Quanti litri di latte bufalino ogni anno vengono destinati alla produzione di mozzarella e quanti sono di provenienza sospetta? L’operazione di inizio maggio nel caseificio Cantile di Sparanise, nel casertano, che ha portato all’arresto di 13 persone tra cui il titolare stesso del caseificio, ha riaperto una recente ferita del comparto mozzarella di bufala, una delle produzioni alimentari più tipiche, famose e discusse del nostro Paese: quella della sofisticazione delle materie prime.
«Il caseificio», scrivono gli inquirenti, a proposito dell’operazione coordinata dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), «pur essendo tenuto ad acquistare materie prime di provenienza certa, in ossequio alla normativa di settore che, a tutela della salute del consumatore, prescrive la tracciabilità del latte e dei semilavorati impiegati nel ciclo produttivo, provvedeva, in maniera pressoché sistematica, all’accaparramento anche all’estero di partite di latte e di cagliata, spesso molto scadenti, di cui veniva celata la provenienza, all’evidente fine di contenere i costi di produzione».
Tutti i numeri della mozzarella di bufala in Italia
Nel 2012 la mozzarella di bufala campana dop ha fatturato 211 milioni di euro alla produzione nazionale, 435 milioni al consumo nazionale e 71 milioni di euro all’export. Relativamente al 2013, il direttore oggi dimissionario del Consorzio della mozzarella di bufala campana dop Antonio Lucisano aveva parlato di «15-20 milioni di euro di perdita di vendite» dovuti al solo effetto “Terra dei fuochi”. Anche la fondazione Qualivita, nel rapporto 2013 sulle dop, ha parlato di un «calo dei volumi consumati» per la mozzarella di bufala.
Il 92 per cento della produzione di mozzarella di bufala dop si concentra in Campania. Qui il comparto bufalino comprende oltre 279mila capi (pari a circa il 74 per cento del patrimonio bufalino nazionale) allevati in 1.470 aziende. Nel 2012 sono stati prodotti 37.056 tonnellate di mozzarella dop, per il 58 per cento tra le province di Caserta e Napoli, il 34 per cento a Salerno, il 7 per cento nel basso Lazio e l’1 per cento tra Foggia e Venafro. A questi dati di fatturato, va aggiunta la produzione dei caseifici che fanno mozzarella di latte di bufala senza aderire al consorzio dop: una realtà di dimensioni notevoli, se si considera che tra i migliori 18 produttori di una recente classifica 2010 del Gambero Rosso, solo nove aderiscono al consorzio dop.
Lo spettro della sofisticazione si aggira tra gli stabilimenti campani con particolare forza dal 2012, quando un’inchiesta della Dda di Napoli ha denunciato l’operato di alcuni tra i più grandi produttori aderenti al consorzio (i fatti si rifersiscono al 2010), che mescolavano sistematicamente il latte bufalino proveniente dalle aree del dop, con altro non dop, a volte congelato o persino in polvere, proveniente spesso dal Nord o Est Europa.
Il disciplinare di produzione dop prevede che la mozzarella di bufala campana debba essere prodotta «con latte fresco, munto nelle ultime ore – minimo 12, massimo 60 – in allevamenti e caseifici dell’area protetta», ovvero in Campania, Lazio, Puglia e Molise. Il motivo principale della sofisticazione è l’economicità della produzione. Sul mercato italiano, un litro di latte bufalino arriva a costare da marzo ad agosto 1,35 euro, mentre in periodo invernale si aggira intorno ai 90 centesimi. Il prezzo del latte di importazione si attesta invece intorno ai 60 centesimi di euro. A ciò si aggiunga che, con l’oscillare della domanda di mozzarella, la clausola delle «60 ore al massimo dalla mungitura» può essere difficile da rispettare, rendendo allettante l’ipotesi della materia prima congelata e, in estrema ipotesi, importata.
Approfittando di alcuni dati inediti Istat sul latte bufalino consegnato ai caseifici in tutta Italia dal 2010 al 2012, possiamo dare una stima delle dimensioni della sofisticazione nella filiera del dop. Secondo i dati degli organismi ministeriali di controllo, elaborati da Ismea, nel 2012 sono state prodotte 37,122 tonnellate di mozzarella di bufala dop. Secondo quanto prescritto dallo stesso disciplinare, per fare 1 chilo di mozzarella devono essere tassativamente utilizzati 4 litri di latte bufalino (la media è di 4,2 litri). Il che vuol dire che solo gli 89 produttori appartenenti al consorzio dop devono aver utilizzato almeno 148,488 mila litri di latte bufalino. Secondo l’Istat, in Italia nello stesso anno sono stati consegnati a tutti i caseifici (sia dop che non dop, per la produzione di mozzarella o di altri prodotti come la ricotta, la provola affumicata, lo yogurt, ecc.) 186,849 litri di latte bufalino complessivamente. Di questi, dall’area dop vengono 179,522 litri.
Un quantitativo in grado di soddisfare tutta la domanda dei caseifici dop, non fosse che questo dato include anche il latte consegnato agli altri circa 160 caseifici di piccole e grandi dimensioni, non appartenenti al consorzio, che producono mozzarella di bufala nella sola Campania. Una quantità di produttori che, pur considerando una minore presenza nella grande distribuzione, potrebbero produrre ipoteticamente dalle 20 alle 30mila tonnellate annue, ovvero utilizzare come minimo altri 80mila litri di latte bufalino (in questo caso il rapporto 4 litri per 1 chilo può essere relativamente più flessibile). Lasciando ombre e interrogativi sull’origine di almeno 40mila litri di latte necessari alla produzione totale.
Per dissolvere queste e altre ombre, con un decreto del gennaio 2013 l’allora ministro dell’Agricoltura Mario Catania ha istituito l’obbligo per tutti gli allevatori di comunicare al ministero gli esatti quantitativi di latte prodotto con cadenza mensile, per meglio monitorare la produzione delle singole stalle. La ratio del provvedimento è sapere quanto latte viene consegnato a ogni caseificio, per poter essere certi che sia sufficiente a coprire i quantitativi prodotti. L’efficacia immediata di questa iniziativa sembra riflettersi nello scontro sui prezzi del latte di bufala che ha tenuto banco ancora negli ultimi mesi tra caseifici e allevatori, con i primi che spingono per ridurre i costi delle materie prime per continuare a far quadrare i conti.
«Incontriamo una forte resistenza a firmare contratti collettivi da parte industriale», afferma Tommaso Picone, esponente di Confagricoltura di Caserta. «Gli allevatori devono far fronte all’aumento dei costi di produzione, dovuti alle materie prime e al costo del lavoro. L’unica cosa che non sale è il prezzo di vendita del latte di bufala, che i caseifici vorrebbero invece abbassare: sta diventando una speculazione».
La legge sul doppio stabilimento
Verso la trasparenza degli approvvigionamenti va anche un decreto firmato dall’allora ministro Luca Zaia, che vorrebbe imporre a tutti i caseifici di trattare la produzione di mozzarella dop in filiere dedicate, dove non entri altro che latte bufalino dop, creando eventualmente un’altra linea per produzioni “non dop”. Dopo una lunga serie di proroghe e rinvii, favoriti dall’ostruzionismo del consorzio, la commissione Agricoltura del Senato ha votato a gennaio l’entrata in vigore del dispositivo già dal prossimo 1 luglio 2014, con un emendamento al “Milleproroghe”.
«Queste sono le uniche armi che servono a prevenire fatti come quelli avvenuti nel caseificio di Sparanise», secondo Ernesto Buondonno, presidente della Federazione nazionale di prodotto allevamenti bufalini di Confagricoltura. «Non è nostro costume commentare indagini giudiziarie, ma non possiamo fare a meno di constatare che più la politica perde tempo ad adottare le norme che chiediamo, più è facile che si verifichino situazioni come questa».
In direzione del tutto contraria, il consorzio dop chiede una modifica al disciplinare di produzione della mozzarella, che consenta l’utilizzo di latte bufalino congelato eliminando il vincolo delle 60 ore. Un provvedimento del genere, oggetto già di un’interrogazione parlamentare e di una all’europarlamento, dovrebbe essere avallato dal ministero dell’Agricoltura, per poi ottenere un nuovo via libera alla concessione del marchio dop da parte della Commissione europea.
L’ultima iniziativa in ordine di tempo, infine, è quella della regione Campania che, sollecitata dal mondo degli allevatori, ha costituito il portale tracciabilitabufala.it, per monitorare produzione e approvvigionamenti dei singoli caseifici, proprio per contrastare le dubbie importazioni di latte. Anche in questo caso, secondo Picone di Confagricoltura, il consorzio dop ha adottato un atteggiamento ostile: «Troviamo difficoltà a far aderire i caseifici. Abbiamo stranamente come nemico di questa tracciabilità il consorzio di tutela, che dovrebbe invece sostenere queste iniziative».