Ict in Sanità, fondamentale e ignorata

Ict in Sanità, fondamentale e ignorata

L’innovazione digitale nella sanità italiana, così com’è ora e secondo le previsioni per i prossimi anni, non basta. A dirlo è una ricerca condotta dal dipartimento di ingegneria gestionale del Politecnico di MilanoPer il settimo anno gli ingegneri milanesi, attraverso survey e casi studio, hanno monitorato lo stato della digitalizzazione della sanità sul territorio italiano.

Il lavoro da fare, a quanto emerge, è molto: «l’attenzione alla digitalizzazione del Sistema Sanitario in Italia – si legge nella ricerca – è stata in questi anni molto modesta, a causa di una sostanziale assenza di cultura dell’innovazione e visione da parte dei decisori». Non è solo questione di chiusura culturale: «la presenza di un sistema di governance frammentato – continua lo studio – non ha consentito di realizzare quelle infrastrutture e di definire quegli standard che nella gran parte degli altri Paesi avanzati hanno portato a una revisione e modernizzazione dei sistemi di cura». A queste conclusioni i ricercatori sono arrivati dopo aver coinvolto varie figure del settore: chief information officer (cio), direttori generali, amministrativi, sanitari e sociali, medici di medicina generale, specialisti, oltra a semplici cittadini.

I progressi, in tutti i casi, potrebbero essere concreti. Basta vedere alcuni casi di successo. La Fondazione Poliambulanza di Brescia, per esempio, per facilitare la gestione del dato clinico e supportare l’attività del personale sanitario, ha realizzato un’innovativa cartella clinica elettronica, fruibile su dispositivi mobili. Strumento che permette a medici e infermieri di avere costantemente accesso ai dati clinici del paziente da pc e tablet, e quindi di risparmiare tempo e spazio, abolendo quasi del tutto la carta.

Si può fare: i pionieri dell’Ict in Sanità

L’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna a partire dal 2012 ha invece sviluppato un sistema di business Intelligence per il reporting direzionale, basato sulla creazione di un “magazzino” virtuale contenente i dati provenienti dai sistemi informatici dell’Istituto. L’obiettivo era quello di migliorare la governance aziendale e l’efficienza organizzativa, attraverso il monitoraggio dei costi, del personale e delle attività, che vengono poi distribuite tramite interfaccia web agli utenti della direzione strategica e ai centri di responsabilità. Oltre alle informazioni fornite dalla Regione e al costo del personale, il sistema oggi raccoglie anche i dati relativi alle attività ospedaliere. Ciò ha permesso di individuare tutta una serie di criticità dei processi clinici, e di migliorare l’efficienza di diverse aree, consentendo anche un risparmio economico. L’uso di questa piattaforma ha evitato di eseguire circa 500 esami radiologici nel 2013, fatto che si è poi tradotto in un risparmio di 67 000 euro sul costo dei Drg (diagnosis related groups) chirurgici interessati (per i quali non è previsto il rimborso degli esami diagnostici).

Questo sono solo due delle realtà premiate nel 2014 con il “Premio Innovazione Ict in Sanità”, iniziativa nata nel 2010 per condividere i progetti che sul territorio nazionale si sono distinti per capacità di utilizzare l’Ict come leva di innovazione e miglioramento nel mondo della Sanità. Nella stessa edizione sono stati premiati casi di innovazione per la digitalizzazione dei processi e dei percorsi clinici, di servizi digitali al cittadino, di sistemi per la gestione dei documenti informatici, di soluzioni per l’assistenza socio sanitaria e soluzioni per l’assistenza territoriale.

Un ritardo allarmante

Nonostante questi esempi virtuosi, il messaggio lanciato dall’Osservatorio Ict in sanità, come detto, è chiaro e allarmante. Lo racconta Mariano Corso, della School of Management del Politecnico di Milano e uno degli autori della ricerca: «prima di tutto – spiega – si parla troppo spesso di tagli ai costi della sanità italiana, perdendo di vista i veri temi su cui dovremmo discutere e concentrarci, e le esigenze del settore. Senza considerare che andando a vedere i dati reali, nonostante la sanità sia la principale spesa del Paese, il servizio sanitario italiano è uno dei meno costosi d’Europa, con 3mila euro pro capite. Molto al di sotto della media europea. Difficile quindi in questo scenario, immaginare ulteriori tagli». Il secondo problema dell’Italia, continua a spiegare Corso, è la demografia: con un italiano su cinque oltre i 65 anni, l’Italia è il Paese più vecchio d’Europa, e la domanda sanitaria nei prossimi anni è destinata a crescere ancora. 

Per questo, una buona soluzione per far fonte alle esigenze della popolazione, dovrebbe essere quella di spostare l’attività dagli ospedali al territorio, anche e soprattutto attraverso l’utilizzo delle Ict. Infine la malasanità: il Ssn italiano nel giro di qualche anno ha subito un deterioramento della qualità percepita dei servizi, passando da essere uno dei migliori al mondo a uno dei peggiori d’Europa, con una qualità delle prestazioni sanitarie al di sotto della media europea. Tutto questo, inserito nel nuovo contesto di globalizzazione e liberalizzazione delle cure transfrontaliere, gioca a sfavore del nostro Ssn, che nei prossimi anni potrebbe subire un ulteriore declino, anche economico, se i cittadini italiani decideranno di spostarsi oltre confine, per ricevere un’assistenza di maggior qualità.

A questo punto le soluzioni potrebbero essere due: privatizzare il sistema, rendendolo più simile a quello americano, dove ogni cittadino si fa carico della propria assistenza attraverso assicurazioni o fondi. Oppure mantenere il sistema sanitario attuale, pubblico, e attuare una profonda riforma che punti sulla digitalizzazione e investa profondamente sulle Information and Communication Technology, come suggeriscono gli autori della ricerca. «L’unica soluzione in grado di modernizzare il sistema per metterlo in grado di reggere l’impatto della crescita della domanda, fermando il circolo vizioso in atto di progressivo decadimento di qualità ed efficienza».

La fotografia del Politecnico

Strategia che per il momento è stata attuata o presa in considerazione solo in piccola parte dagli attori del sistema sanitario nazionale. La spesa complessiva destinata alla digitalizzazione della Sanità italiana nel 2013, infatti, non solo non è aumentata rispetto l’anno precedente, ma si è ulteriormente contratta di circa il 5%, raggiungendo quota 1,17 miliardi di euro nel 2013. A spendere maggiormente in Ict sono le strutture sanitarie (800 milioni di euro), che però rispetto al 2012 hanno registrato una riduzione dell’11% degli investimenti, e il futuro non promette di meglio se si pensa che il 54% delle strutture coinvolte nella ricerca ha dichiarato di voler ridurre ulteriormente gli investimenti per il prossimo anno. Mentre sono il 51% del campione i responsabili informatici che prevedono un taglio generalizzato sia di spese sia di investimenti, a seguito della spending review. Seguono le Regioni, con 295 milioni di euro spesi in Ict e un incremento del 5,4% rispetto al 2012, che nonostante la modesta spesa, svolgono un importante ruolo di indirizzo nel settore. E i medici di medicina generale, con 60 milioni di euro (+11% rispetto il 2012). Il Ministero della salute infine che ha registrato una spesa in Ict pari a 19 milioni di euro. Dati questi, che non fanno certo parlare di investimenti ma piuttosto di copertura della spesa corrente.  

L’utilizzo delle soluzioni ICT su dispositivi mobili da parte dei medici di medicina generale

Non solo, ad aggravare la situazione, come sostiene l’appello lanciato dall’Osservatorio, ci si mette anche l’azione del Governo: «Per rilevanza sociale e peso sui conti pubblici, questa revisione del sistema di cura e assistenza dovrebbe risultare una priorità del governo, il vero cuore dell’Agenda Digitale italiana. Alla prova dei fatti, tuttavia, non possiamo certo affermare che questa priorità sia oggi condivisa». Osservatorio che infine conclude affermando come «l’Ict, questa Ict, così non basta! Se si vuole difendere il Sistema sanitario pubblico, quello che serve è una vera e profonda riforma del modello di cura e assistenza, che veda le tecnologie digitali come fattori abilitanti di una diversa interazione tra gli operatori del sistema socio-sanitario e tra questi e i cittadini. Il digitale deve servire a mettere in rete il sistema di cura e assistenza, spostando i servizi dalle strutture residenziali (ospedali, residenze sanitarie, ecc.) verso il territorio e la gestione domiciliare, facendo leva sull’“empowerment” di cittadini e pazienti e superando quella separazione tra prestazioni sanitarie e servizi socio- assistenziali, che è oggi causa di disottimizzazione e di atteggiamenti da “scarica barile” a danno delle finanze pubbliche e, soprattutto, dei cittadini più deboli».

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