Elogio della puntualità, essere in orario aiuta il pil

Elogio della puntualità, essere in orario aiuta il pil

Pubblichiamo un estratto del libroElogio dell puntualitàdi Andrea Battista e Marco Ongaro. Il capitolo scelto è “Il costo sociale della non puntualità”

La puntualità è l’anima del commercio
T.C. Haliburton 

Proviamo a sviluppare un calcolo economico per determinare quanto costi al sistema Italia la mancata puntualità. Naturalmente l’approccio è generalizzabile e applicabile ad altri contesti, giacché il tema della non puntualità non è solo italiano. Ci avvarremo di un classico paradigma economico, tutto sommato semplice, utile a stimare il costo/valore della non puntualità. Costo che può essere definito sociale nel senso dell’economia del benessere, in quanto sopportato dal sistema nel suo complesso.

Determinare il costo di un fenomeno non implica l’ipotesi che automaticamente, una volta rimosso il distorto consumo di risorse, il Prodotto interno lordo (pil) monetario o ufficiale registri un aumento per pari valore. Implica piuttosto che aumenti il valore sociale delle attività svolte. L’espressione in termini di pil ne è una misura generalmente accettata.

Se è vero che in linea teorica possiamo compensare le perdite di tempo lavorando di più (pur entro certi limiti), è altrettanto vero che in tal modo si comprime ulteriormente il tempo dedicato ad altre attività, riducendo così il benessere dell’individuo di cui il valore monetario del tempo rappresenta comunque una misura, per quanto riduttiva e convenzionale.

Ciò non implica che il pil non conti. Non siamo iscritti al partito dei sostenitori di misure alternative a tutti i costi, intese a sostituire il valore segnaletico del reddito prodotto. Solo il pil genera tassazione e, solo nella misura in cui la puntualità si traduca in reddito effettivo incrementabile, la puntualità nel lungo periodo può significare più ospedali e meno imposte. Tuttavia riteniamo che tutto il valore, monetario e non, sia importante per le nostre prospettive non meramente economicistiche.

Se Nicolas Sarkozy ha reagito in proposito costituendo una commissione sul tema infarcita di premi Nobel, vuole dire che l’argomento delle misure alternative al pil è ancora piuttosto teorico.

Perciò rinunciamo a definire esattamente quanto pil ufficiale aggiuntivo genererebbe un’economia di persone puntuali, sospettando che come minimo non sarebbe lontano dall’estremo inferiore dell’ampio range che andremo a determinare. Come sempre in economia, sono necessari alcuni assunti, alla luce dei quali i risultati potranno essere interpretati e utilizzati.

Il primo è che il tempo sia una risorsa scarsa e che il suo mancato impiego rappresenti quello che gli economisti definiscono costo-opportunità. Se faccio una cosa (perdo tempo aspettando), non ne posso per definizione fare un’altra (accudire mio figlio o farmi venire un’idea brillante), salvo le eccezioni del cosiddetto multitasking, per l’appunto eccezioni e spesso improbabili. Per questo il tempo “vale qualcosa”.

Il secondo assunto è che il reddito prodotto dal tempo dedicato al lavoro sia una buona misura del valore del tempo medesimo. Sembra scontato ma è tecnicamente un assunto.

Il terzo assunto è che il sistema economico non stia lavorando al massimo potenziale consentito dal capitale disponibile, ipotesi ampiamente accettabile.

Quindi veniamo alla questione chiave: quanto tempo impieghiamo aspettando e quanto non ne riusciamo a recuperare “improvvisando” attività alternative a valore aggiunto (ad esempio leggere questo libro sulla puntualità)?

Si tratta di una questione totalmente fattuale e quantitativa, non verificabile con precisione, ma ipotizzabile grazie all’applicazione di un parametro del tipo “se – allora”. “Se” il tempo medio netto perso è di 10 minuti a persona, “allora” il mancato contributo in termini di pil è 1,5%. Se i minuti sono 20, il valore della variabile dipendente sale al 3%.

Con un modello così parametrizzato, ognuno può adottare l’ipotesi che sembra più sensata.

Sulle altre variabili del modello possiamo invece effettuare alcune rilevazioni, imperfette certo ma non aprioristiche. Il modello è ideato e calibrato per un calcolo macro ma si presta anche a essere declinato in termini microeconomici. Se ciascuno inserisce i dati che lo riguardano per determinare i parametri di riferimento del modello, è possibile calcolare il danno subìto per la non puntualità altrui, essendo puntuali.

Oppure il danno inflitto al resto dell’umanità, non essendo puntuali. L’utilizzo macro ci sembra però il più interessante in termini comunicativi ed educativi.

Proviamo a riportare i nostri calcoli per il sistema Italia nella tabella riportata alla fine del paragrafo e quindi a illustrarli adeguatamente.

Ci rendiamo conto che alcune argomentazioni contro l’utilizzo di tale approccio modellistico potrebbero essere addotte e precisamente:

Il tempo perso si recupera in qualche modo ma “spiazzando” altre attività di almeno pari valore.

Durante l’attesa comunque ci si organizza e si fa dell’altro, specie in epoca di tecnologia personale diffusa – ma senza recuperare il tempo in toto, giacché ci saranno anche attività di mero riempitivo (come dimostra il capitolo sugli stratagemmi per ingannare l’attesa).

L’attività “al margine” non conta per determinare il pil, definito da valori medi come gli stipendi corrisposti, non influenzati da questi cosiddetti “sfridi”.

Ogni attività ha almeno l’obiettivo di essere produttiva quanto il costo delle risorse assorbite in organizzazioni che hanno l’obbligo dell’efficienza e non c’è motivo di supporre che l’attività marginale non lo sia mai.

Tali argomentazioni si possono dunque facilmente controbattere e “smontare”, a favore dell’approccio sotteso al nostro modello. 

Quante persone lavorano

Amo il lavoro; mi affascina. Posso star seduto a guardarlo. Adoro tenermelo vicino; l’idea di liberarmene mi spezza il cuore.
Jerome K. Jerome

Ci sono due alternative possibili: possiamo prendere in esame la forza lavoro propriamente detta oppure un aggregato più ampio e vago, le persone “non nullafacenti” che fanno qualcosa. Queste ultime non coincidono con la popolazione intera, anche se ne sono forse una parte piuttosto ampia.

Se vogliamo tradurre il ragionamento in termini di pil, dobbiamo usare il primo raggruppamento, al netto dei punti di disoccupazione (quindi poco oltre i 20 milioni di persone). Stiamo però cercando di fare una cosa leggermente diversa, cioè di usare i dati relativi al pil per stimare “il valore” di tutto il tempo perso a causa della non puntualità. Fare aspettare mezz’ora un sacerdote o una casalinga, che non contribuiscono al pil in senso convenzionale, non comporta una minore perdita di valore sociale.

Adotteremo perciò entrambi gli aggregati, il secondo dei quali è evidentemente ipotetico, così che possano essere interpretati come limite inferiore e superiore del range del valore target della nostra variabile dipendente.

Il monte delle ore lavorate

In fin dei conti il lavoro è ancora il mezzo migliore di far passare la vita.
Gustave Flaubert

Quante ore lavoriamo? Ritroviamo la dicotomia tra l’attività economica che passa per il mercato e l’attività economica non valorizzata tramite il mercato ma tramite le relazioni sociali, come il lavoro domestico o il servizio religioso.

L’assunzione è che in entrambi i casi le ore giornaliere utili siano sette, che le ore siano tutte produttive, che lo spreco di tempo non venga recuperato sottraendo spazio al tempo libero, ossia che, se viene recuperato, la diminuzione di tempo libero valga esattamente quanto lo stesso tempo impiegato al lavoro.

Si ipotizza quindi che lo spreco nell’ambito del tempo libero non generi disutilità.

Il che non è comunque necessariamente vero: ridurre il tempo di una piacevole cena in compagnia di un amico che non vediamo da tanto a causa del proprio o del suo ritardo (o di un terzo che ha fatto slittare il precedente impegno) non è neutrale sotto il profilo del nostro benessere complessivo.

Per essere conservativi e non complicare troppo il calcolo rendendolo più aleatorio e soggettivo, eviteremo comunque di contabilizzare anche questi elementi.

Il valore del lavoro

Il lavoro non mi piace − non piace a nessuno − ma mi piace quello che c’è nel lavoro: la possibilità di trovare se stessi.
Joseph Conrad

Ipotizzando per semplicità che i minuti sprecati siano equidistribuiti rispetto ai diversi livelli di reddito, per dare un valore al tempo perso in termini di pil è sufficientemente coerente assumere la quota di valore aggiunto destinata ai redditi da lavoro che è oggi strutturalmente intorno al 60%.

Consideriamo che il lavoro non retribuito monetariamente generi un valore aggiuntivo pari al 50% del dato ufficiale. È molto conservativo perché implica comunque che, a parità di produttività del lavoro non monetariamente retribuito, solo poco oltre 30 milioni di persone vengano considerate attive, poco più del 50% di quelle oggi residenti sul territorio italiano.

Altra ipotesi implicita è che tutti gli altri redditi (da capitale in primis) non siano influenzati dalla maggiore produttività del lavoro, il che è riduttivo: un lavoro più produttivo aumenta la produttività totale dei fattori, quindi anche del capitale e di conseguenza il reddito con cui esso viene remunerato. Consideriamo tuttavia questo effetto sulla produttività totale dei fattori difficilmente stimabile e quindi non rilevante ai nostri fini.

I minuti persi nell’attesa e i minuti recuperati

La perseveranza è il duro lavoro che fai dopo che ti sei stancato del duro lavoro che hai fatto.
Newt Gingrich

Qui abbiamo adottato un’ipotesi forse prudente, o forse no. L’abbiamo testata in via “campionaria” tramite la nostra cerchia di conoscenze, cercando di intervistare soggetti il più possibile variegati. Le risposte sono state molteplici e in qualche caso di valore molto superiore al parametro che abbiamo adottato come stima prudenziale. Un’analisi campionaria più robusta e statisticamente valida migliorerebbe la qualità del dato ma non altererebbe la sua natura di stima soggettiva.

Alcuni ci hanno addirittura detto che perdono anche un’ora al giorno aspettando! Tutti hanno indicato un tempo perso superiore al nostro parametro centrale, peraltro sovrastimandolo in diversi casi.

Il tempo recuperabile è importante: i devices che la tecnologia moderna mette a disposizione ci rendono possibile un recupero maggiore rispetto al passato.

Cellulari, iPod e iPad sono certamente preziosi compagni dell’attesa, però è normale che per ingannarla tendiamo a fare cose poco utili (consultare una volta di più la mail controllata dieci minuti prima o riandare sul sito della Gazzetta dello Sport): in tal caso non possiamo certo parlare di tempo recuperato.

Non esiste alcun modo in cui il tempo dell’attesa possa esser impiegato produttivamente al cento percento. I nostri 101 modi sono dei salvagente anche scherzosi, ben lungi dal costituire dei perfetti sostituti.

È evidente che ciascuno può sostituire nel modello il valore che più ritiene la migliore stima del tempo netto perso e calibrarlo in maniera coerente con la propria visione del mondo.

I risultati del modello

Un uomo non è un pigro, se è assorto nei propri pensieri; esistono un lavoro visibile ed uno invisibile.
Victor Hugo

La stima di queste variabili determina in via aritmetica il risultato delle altre riportate nella tabella seguente e utilizzate per lo svolgimento del nostro calcolo.

In particolare il parametro finale target è il valore del Tempo totale di lavoro netto sprecato, moltiplicato per la quota di valore aggiunto del fattore lavoro (per tradurlo in termini di reddito prodotto).

Proposizione finale

La puntualità è la virtù dei re.
Ken Minogue

La puntualità è la cortesia dei re.
Luigi XVIII

La logica sopra esposta conduce al seguente risultato: se ciascuno di noi spreca anche solo 10 minuti netti al giorno per la non puntualità altrui, il costo in termini di benessere per il sistema economico-sociale italiano è annualmente stimabile:

• Tra 1,5 e 2,6 punti percentuali di pil;

quindi ai valori del 2013

• Tra circa 22 e 44 miliardi di euro annui.

Considerate le ipotesi che abbiamo illustrato la riteniamo una stima prudenziale.

Tanto per suggerire un termine di confronto, secondo Tyler Cowen alcuni anni fa l’impatto in Ecuador – paese di leggendaria tradizione in tema di ritardo – fu stimato nel 4,3% del pil.

Cifre di queste dimensioni sono per definizione rilevanti, quale che sia il valore assunto all’interno dell’intervallo di stima. Siamo nell’ordine di grandezza della tipica manovra di finanza pubblica annua, superiore al budget di Giustizia o Difesa, più elevato delle spese riconosciute alla ricerca scientifica.

Un’indiscutibile emergenza sociale. Una delle tante, di cui nessuno però si interessa. 

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