L’Unione europea, una montagna di sprechi?

L’Unione europea, una montagna di sprechi?

Con la lunga crisi economica e il crescere costante dell’euroscetticismo il budget europeo e i modi in cui viene speso sono diventati un argomento caldo della campagna elettorale per le elezioni Europee. Sotto accusa, negli ultimi mesi, sono in particolare i costi che i singoli Stati pagano per la loro presenza all’interno dell’Unione, gli sprechi della burocrazia comunitaria e soprattutto i fondi destinati alla voce più importante del budget europeo, ovvero la Politica Agricola Comune, detta semplicemente Pac (o Cap, nell’acronimo inglese).

Iniziamo con la Pac, che negli ultimi mesi è stata tirata in ballo soprattutto dai politici d’Oltralpe. Alcuni, come il candidato alla Commissione del Partito Popolare Europeo Jean-Claude Juncker, ne hanno difeso gli ingenti fondi sottolineando che l’agricoltura tra i Paesi membri dell’Unione europea occupa circa 30 milioni di persone. Altri, come il candidato del Partito Liberale Guy Verhofstadt, hanno invece ironizzato sulla grande sproporzione tra i 277 miliardi destinati dal 2014 al 2020 alle politiche agricole e le cifre ben inferiori destinate dall’Unione ad altri settori strategici.
Ma in cosa consiste esattamente la Politica agricola comune? E perché da decenni le politiche agricole rappresentano la voce più importante del budget dell’Unione europea (e ancora prima della Cee, Comunità economica europea)?
La Pac è stata fondata per perseguire due obiettivi non sempre coincidenti: da una parte assicurare una produzione sicura e abbondante di generi alimentari per i consumatori europei, e dall’altra garantire un tenore di vita dignitoso per gli agricoltori dei Paesi membri. Negli ultimi anni, inoltre, la difesa delle produzioni e degli ambienti rurali è assurta a terzo principale obiettivo, la cui importanza va oltre la semplice sicurezza alimentare ma investe direttamente i temi della preservazione del territorio e dell’ambiente.

Proprio a causa dell’importanza strategica che le politiche agricole rivestono sotto molti aspetti, sin dalla fondazione della Pac, nel 1963, è apparsa chiara agli Stati membri la necessità di coordinarsi su questi temi per evitare qualunque conflitto fra norme o politiche nazionali di supporto ai produttori, al fine di massimizzare produzione e qualità in modo omogeneo in tutta l’Unione. Ciò ha trasformato l’agricoltura nel primo – e per ora unico settore – completamente regolato e (quasi[1]) completamente finanziato a livello europeo.
Ciò significa che le politiche agricole non hanno quasi alcun peso sui budget dei singoli stati e vengono coperte completamente dal budget comunitario. Questo spiega il motivo per il quale questo settore rappresenta da tempo la voce di spesa più importante – ben il 39,8 per cento – dell’Ue. Altri settori che vedono una coordinazione fra gli Stati membri (trasporti, comunicazioni ecc.) per il loro sviluppo vengono invece sempre finanziati congiuntamente dal budget UE e da quelli dei singoli Stati.

A questa peculiare caratteristica della Pac si deve dunque l’apparente sproporzione fra i fondi destinati dal budget europeo all’agricoltura e quelli destinati ad altri settori strategici. Se, per esempio, comparassimo le risorse destinate dall’Unione europea al settore agricolo col totale speso per investimenti pubblici in tutti i settori sia a livello europeo sia a livello nazionale scopriremmo che il supporto economico al settore agricolo europeo pesa in totale (spese nazionali più spese europee) per meno dell’1 per cento[2]. È quindi semplicistico comparare, come fa Verhofstadt – che comunque cita dati corretti -, i fondi destinati dall’Unione europea all’agricoltura con quelli destinati alle infrastrutture digitali. Mentre infatti i fondi destinati alla Pac rappresentano il totale per ciò che viene speso per l’agricoltura in Europa, i fondi destinati dall’Ue alle infrastrutture digitali non sono altro che una (spesso piccola) parte del totale, mentre il resto viene fornito dai budget dei singoli Stati a seconda delle strategie nazionali per il settore. Da sottolineare, infine, è il fatto che la percentuale del budget europeo destinato alla Pac è andata progressivamente ridimensionandosi negli anni, dal 75 per cento di trent’anni fa all’attuale 39,8 per cento[3].

Proseguiamo ora con le spese della burocrazia europea. Su questo tema, come prevedibile, si sono concentrati soprattutto i leader delle formazioni più critiche nei riguardi dell’Europa. Scartabellando fra le dichiarazioni più recenti troviamo quella del leader euroscettico britannico Nigel Farage, il quale sostenendo la necessità della la Gran Bretagna di lasciare l’Ue accusa l’Europa di costare ai cittadini britannici 55 milioni di sterline al giorno. Analizzando sia i dati pubblici del tesoro britannico sia i dati forniti dall’Unione europea si scopre però che i contributi totali del Regno Unito ammontano a poco più di 13,5 miliardi di sterline, che diventano circa 32 milioni se divisi per i 365 giorni dell’anno. Se però a questo calcolo aggiungiamo anche i contributi che l’Unione europea versa alla Gran Bretagna (5,7 miliardi di sterline) scopriamo che il contributo netto giornaliero dei sudditi di Sua Maestà si limita a 15 milioni al giorno.

Sempre sul tema delle spese e degli sprechi del budget comunitario a fare capolino qui in Italia c’è sempre  Beppe Grillo, il quale denuncia la tradizione di spostare l’intera attività parlamentare, una volta al mese, da Bruxelles a Strasburgo. Un accentramento delle funzioni parlamentari nella sola Bruxelles ci consentirebbe, a suo dire, di risparmiare ben 150 milioni di euro l’anno. Cifra esatta e confermata da uno studio condotto nel 2002 dalla Segreteria Generale del Parlamento Europeo, che prevedeva un risparmio teorico annuale di 150-204 milioni di euro. Peccato però che la divisione geografica delle attività parlamentari sia sancita dai trattati istitutivi dell’Unione, che per essere cambiati richiedono l’approvazione di tutti gli Stati membri (e quindi anche della Francia, che difficilmente rinuncerà all’indotto economico generato dal trasferimento mensile a Strasburgo).

Anche il leader del M5S non sfugge però a incredibili esagerazioni: accusa infatti le istituzioni comunitarie di sprecare ben un terzo del budget europeo – ovvero quanto viene speso per l’intera Pac – per tradurre tutti i documenti burocratici in tutte le 24 lingue ufficiali. Anche in questo caso i dati sono pubblici e smentiscono nettamente la dichiarazione del leader del M5S. Secondo il rapporto su questo tema pubblicato dal   Direttorato della Commissione Europea per le Traduzioni, “la stima approssimativa del costo dei servizi linguistici in tutte le istituzioni europee ammonterebbe a meno dell’1 per cento del bilancio annuale dell’Unione europea”. In pratica circa 2 euro all’anno per ogni cittadino comunitario. È probabile che Grillo si confondesse con il dato relativo alle spese per il personale sostenute, però, dal budget del solo Parlamento europeo (e non dell’intera Ue), che ammontano effettivamente a un terzo del totale. Anche in questo caso, però, le spese destinate alle sole traduzioni sono soltanto una frazione.

Come abbiamo visto anche per molti altri temi caldi di questa campagna elettorale, le dichiarazioni dei politici europei riguardanti il budget europeo si prestano spesso a semplificazioni e grossolani errori.  A facilitare tutto questo la difficoltà per l’elettore medio di reperire dati certi su questi temi, che in realtà sono disponibili e accessibili online.

Qui i dati sulla Politica agricola europea dopo l’ultima riforma e quelli sui finanziamenti


[1] Per una analisi completa della nuova riforma della Pac e del sistema di finanziamento: http://ec.europa.eu/agriculture/policy-perspectives/policy-briefs/05_en.pdf

[2] European Commission, Agriculture: A Partnership between Europe and Farmers, The European Union Explained (2013); http://europa.eu/pol/pdf/flipbook/en/agriculture_en.pdf

[3] Ibidem 

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