«La domanda ultima che ci dobbiamo porre è il valore che un Paese dà alla libertà. Perché avere la possibilità di compiere un’azione non implica che poi le persone debbano compierla per forza. Se uno stato proibisce un’azione, la proibisce per tutti, mentre se dà ai cittadini la possibilità di scelta, permette a chi vuole di compierla e a chi non vuole di non compierla. C’è la libertà di coscienza individuale. Su questo secondo me l’Italia è molto indietro, e il dibattito è carente. Poi all’interno di questo contesto, può esistere un altro dibattito, sul perché sia giusto o meno compiere un’azione. Ma deve esistere la possibilità di scelta». Sono le parole di Andrea Boggio, giurista e scienziato sociale, docente di diritto presso la Bryant University, nel New England in Usa, che per l’“Associazione Luca Coscioni” ha stilato il primo rapporto mondiale sulla libertà di ricercatori e pazienti in diverse aree legate al campo biomedico. Non sorprende di trovare l’Italia ad appena il 30esimo posto su 43, nonostante appartenga alla categoria dei Paesi più sviluppati, che dovrebbero garantire quindi maggiori livelli di libertà. Al vertice Belgio, Paesi Bassi e Stati Uniti mentre in fondo alla classifica troviamo Marocco, Egitto e Filippine.
Per realizzare la classifica i ricercatori sono andati a vedere cosa dice la legislazione dei 43 Paesi considerati (quelli di cui possedevano tutti i dati completi) su quattro aree strategiche fondamentali: aborto, riproduzione assistita, staminali embrionali e fine vita. Il grado di libertà è stato misurato in base alla possibilità o meno di un soggetto (spesso il paziente) di fare certe scelte relative alla propria vita e salute. «Questo ci ha permesso di avere una risposta binaria, sì o no, nella maggior parte dei casi», spiega Boggio, «traducibile in un punteggio. La somma di queste risposte ha permesso di costruire la classifica».
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Andando a vedere le diverse aree nel dettaglio – per ognuna delle quali è stata costruita una singola mappa – si scopre che l’Italia permette libertà differenti nei diversi contesti. Si piazza infatti al 27esimo posto (su 43 Paesi) per quanto riguarda le fecondazione assistita, al 45esimo (su 192) per l’aborto, al 26esimo (su 36) per il fine vita, e al 32esimo posto (su 43) per la ricerca con embrioni e staminali embrionali (il diverso numero di Paesi considerati dipende dai dati a disposizione). Per quanto riguarda l’aborto va considerato che in Italia per esempio, nonostante le legge sia permissiva, poi nella pratica viene attuata poco, a causa dell’elevata presenza di medici obiettori, che di fatto precludono questo diritto alle donne italiane. L’obiettivo del lavoro però, come spiega Boggio, era in primis individuare l’impalcatura legislativa fornita ai cittadini in ciascun Paese. Poi quello che succede all’interno di questa cornice è un’altra domanda, che richiede una risposta più complessa e di tipo qualitativo. Per ovviare a questo problema i ricercatori a breve pubblicheranno delle schede per ciascun Paese, per raccontare cosa succede al loro interno.
L’indice di libertà nasce anche con l’idea di fare delle analisi comparate fra i diversi Paesi, e sulla base di questi indicatori capire come si colloca un Paese in relazione agli altri. «L’Italia in questo confronto non è molto avanti», afferma Boggio, «considerando anche che parliamo del 25% dei Paesi che hanno una legislazione ed è possibile esaminare». In questa piramide l’Italia si posiziona abbastanza in basso e a fare da zavorra è soprattutto la legge 40, che però un po’ per volta è stata demolita. «Abbiamo appena aggiornato i dati della mappa sulla fecondazione eterologa, dove l’Italia, grazie alle recenti decisioni della Corte Costituzionale, ha già fatto dei passi avanti. Il peso più grande a questo punto resta la ricerca con gli embrioni, di cui la Corte di giustizia europea si occuperà a giugno».
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Un altro fardello che appesantisce non poco il nostro Paese sono le scelte sul fine vita: non tanto per una situazione di proibizione quanto di assenza legislativa. «Aborto, contraccezione e riproduzione assistita hanno una vita politica, di attivismo e discussione pubblica più lunga delle scelte di fina vita, che sono emerse nel panorama della discussione politica solo negli ultimi anni», spiega Boggio, che racconta anche di aver dato un bonus di punti ai Paesi con una legislazione permissiva sull’eutanasia, perché si tratta di uno dei temi di frontiera dell’autodeterminazione in medicina su cui il dibattito politico è abbastanza lento in diverse parti del mondo. Come in Italia, appunto.
«Al Nord alcuni paesi come Belgio, Olanda e Svizzera, hanno deciso di attuare delle legislazioni più innovative, in cui si afferma un diritto a poter ottenere un suicidio assistito sotto diverse forme», prosegue Boggio. «Nel nostro Paese siamo ancora lontani dalla liberalizzazione dell’eutanasia, ma prima di arrivarci è giusto che si instauri una discussione e cresca la maturazione politica. Uno dei motivi per cui l’associazione Luca Coscioni, ha commissionato questo studio è proprio per contribuire al dibattito politico interno a livello nazionale, ma fa parte di un processo di crescita che richiede tempo. Un altro tema su cui l’Italia è molto indietro, invece, sono le direttive anticipate, cioè la possibilità di decidere per il nostro futuro. Come è successo per Eluana Englaro. Esiste il principio costituzionale italiano del diritto alla salute, e questo secondo me dovrebbe essere un estensione abbastanza ovvia».
Nonostante tutto, Andrea Boggio si dice ottimista ed è convinto che sotto questa apparente calma in realtà ci sia un quadro dinamico e in evoluzione. Anche in Italia, dove a fare il grosso del lavoro è più la Corte costituzionale che il dibattito parlamentare. «Quella di raggirare il parlamento usando il grimaldello delle Corti è un’idea molto nuova che Filomena Gallo, segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, sta portando avanti da diverso tempo. Già in passato hanno fatto tanto, come è accaduto per la legge 40, demolita proprio grazie al loro intervento. Il presidente Napolitano supporta questi temi, e il nuovo Papa ha cambiato tono. Insomma ci vorrà un po’ di tempo, ma io sono fiducioso».