In occasione della “Notte dei musei” di Gibellina e dell’inagurazione della mostra fotografica “Cemento” di Pietro Motisi, pubblichiamo un intervento di Giulia Scalia che, insieme a Giuseppe Maiorana, è curatrice della mostra.
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È stata inaugurata sabato 17 maggio al museo e centro di documentazione Belice/ Epicentro della Memoria viva la mostra Cemento di Pietro Motisi, presentata per la prima volta quattro anni fa a Palermo presso la galleria della Residenza Universitaria San Saverio. La mostra nasce con l’idea di rivelare il cemento come aspetto determinante della vita contemporanea in Sicilia e fa parte di un ampio lavoro di ricerca e studio che Motisi sta portando avanti da diversi anni. L’idea è quella di costruire una vera e propria mappa, un percorso personale fatto di sensazioni e percezioni sulla Sicilia. L’intenzione di Motisi è quindi quella di instaurare un rapporto tra osservatore e soggetto che permetta di rappresentare l’abuso che si è perpetrato nell’isola. Motisi mostra un paesaggio inteso come unicità e risorsa d’inesauribile energia materiale e immateriale, come identità dell’epoca.
La scelta di portare l’esposizione nella periferia siciliana di Gibellina non è casuale: la cittadina trapanese è oggi teatro di una situazione culturale totalmente a margine, almeno per il momento, dagli interessi da parte delle istituzioni. Ecco perché in alcuni momenti storici è importante immaginare e dare un nuovo nome alle cose: ripercorrendo le tappe del lavoro fotografico di Motisi diventa necessario desiderare un orizzonte di senso nuovo per riscrivere i tratti di una storia pesante. Un’idea decisamente utopica ma che al momento sembra l’unica via d’uscita.
Cemento, lavoro realizzato da Motisi nell’arco di diversi anni, fa parte di quattro grandi capitoli di un unico percorso fotografico, diviso secondo un ordine ben preciso. Il desiderio di trovare un senso a ciò che sembra non averne è il cuore della mostra presentata al Belìce/ Epìcentro della Memoria viva nell’ambito della manifestazione nazionale della Notte dei Musei. Se inizialmente Motisi ha catturato una buona parte dei suoi appunti fotografici a Poggioreale vecchia, in quella che tradizionalmente si può definire la palestra di tanti fotografi siciliani, tra cui Ezio Ferreri e Luca Savettiere, successivamente Motisi cambia approccio. Il cambiamento di senso avviene proprio a Poggioreale nuova, dove un nuovo linguaggio e un nuovo modo di pensare per immagini prendono spazio. In tutte le fotografie in mostra si parla, senza retorica, di luoghi che non hanno un ruolo identitario, di non luoghi, per dirla con Marc Augè, che solo in seguito alla mancanza di qualcosa prendono senso.
La perdita di un’identità culturale, dovuta per esempio al trauma del terremoto del 1968, porta nuove suggestioni che fanno del regno dell’abusivismo edilizio un luogo di possibile cambiamento. Anche il cemento, emblema della criminalità organizzata, cambia e diventa “nuovo paesaggio”. Cemento è un pretesto per parlare di qualcosa di fortemente negativo e corrotto, di un atteggiamanto che ha distrutto la Sicilia e la sua storia e che sotto questa luce violenta mostra parte delle sue verità.
Una verità che non manca di trasformarsi in speranza, in vita, come emerge nella fotografia esposta in mostra, scattata da S. Maria di Gesù, dove i due pini marittimi si stagliano sul panorama più amato da Goethe, sulla piana di Palermo, ora cementificata perché vittima dello scempio immondo del “sacco”, espressione utilizzata per descrivere il boom edilizio avvenuto tra gli anni Cinquanta e Sessanta del XX secolo. Motisi dunque riesce attraverso lo strumento fotografico a scrivere una storia del possibile, di quel qualcosa che non sappiamo davvero descrivere, di quell’utopia che fa chiedere, come cantava Dalla:
“cosa sarà che fa crescere gli alberi/ la felicità/ che fa morire a vent’anni/ anche se vivi fino a cento. Forse soltanto perché in un mondo migliore l’acqua potrebbe sgorgare dalle rocce e dal cemento?”
Durante la notte dei musei a Gibellina si sono svolti inoltre questi eventi di particolare rilievo: al Baglio Di Stefano, sede della Fondazione Orestiadi, si è svolta la performance di Valentina Parlato, 17 Maggio 2014, che riprende il concetto della data come elemento simbolo per ricordare eventi catastrofici e eredità culturali sottolinenado il concetto della performance come atto irripetibile e unico tra scenografia, movimenti del corpo, voci, luci e ambiente. Sullo scenario di Piazza XV Gennaio ’68 è stato interpretato Eclisse, sulle note del Canto dei Meridies dove l’opera “Omaggio a Tommaso Campanella” di Mimmo Rotella, è stata simbolicamente coperto con un panno per simulare l’oscurità del futuro dei beni culturali siciliani. Un atto pacifico per far riflettere e cogliere l’occasione per rispondere attivamente alla raccolta firme per il restauro e il completamento del Cretto di Burri.
Al vicino Sistema delle Piazze, si è svolta anche la performance I care you care we all care for Icarus del collettivo OuUnPo. Il titolo rende omaggio a quell’Icaro che è in continua caduta libera, alla catastrofe annunciata e a cui si vuol dare rimedio. Il gruppo, formato da artisti provenienti da Francia, Italia, Russia, Olanda, Inghilterra, Macedonia, Svezia, è legato dal tema “catastrophe and heritage” che dà vita al laboratorio itinerante unico nel suo genere che è stato implementato a Beirut, Tokyo, San Paolo, Stoccolma. In quest’occasione, coordinata da Claudia Squittieri, OuUnPo ha eseguito una performance collettiva attuata da sette artisti, pensata, ideata e radicata all’interno del Sistema delle Piazze di Gibellina. Senza farsi ingannare dal tema, la performance ha rappresentato un contributo positivo e inatteso con un’azione spontanea e liberatoria per rispondere con un movimento leggero alla pesantezza delle pietre.
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“Cemento” di Pietro Motisi
a cura di Giuseppe Maiorana e Giulia Scalia
Dal 17 maggio al 6 giugno 2013 presso il museo Belìce/ Epicentro della Memoria Viva, Gibellina (Tp)