Il nuovo giornalismo secondo Greenwald

Il nuovo giornalismo secondo Greenwald

Il giornalismo, in Italia come nel resto del mondo, sta affrontando in questi anni una crisi impressionante, legata principalmente alla sua sostenibilità economica, sia nella sua forma cartacea che in quella digitale. I modelli di business del settore stanno mostrando limiti sempre più preoccupanti ma, allo stesso tempo, il bisogno di informazione e le possibilità di raggiungere il pubblico non sono mai state così alte nella storia dell’editoria. Sembrerebbe una sorta di paradosso, un gigantesco corto circuito che sembra prendere la forma di un cappio per la maggioranza degli operatori del settore, e in parte lo è. Ma è anche un’occasione.

Un mio grande amico di Scutari una volta mi disse che le cose migliori l’umanità le ha fatte con le chiappe al freddo, intendendo con le chiappe la vita e con il freddo le difficoltà. Oggi, guardando cosa succede in molte redazioni, soprattutto negli Stati uniti, ho avuto l’ennesima conferma che non si sbagliava. Il mondo del giornalismo, assediato e inquieto, è infatti attraversato da un grande fermento. E così accade che singoli giornalisti abbandonino comode e importanti redazioni per mettersi in proprio, portandosi dietro il proprio pubblico, ma anche che miliardari del calibro di Jeff Bezos di Amazon e di Pierre Omidyar di Ebay decidano di investire 250 milioni di dollari a testa, entrando prepotentemente in campo per cercare di trovare la quadra. Ma se il primo i suoi soldi li ha spesi per rilevare un grosso baraccone esistente come il Washington Post, il caso di Pierre Omidyar è più interessante. Il fondatore di Ebay ha infatti messo insieme una squadra di giornalisti investigativi di grandissimo livello e ha fondato una società, la First Look Media, con uno scopo molto preciso: «Reimmaginare il giornalismo allepoca del digitale, combinando linnovazione digitale con il potere del giornalismo che non ha paura di nulla. […] avere come scopo un giornalismo originale e indipendente, approfondito e frutto di un gran lavoro di ricerca, di fact checking e di controllo delle fonti, ma che sia anche ben scritto. Ci guida soprattutto la convinzione che la buona salute di una democrazia sia strettamente legata allesistenza di un pubblico non solo informato, ma profondamente coinvolto».

Al centro di questo ambizioso progetto c’è un giornalista che, con il suo lavoro di inchiesta, condotto grazie alla collaborazione con Edward Snowden, un giovane informatico che ha lavorato con la CIA e l’NSA, ha svelato le esatte dimensioni di una delle più grandi e inquietanti questioni del mondo occidentale, quello della sicurezza dei nostri dati personali all’epoca digitale. Un lavoro che è valso al Guardian, il quotidiano per cui lavorava, il premio Pulitzer 2014. Il giornalista in questione si chiama Glenn Greenwald, non ha ancora 50 anni e qualche giorno fa è passato da Milano per presentare il suo libro No place to hide — Sotto controllo, in Italia pubblicato da Rizzoli. Quando lho incontrato, nella hall di un albergo di corso Garibaldi, era allinizio di una lunga giornata, divisa tra buona dozzina di interviste e la presentazione serale alla Fondazione Corriere della Sera, insieme a Beppe Severgnini.

Quando ci siamo accomodati al tavolino di quella hall, Greenwald ha ordinato due bicchieri di Coca-Cola e un piattino di arachidi che avrebbe poi sgranocchiato quasi senza soluzione di continuità in faccia al mio iPhone. A quel punto non mi è restato che accendere il registratore e fargli la mia prima domanda.

Stiamo vivendo uno dei momenti più drammatici, ma anche interessanti della storia del giornalismo e la sfida che abbiamo tutti davanti è prima di tutto sul piano economico. Vorrei partire da qui: secondo te a chi tocca sostenere economicamente il giornalismo? Chi deve pagare, i lettori, gli editori o la pubblcità?
Credo che sia tutta una questione di modelli e per quanto mi riguarda la grande questione è questa: come possiamo fare giornalismo investigativo, che richiede ingenti risorse di tempo e di soldi, in un contesto in cui le notizie sono sempre più accessibili gratuitamente? Bene, in realtà non c’è nessuna risposta facile a questa domanda. Riguardo gli investimenti pubblicitari la questione pone moltissimi problemi, incluso il fatto che gli investitori tentano sempre di associare il proprio brand a media che non attaccano né offendono nessuno, e che siano anche, per così dire, mainstreamChiaramente questa dinamica limita fortemente lo spettro possibile di voci, di punti di vista e di prospettive differenti che il media in questione può produrre, visto che dipende economicamente dagli investitori. Io sono convinto che il modello di business che si basa sul contributo dei lettori sia un modello molto promettente. E se lo credo è anche per la mia esperienza personale di blogger. È proprio grazie a questo modello infatti che sono stato in grado di lavorare nei primi tre o quattro anni di attività, dopo che avevo lasciato il mondo dellavvocatura.

Raccontami come è andata. 
All’epoca potevo contare su ben pochi introiti provenienti dalle pubblicità. La maggior parte delle entrate venivano dalle campagne di fund raising, che facevo una volta all’anno chiedendo il sostegno dei miei lettori. Se c’è una cosa che ho imparato è che se si è in grado di convincere abbastanza lettori che il tuo modo di fare giornalismo è unico e che ha un valore importante, loro ti sosterranno.

I lettori come unica fonte di sostentamento, dunque?
No, certo, c’è anche la possibilità di cercare altre fonti di finanziamento, come abbiamo cercato di fare insieme a Pierre Omidyar. Ma come puoi immaginare, ci sono in ogni caso grossi problemi. Hai bisogno di trovare investitori davvero convinti che metterci i soldi non dia loro il diritto di interferire con il lavoro giornalistico. Insomma, ci sono tante possibilità diverse di trovare dei finanziamenti, la questione è essere in grado di trovare finanziamenti che ti permettano di fare del buon giornalismo investigativo che sia realmente indipendente. Questa credo che sia la grande sfida che tutti hanno in mente in questo momento. Quello che stiamo proponendo noi è un modello, ma certamente ciò non vuol dire che sia l’unico e che sia in grado di salvare il giornalismo. Sai, una cosa su cui sono ottimista per il futuro del giornalismo è che Internet permette a voci completamente indipendenti di avere un pubblico senza doversi per forza appoggiare a grandi news corporation. Per esempio io allinizio della mia carriera sono riuscito a formarmi un grande bacino di lettori semplicemente aprendo un blog e, scrivendo liberamente di quello che volevo, quando volevo. In questo modo sono riuscito ad avere influenza, come poi molti altri in tutto il mondo, che riescono a essere influenti senza avere nulla a che fare con le grandi corporation.

Però resta il problema dei finanziamenti. Per fare del buon giornalismo investigativo ne servono parecchi. 
Sì, infatti il problema è che se lo fai, se fondi il tuo sito o se apri il tuo blog, rimane molto difficile trovare finanziamenti che ti permettano realmente di produrre un giornalismo investigativo serio e di qualità. Insomma, per farlo c’è bisogno di redattori, reporter, avvocati, investimenti sulla tecnologia e soldi per i viaggi. Qui sta il punto delicato di questo modello: sei sempre costretto a stringere forme di collaborazione che pongono dei problemi al tuo lavoro giornalistico in ogni modo possibile — cosa puoi scrivere, cosa non puoi scrivere e come nei puoi scrivere, per esempio.

E come farete ad aggirare il problema?
Quello che abbiamo in mente di fare è creare un ambiente in cui il singolo giornalista sia davvero completamente indipendente, libero di seguire le sue passioni e trovare la propria voce, ma nello stesso tempo, vogliamo che l’impresa sia solidamente finanziata, in modo che i giornalisti abbiano tutte le risorse di cui hanno bisogno. Questo è, secondo noi, il vero modo di dare forza al giornalista indipendente, proteggendo la sua indipendenza e dandogli tutto il supporto che dovrebbe avere.

Cosa ne pensi invece dei nuovi modelli di pubblicità, come il native advertising, per esempio, credi che possano rappresentare una possibile soluzione?
Ho visto moltissime pubblicità in giro per la rete che avevano l’obiettivo di sembrare dei contenuti, e malgrado facessero ogni sforzo possibile per farlo in maniera onesta, segnalandone la natura con font diversi, simboli o posizioni particolari in pagina, alla fine restavano contenuti ingannevoli.

Se sono segnalati chiaramente come contenuti sponsorizzati perché sono ingannevoli?
Avere in pagina un contenuto che è a tutti gli effetti una pubblicità, ma che è agghindato esattamente come un articolo che può minare la credibilità del sito e intaccare la fiducia di chi ti legge. Nella mente del lettore potrebbe sembrare un marchio di approvazione da parte degli investitori per tutto quello che c’è intorno al singolo contenuto sponsorizzato, perché è per quello che la pubblicità accetta di apporre il proprio marchio su un prodotto. Laltra faccia del problema è simile a quella a cui accennavo prima, ed è legata proprio alla natura stessa degli investitori: sai che ci sono argomenti che non potranno essere affrontati, perché gli investitori per la maggior parte non vogliono essere associati con contenuti controversi.

Cosa ne pensi invece del giornalismo basato su analisi dei big data e infografiche?
Questa è certamente una delle cose su cui tutti noi stiamo riflettendo di più in questo periodo. Sai, per molto tempo quello che è accaduto nel giornalismo è stato che ci si è detti che i giornali di carta stavano morendo e che era necessario andare online, su Internet. Ma quello che poi tutti facevano una volta online era riproporre le stesse cose che pubblicavano su carta — cosa che molto spesso succede ancora — non sfruttando per niente le grandi possibilità offerte loro da Internet.

Che possibilità concede Internet, rispetto alla carta?
Be’, sono innumerevoli. A me per esempio interessa molto la possibilità di mettere a disposizione dei lettori che leggono i miei articoli tutte le prove e i documenti che sostengono e comprovano ciò che scrivo, una possibilità che ovviamente non esiste quando si lavora per la carta, se non altro per motivi di spazio. Ma su Internet, dove lo spazio è praticamente infinito, tu puoi raccogliere montagne di informazioni, di documenti e di prove, materiale che si può organizzare in modi molto interessanti, anche grafici. Il problema è che questo tipo di lavoro costa tanto, sia in termini di tempo che in termini di soldi, ma è certamente una delle strade più interessanti del giornalismo contemporaneo.

Ultimamente si parla molto della fine delle homepage, causata dal fatto che la maggior parte dei lettori arriva ai contenuti direttamente, attraverso i social network, cosa ne pensi?
È vero, ormai le homepage sono quasi completamente irrilevanti. Non so esattamente quanto sia l’impatto dei social sugli accessi di una pagina media, forse la metà? Non saprei. In ogni caso penso che sia una tendenza interessante e che, sebbene mi rendo conto che non faccia bene ai giornali, credo sia un buon segnale per il mondo dei lettori, per le discussioni civili e politiche, ma anche per il ruolo del giornalismo e dellinformazione.

Qual è l’aspetto che ti interessa di più di questa dinamica?
Il fatto che trasforma ogni persona presente sui social network in un potenziale curatore di contenuti e di informazione. Uno dei problemi del periodo precedente a Internet, diciamo fino a una decina di anni fa, quando Internet era ancora ben poco significativo per il mondo giornalismo, il lettore pagava qualche dollaro e riceveva ogni mattina davanti alla porta la copia del suo quotidiano di riferimento. Quella era l’unica fonte di informazione che aveva a disposizione, quella che controllava completamente il suo contatto con le notizie.

Ora cos’è cambiato?
Ora è diverso. Ora capiti sulla homepage di un giornale scegli quali articoli leggere, o sempre più spesso capiti direttamente su un articolo specifico tramite social network o attraverso qualche ricerca su google, il che ti concede la possibilità di allargare moltissimo lo spettro delle tue fonti. È una tendenza che credo sia molto interessante dal punto vista del lettore, anche se effettivamente potrebbe essere problematico per i giornali, che aspirano ancora a diventare per i propri lettori la fonte di informazioni di riferimento.

Questa dinamica sta favorendo anche l’ascesa di singoli giornalisti che, slegati dai grandi quotidiani, riescono a formarsi un pubblico diretto. Cosa ne pensi?
Anche questa è una dinamica molto interessante. Ci sono giornalisti che per venti o trent’anni hanno scritto per giornali importanti, dal New York Times al Washington Post, giornalisti assolutamente noiosi e indegni, che hanno avuto un grande seguito semplicemente perché scrivevano su quelle testate. E la prova è che se questi stessi giornalisti, oggi, si aprono un blog, a seguirli ci sarebbero al massimo una decina di lettori, e questo perché scrivono cose noiose e inutili.

Cosa deve fare un giornalista per conquistarsi un pubblico?
In questo momento un giornalista è in grado di mettersi in proprio e guadagnarsi l’attenzione di un pubblico se produce contenuti originali e interessanti, e questa è una gran cosa. Certo, anche tendenze come questa hanno lati negativi, ma questo è il mondo in cui stiamo vivendo, non possiamo impedire che accada perché Internet concede al lettore una possibilità di scelta enorme su cosa, come e quando leggere.

Ma torniamo sempre allo stesso punto, come fanno a sostenersi economicamente?
Come ti dicevo, io per sostenere la mia attività di blogger chiedevo il supporto economico ai miei lettori. Perché quando apri un blog pensi di avere il diritto di avere un pubblico e di guadagnarci dei soldi, ma il problema è che la rete è talmente enorme che per fare in modo che qualcuno decida di spendere il proprio tempo per leggere ciò che tu, e non altri, scrivono, devi proporgli dei contenuti non solo di alto livello, ma che siano anche unici, originali, contenuti che solo tu puoi dargli. Proprio per questo io, dopo essermi laureato, mi sono concentrato su due o tre argomenti, argomenti di cui sono diventato esperto e di cui potevo parlare in modo originale, unico.

In che senso originale?
L’originalità può riguardare lo stile, lo humor, la prospettiva politica, l’importante è che ci sia una cifra che renda i tuoi contenuti unici per il lettore. Solo così, diventando una parte importante della vita del lettore, gli si può chiedere il finanziamento. Questo credo che sia un modello interessante e promettente.

Cosa ne pensi nella tendenza del giornalismo di qualità di andare verso la produzione di contenuti lunghi, approfonditi e ricchi di contenuti correlati? Pensi che abbiano realmente un pubblico?
Sai, è molto curioso che qualche anno fa, quando ho iniziato a scrivere contenuti online, si pensava che per avere successo si dovesse produrre contenuti brevi e veloci, tipo due o tre paragrafi, e questo era ciò che la maggior parte dei blogger facevano. Io, però, un po’ per il mio stile, un po’ a causa dei contenuti che volevo produrre, cominciai a scrivere articoli molto lunghi, praticamente ogni giorno. Erano articoli pieni di dettagli, di documenti, di prove e in poco tempo mi formai un ampio pubblico. Questo perché i lettori erano estremamente insoddisfatti di ciò che i media tradizionali proponevano loro, ma non perché quei contenuti fossero troppo lunghi — come forse pensavano i media tradizionali — semplicemente perché erano fatti male, perché lo stile, la prospettiva e i ragionamenti su cui si basavano quei pezzi era la solita, una prospettiva vecchia e consunta, e non interessava più a nessuno. Ora c’è veramente un grande desiderio di profondità, di analisi, e chi scrive deve sapere essere coinvolgente, deve avere uno stile e qualcosa di interessante da dire, ovviamente. Se non sei in grado di fare queste cose, nessuno ti leggerà.

Quindi contenuti lunghi, originalità di punti di vista e stile sono le cifre del giornalismo del futuro. Eppure in molti tra i giornalisti guardano male a questo modello, accusandolo di lasciare troppo spazio alla soggettività del giornalista e di comprometterne l’obiettività. Cosa ne pensi?
Tutti gli esseri umani hanno un punto di vista sul mondo che è estremamente soggettivo, è normale, dipende da dove siamo nati, dalla nostra famiglia, dalle nostre passioni, dalle nostre esperienze e da una quantità pazzesca di altri fattori. Per questo sono estremamente convinto che qualsiasi giornalista che pretenda di essere imparziale e oggettivo stia perseguendo semplicemente un mito: è impossibile, irrealistico. Questa dinamica credo possa anche rispondere, almeno in parte, alla domanda sul perché i media tradizionali stiano perdendo credibilità: perché questi media rappresentano se stessi come qualcosa che non sono, dicono di pubblicare solo i fatti, di non scrivere opinioni, ma in ogni singolo articolo, se leggi bene, trovi decine e decine di prese di posizione, di opinioni, di interpretazioni sul mondo. Quindi dichiarare il contrario è qualcosa di simile a una truffa e rovina la credibilità del giornale e del giornalista. Senza contare che questo tipo di giornalismo è estremamente noioso. Non capisco perché eliminare la passione, lenergia, lunicità del proprio punto di vista e usare una scrittura fredda, piatta, fintamente neutrale, una scrittura che non coinvolge assolutamente il lettore, non gli interessa, non provoca in lui nessuna reazione. Sono convinto che, lavorando così, i media tradizionali si stiano letteralmente suicidando.

Se non è l’oggettività, qual è allora lo scopo che deve prefiggersi un giornalista?
Per quanto mi riguarda il giornalismo ha in fondo un unico obiettivo: coinvolgere il lettore nel dibattito politico e delle idee. E se tu non sei in grado di raggiungere e coinvolgere il pubblico non stai facendo un buon lavoro.

Cosa ne pensi dell’esperienza di Buzzfeed, che iniziò qualche anno fa pubblicando solo foto lollose di gattini o liste di cose stupide, mentre ora sta provando a proporre, oltre a questi contenuti, anche le cosiddette big stories, ovvero articoli lunghi e approfonditi, curati da un team di giornalisti di altissimo livello?
Mi piace quello che sta facendo Buzzfeed e conosco bene il direttore, Ben Smith. Credo che sia un modello decisamente interessante, perché, come dicevamo prima, è in grado di coinvolgere i lettori e di aumentare pazzescamente il proprio pubblico. Se vuoi fare del buon giornalismo devi anche trovare il modo di far interessare i lettori a quello che proponi loro. Se sei in grado di attrarre una enorme quantità di lettori attraverso proposte di liste o di contenuti leggeri e veloci e poi, inserendo in quel flusso degli articoli seri, dei longform ben costruiti, riesci a interessare il pubblico che hai coinvolto, credo che tu stia seguendo un’ottima strategia.

Non c’è il pericolo di banalizzare?
Non credo, e ti faccio un esempio. Per quanto riguarda tutta la storia della Nsa abbiamo recentemente venduto i diritti del libro alla Sony per trarne un film e qualcuno ha detto che si trattava di una scelta infelice, che farne un film era un’idea stupida, equivaleva a banalizzare la questione, renderla frivola dandola in pasto a produttori di action movie o di film alla James Bond. Però io credo che la situazione sia questa: Edward Snowden ha messo in gioco la propria vita per diffondere quei dati. Nello stesso tempo c’è una gran quantità di persone che, per ragioni diverse, buone o cattive che siano, non è abituata a leggere articoli e inchieste di questo tipo. Ora, visto che molta di quella gente i film li guarda, produrre un film su questa storia ci permetterebbe di raggiungere un pubblico che prima era fuori dalla nostra portata. Questo deve essere il nostro obiettivo: diffondere la storia. E in qualche modo mi sembra che Buzzfeed stia provando a fare qualcosa di simile: attraggono lettori con liste spesso idiote, divertenti, assurde e poi propongono a quei lettori anche contenuti più seri, lunghi e articolati, prodotti da ottimi giornalisti investigativi.

Ma il pubblico non rischia di essere disorientato?
Ti racconto un altro aneddoto: quando ero a Slate pubblicavamo un sacco di contenuti che erano assolutamente idioti e qualche lettore si lamentava e si chiedeva perché accettassi di lavorare per un sito che pubblicava anche contenuti così stupidi. La mia risposta era che non mi importava come il pubblico arrivava sul sito. Fintanto che io ero messo nelle condizioni di produrre contenuti seri e fatti come volevo, e fintanto che il pubblico li leggeva, sempre più nuemroso, io avrei accettato qualsiasi strategia che fosse in grado di avvicinare più lettori possibili a ciò che scrivevo.

Un’ultima domanda: come vedi il futuro, sei ottimista?
Sì, lo sono. Sono ottimista perché sono convinto che Internet sia una delle più importanti invenzioni della storia dell’uomo e che le possibilità di creatività, di libertà e di esplorazione che offre sono, per quanto mi riguarda, la cosa migliore che abbiamo inventato da molto tempo, credo almeno dalla invenzione della stampa a caratteri mobili. Le possibilità che la rete offre sono talmente tante, e tante sono quelle che possiamo immaginarci per il futuro, che il solo pensarci mi entusiasma. Questa è una delle motivazioni per cui sono convinto che la libertà in rete e la lotta per tenere i governi e il potere fuori da Internet rappresentino una delle cause più importanti da perseguire oggi. Perché se Internet venisse trasformata in un’arma a disposizione dei governi, delle corporation e del potere tutte quelle cose straordinarie e promettenti finirebbero sotto il loro controllo. Mantenere la rete libera è fondamentale per permettere a queste cose di manifestarsi, ma sono ottimista anche su questo.

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