le cosidette terapie cellulari avanzate come le cellule staminali mesenchimali usate da Stamina. Sporco, nel linguaggio tecnico di Pani, vuol dire non sterile. E mostra delle foto: nel laboratorio di Brescia ci sono telefoni, sedie. In un qualsiasi laboratorio Gmp gli ambienti sono spogli, molto spogli. I pochi che entrano dentro sono vestiti con delle tute bianche. In un laboratorio Gmp possono stare pochissime persone autorizzate, generalmente i tre responsabili. Ci sono percorsi in cui passare gradualmente alla condizione ottimale di sterilità. Ci sono camere grigie, meno sterili. E camere bianche totalmente incontaminate.
Il chiarimento di Pani non è solo un tecnicismo formale. Perché proprio sulla difesa della buona onorabilità del laboratorio si è concentrata e incaponita la Regione Lombardia in questi anni in cui l’unico atto formale che ha fatto entrando nella vicenda Stamina è stato proprio l’intervento ad adiuvandum degli Spedali Civili di Brescia, nel ricorso al Tar contro l’ordinanza di blocco che, lo ha ripetuto ancora una volta il direttore generale dell’Aifa Luca Pani, «non vietava al laboratorio di continuare la normale attività, quella delle staminali del sangue, che non sono terapie cellulari avanzate. Semplicemente vietava la prosecuzione della produzione cellulare di Stamina».
Così qualche minuto dopo nell’audizione successiva dell’assessore alla Ricerca Mario Melazzini, che il 25 ottobre 2012, data della deliberazione regionale di sostegno ai Civili, si era appena insediato come assessore alla Sanità (ma era già in Regione come direttore generale della sanità, nominato al posto di Carlo Lucchina, finito in mezzo a una serie di inchieste, ndr), incalzato da Umberto Ambrosoli del Patto civico, ammette «di non aver letto bene quella delibera» per una evidente fretta, ma di averla sostenuta proprio perché «c’era il rischio che l’onore del laboratorio in generale fosse compromesso». Perché l’assessore (che oltretutto ha dichiarato più volte pubblicamente il suo dissenso rispetto alla vicenda Stamina) si ostina a dirlo quando le carte ufficiali hanno smentito questa linea di difesa?
Andiamo a vedere che cosa dice la deliberazione di Giunta del 2012: «L’odierno atto di intervento è finalizzato a sostenere l’azione di contestazione del provvedimento assunto da Aifa al precipuo fine di scongiurare il consolidamento di una determinazione che si reputa illegittima, destinata inevitabilmente a creare un vulnus ai livelli di affidabilità e prestigio ad oggi riconosciuti alla struttura e alla A.O. di Brescia nel suo complesso».
Il Tar, nella sentenza del 28 novembre 2013, risponde così mettendo fine a qualsiasi battaglia di difesa lumbard: «Il detto laboratorio è una struttura pubblica, per molti altri ed esaustivi aspetti di alto livello scientifico e dotata di personale di alta professionalità». Ed è evidente che qui si sta parlando di chi lavora quotidianamente in quello che viene ritenuto il migliore ospedale pubblico d’Italia. E non della biologa di Stamina nemmeno iscritta all’albo, che ora è indagata assieme ad altre 18 persone (di cui otto dei Civili) dalla procura guidata da Raffaele Guariniello. Nell’avviso di chiusura di indagini del procuratore torinese, che ipotizza il reato di associazione a delinquere per Vannoni e i suoi, del laboratorio si parla in più punti. E proprio alla responsabile del laboratorio, la dottoressa Arnalda Lanfranchi, si imputa di aver cambiato le carte sulle autorizzazioni del laboratorio. Ma soprattutto di aver fatto lavorare i due biologi Stamina in autonomia piena, senza sapere che cosa stessero facendo.
Ancora il Tar più avanti, per essere ancora più chiaro, aggiunge che «il laboratorio dell’Azienda ospedaliera» è e resta «estremamente qualificato, al di là della vicenda in discorso, alla lavorazione e alla conservazione di cellule e tessuti secondo procedure certamente idonee». Dove appunto si intendono le cellule staminali del sangue utilizzate nella cura delle leucemie infantili che non necessitano di un passaggio di lavorazione in laboratorio. E sono per questo equiparate ai trapianti.
Crolla dunque la difesa dell’assessore Mantovani che all’inizio dei lavori di Commissione a fine febbraio aveva continuato a sostenere che la Regione non è entrata nella vicenda Stamina: «La Lombardia sapeva», ha detto ancora ieri il direttore generale di Aifa Pani. E Umberto Ambrosoli, che questa Commissione di indagine regionale ha voluto fortemente, dice che ormai il quadro è chiaro. «Regione Lombardia ha quantomeno aiutato chi agli Spedali ha fortemente voluto il rapporto con Stamina».
Proprio ieri mentre avveniva questo passaggio in Commisione regionale, poco lontano, a Monza, il padre di Gioele Genova, il piccolo per cui la sentenza di Marsala impone la ripresa del trattamento il 5 maggio, alla presentazione della candidatura di Davide Vannoni alle Europee con la lista “Io cambio” ha promesso di buttare giù l’ospedale se il suo bambino non farà l’infusione. Assieme agli altri genitori ha detto: «Useremo i nostri figli come arma».
Il nosocomio bresciano di certo lunedì mattina non avrà vita facile con questa chiamata a raccolta dei pro Stamina che ha un deciso sapore di mossa politica a uso voto. Per quanto la sentenza di Marsala, che tira in ballo responsabilità penali dei medici qualora non dessero seguito alla sentenza – gettandoli in un cul de sac giudiziario, indagati da una parte e costretti a fare qualcosa che la propria deontologia medica non permette loro dall’altra – crea un precedente che forse in questi ultimi giorni è stato sottovalutato.
Anche per questo, l’assessore regionale alla Sanità Mario Mantovani nei giorni scorsi è tornato ad appellarsi al Presidente della Repubblica Napolitano. Ma di misure di protezione nei confronti degli Spedali Civili ancora al centro della bufera non se ne vedono.