Non si può dire che non ci stiano provando. Per la prima volta, la sensazione è che quella per la presidenza della Commissione europea sia una vera e propria campagna elettorale. Ieri sera è andato in scena il confronto tra i cinque candidati alla presidenza, trasmesso da quasi tutte le emittenti pubbliche d’Europa. Vediamo una a una le loro pagelle di factchecking e il voto che si sono aggiudicati per la loro prestazione durante il dibattito.
Martin Schulz: leader dei socialisti e presidente uscente del Parlamento europeo (nonché noto in Italia per essere stato paragonato a un kapò), il tedesco Martin Schulz si è presentato come il candidato che si oppone “all’Europa degli speculatori”. Tra i cavalli di battaglia Schulz ha ripetuto l’impegno contro l’evasione e la frode fiscale, stimate a livello europeo a mille miliardi di euro (un dato che però Schulz tende ogni tanto a confondere: vedi qui e qui). A questo si aggiunge la priorità della lotta contro la disoccupazione (argomentata, tuttavia, con numeri non sempre ineccepibili). La proposta prevede un programma di credito per le piccole e medie imprese, finanziato dall’Ue e dalla Banca Europea degli Investimenti, che consenta un accesso al credito facilitato per le Pmi che assumono giovani. Con una battuta, Schulz ha concluso presentandosi come presidente della Commissione in pectore. Ma la partita non è ancora definita, se è vero che gli ultimi sondaggi danno i socialisti appena dietro i conservatori. Non dire gatto…: voto 6,5.
Jean-Claude Juncker: capofila dei conservatori ed ex primo ministro del Lussemburgo, Juncker si presenta come fautore della disciplina di bilancio come precondizione per la crescita. Anche in precedenza Juncker ha sostenuto che i Paesi con i deficit più bassi sono quelli che hanno registrato una crescita economica maggiore, un’affermazione non proprio impeccabile. Juncker si è inoltre speso a favore della conclusione dell’accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, sebbene anche in questo caso faccia un po’ di confusione sui potenziali benefici dell’accordo. Tuttavia, ha anche spiegato di essere a favore di un’Europa più solidale, che superi le divisioni tra Nord e Sud, tra vecchi e nuovi Stati membri, e che non diminuisca i fondi per la cooperazione e lo sviluppo (lui che coerentemente ha aumentato il budget del Lussemburgo per la cooperazione fino all’1 per cento del prodotto nazionale lordo). Ciò non è bastato a risparmiargli diversi fischi dal pubblico quando ha dichiarato di avere fatto di tutto durante le fasi più calde della crisi, da presidente dell’Eurogruppo, affinché la Grecia rimanesse nell’euro. Eppure, quello che stando ai sondaggi sarebbe il candidato più accreditato, è apparso assente per grandi tratti del dibattito e non ha impiegato neanche una delle repliche a disposizione. Evanescente: voto 4.
Alexis Tsipras: c’era molta attesa per Tsipras, leader di Syriza e candidato della Sinistra Europea, sicuramente la voce più critica dell’Europa dell’austerità tra i candidati. Tsipras ha scelto di parlare in greco, si dice perché non a proprio agio con l’inglese, ma la decisione è forse più strategica: il leader di Syriza è sembrato volersi rivolgere direttamente all’elettorato greco. Durante il dibattito ha esordito scagliandosi contro la scelta di fare della Grecia una cavia per quello che ha definito un esperimento economico dagli esiti catastrofici. Tra i dati più citati accuratamente da Tsipras figurano il calo del 25% del Pil in Grecia in seguito alla crisi e la disoccupazione giovanile che sfiora il 60%, mentre si è mostrato più catastrofista del dovuto sull’andamento del debito pubblico greco. La ricetta è a suo modo semplice: una conferenza sul debito per convincere i creditori a cancellare una parte del debito greco, che segue la scia di uno degli esempi preferiti di Tsipras, vale a dire la conferenza di Londra del 1953, in cui la comunità internazionale cancellò circa il 50% del debito della Germania. Durante il dibattito Tsipras si è anche distinto per una posizione molto cauta sull’intervento russo in Ucraina. Complessivamente, Tsipras è apparso pimpante ma mono-tematico: voto 6,5
Guy Verhofstadt: candidato dei liberali nonché ex primo ministro belga, Verhofstadt è un appassionato sostenitore dell’integrazione europea. Durante il dibattito ha ribadito che i problemi e le sfide dell’Europa possono essere risolti solo sfruttando il potenziale del mercato unico europeo, da rilanciare sulla scia del percorso di Delors. Con un occhio forse all’Italia, Verhofstadt ha insistito nel dire che il ritorno alle valute nazionali e le politiche di svalutazione competitiva andrebbe a danneggiare i cittadini, che perderebbero in potere d’acquisto, e in particolare i pensionati, che vedrebbero i propri risparmi erosi. Un vero e proprio disastro secondo il candidato liberale. Non è mancata una frecciata a Tsipras: Verhofstadt ha infatti puntato il dito contro le inappropriate commistioni tra le banche greche e i partiti politici (tra cui Syriza), che da esse ricevono i finanziamenti. Verhofstadt si è infine distinto come l’unico dei candidati a porre l’accento sullo scandalo NSA e i rischi per la privacy dei cittadini europei, congratulandosi con la sentenza della Corte di Giustizia Europea che ha riconosciuto il cosiddetto “diritto all’oblio”. Verhofstadt si conferma il più abile dei candidati nei dibattiti. Estroso, voto 7.
Ska Keller: unica donna in mezzo a tanti uomini, la 32enne candidata dei Verdi – capolista con il collega José Bové – ha portato una ventata di freschezza al dibattito. Keller ha offerto la visione di un’Europa che investe sull’ambiente ed è solidale con le persone in difficoltà, dai giovani disoccupati ai migranti in cerca di accoglienza sulle sponde del Mediterraneo. Anche Keller ha criticato l’ossessione del debito, sottolineando che la Spagna aveva un bilancio in surplus prima della crisi bancaria. Keller ha inoltre attaccato i lobbisti che affollano i corridoi del Parlamento europeo, che non sono obbligati ad iscriversi nel registro per la trasparenza. Tuttavia, il punto più interessante è arrivato verso la fine del dibattito, quando ai candidati è stato chiesto come reagirebbero qualora nessuno di loro fosse scelto come presidente della Commissione: secondo Keller è una possibilità che andrebbe contro il trattato di Lisbona, sebbene in realtà sia del tutto in linea con i Trattati, in base ai quali il Consiglio deve solo tenere conto dei risultati elettorali. A tratti Keller non è sembrata del tutto sul pezzo, recriminando ad esempio due secondi di tempo sottratti dai rivali. Volonterosa ma acerba: voto 6.
Monica Maggioni: L’Italia, a suo modo, era presente grazie a Monica Maggioni, volto storico della Rai, che ha moderato il dibattito e viene promossa al factchecking per aver citato correttamente il tasso di partecipazione alle ultime elezioni europee e il numero di giovani disoccupati in Europa.
I candidati si stanno impegnando per trasformare il voto in una vera competizione elettorale che possa interessare gli elettori e portarli alle urne. Certo, sarebbe davvero paradossale se tali sforzi venissero vanificati da una scelta del Consiglio europeo che non premi nessuno dei candidati in gara.