Nell’Italia della disoccupazione al 13%, del disagio lavorativo e dei contratti sì-contratti no, adesso manifestano anche coloro che sul lavoro devono vigilare: gli ispettori del lavoro, appunto, diventati i nemici principali degli imprenditori in difficoltà. Per la prima volta in un secolo di storia, si sono dati appuntamento per giovedì 8 maggio in via Veneto a Roma, davanti alla sede del ministero del Lavoro, da cui dipendono.
La scintilla che ha fatto risvegliare una categoria che mai era scesa in piazza è stata la pioggia di critiche feroci successive alla morte di Eduardo De Falco, il pizzaiolo di Casalnuovo (Napoli) che a fine febbraio si è suicidato dopo aver ricevuto una multa da parte dell’Ispettorato. Gli ispettori, racconta Il Corriere del Mezzogiorno, avevano trovato la moglie intenta ad aiutarlo nella pizzeria-panificio e gli avevano contestato il fatto che la donna non avesse un contratto di lavoro. Il risultato era stata una multa di poco più di 2mila euro. Pena la chiusura dell’attività.
Da lì, raccontano dalle Direzioni territoriali del lavoro di tutta Italia, sarebbe partita «una vera e propria “gogna” mediatica», seguita da aggressioni anche fisiche ai danni degli ispettori in missione. “Istigatori al suicidio”, “corrotti, intascatori di tangenti”, tra gli appellativi più gentili. E al funerale di De Falco erano stati portati cartelli che definivano “assassino” l’ispettore che aveva comminato la multa. «È stato detto e scritto di tutto e siamo stati incolpati di carenza di tatto», spiega Patrizia Onofri dalla Direzione territoriale del lavoro di Ascoli Piceno, tra gli organizzatori della manifestazione. «Il punto è che noi abbiamo regole scritte che non possiamo dosare. Nei programmi televisivi siamo stati accusati di essere responsabili dei suicidi, ma nessuno nel marasma mediatico ci ha aiutati a fare chiarezza, e dal ministero del Lavoro c’è stato un grande silenzio». E, continua, «da quel giorno è stato impossibile lavorare. Siamo stati oggetto di offese e ingiurie. In alcuni casi sono state usate le mani e i casi di intolleranza si sono moltiplicati in tutta Italia». Tra Bari, Brescia, Milano, Siena, per citare solo gli ultimi casi in ordine di tempo, alcuni sono finiti in ospedale.
Da una parte gli ispettori, funzionari pubblici che devono vigilare sul rispetto delle leggi. Dall’altra gli imprenditori, con la galassia di contratti più o meno irregolari che oggi popolano (quasi) ogni luogo di lavoro. «Lo sappiamo che il momento è delicato», ammette Patrizia Onofri. «Noi come cittadini abbiamo sulla nostra pelle la situazione gravosa che si sta vivendo e lo sappiamo bene. La situazione è pesante, ma facciamo questo tipo di lavoro. Certo, non ci hanno mai accolto con il tappeto rosso, ma così non siamo mai stati trattati».
«Siamo stanchi di essere diventati i capri espiatori di un diffuso malessere vissuto dalle imprese», commenta Carmine Santoro, della Direzione provinciale del lavoro di Milano e di Como, «gli ispettori scendono in strada per rivendicare la loro dignità di lavoratori».
E una volta che si scende in piazza, meglio tirare fuori tutti i rospi. «Andiamo fuori a fare le ispezioni con le nostre macchine, quelle che compriamo noi», dice Onofri, «e per il rimborso delle spese della benzina, che noi anticipiamo, aspettiamo anche mesi. Non solo: per un’ora di lavoro all’esterno riceviamo la cifra irrisoria di 86 centesimi». Rischiando non poco, soprattutto in un momento di tensione come questo. Il tutto, per stipendi di 1.200-1.500 euro, a seconda della anzianità di servizio. «Siamo ufficiali di polizia giudiziaria a tutti gli effetti, a volte troviamo situazioni di cui dobbiamo riferire all’autorità giudiziaria, ma non siamo inquadrati come tali e non riceviamo alcuna indennità per questo». Nei Distretti territoriali del lavoro i sono nuclei dei Carabinieri per la tutela del lavoro che “scortano” le ispezioni ci sono pure. Ma il personale, come sempre, è carente: ad Ascoli, ad esempio, su 25 ispettori i carabinieri sono solo due. E da dicembre il ministero guidato da Giuliano Poletti ha previsto l’assunzione di 250 nuovi ispettori.
«Paghiamo di tasca nostra circa 300 euro all’anno per assicurarci contro il danno erariale e le spese giudiziarie in caso di contenzioso», racconta Santoro, «molti di noi si sono dimessi perché hanno avuto occasioni migliori e perché in queste condizioni è difficile andare avanti. Altri ispettori del lavoro hanno anche chiesto di essere trasferiti in altre amministrazioni, ma il ministero nega i nullaosta in uscita, altro che mobilità su base volontaria».
La lista delle richieste da portare in piazza è lunga, come si vede. Si chiede il rinnovo del contratto nazionale. E ci sono anche le richieste di una polizza assicurativa a carico del ministero del Lavoro che possa coprire i rischi che si corrono durante le ispezioni e gli atti vandalici sulle automobili, oltre che di un rimborso per la manutenzione delle auto usate perché, dicono, «con il solo uso dei mezzi pubblici il numero delle ispezioni crollerebbe».
Poi vengono criticati anche i criteri delle ispezioni. «Si richiede un ritorno al passato», scrivono in un comunicato gli ispettori, quando «le ispezioni erano effettuate per svolgere una reale azione di tutela dei soggetti più deboli, e dove non c’era una mera corsa a numeri, vuoti di significato, buoni soltanto per i proclami sulla stampa». E aggiungono, anzi, che «i recenti inasprimenti delle sanzioni risultano smisurati rispetto alla situazione che si propongono di sanare, creando situazioni di oggettiva insostenibilità da parte dei datori di lavoro», considerato che «le sanzioni sul lavoro nero e sulla sospensione dell’attività colpiscono, irragionevolmente, le aziende più piccole, quindi le più fragili, in questo momento di crisi profonda».