«Come puoi essere orgoglioso di un’Europa che lascia 6 milioni di giovani a casa? La generazione più qualificata che abbiamo mai avuto? Amo l’Europa, ma voglio cambiarla». Martin Schulz racconta un’Europa dal volto sociale, che concili crescita e giustizia. E lo fa mischiando lucidità, concretezza e ambizione. Ora potrebbe passare dal vertice del Parlamento europeo, di cui è presidente uscente, a quello della Commissione. Insieme a Jean-Claude Juncker i sondaggisti lo danno come grande favorito.
È una candidatura poco controversa la sua – Ed Miliband e Labour a parte -, che ha la forza di una indiscussa competenza sull’universo istituzionale brussellese unita a grande coerenza politica. Chissà se Renzi, leggendone il curriculum, lo avrebbe rottamato con D’Alema. Ora viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda, ma il suo percorso Schulz l’ha cominciato a 19 anni, nelle fila dell’Spd, il partito socialdemocratico tedesco. E a 31 anni è diventato sindaco di Würselen, carica che ha mantenuto per 11 anni.
In Italia lo abbiamo conosciuto come il Kapò di Berlusconi e, più di recente, come il Krapò di Grillo, ma il leader tedesco siede all’Europarlamento tra i socialisti del Pse dal 1994, e di nazionalismo non vuol sentir parlare. È un uomo di confine. Nato in un piccolo borgo del Nord-Reno Westfalia tra Germania, Belgio e Olanda, a 600 chilometri da Berlino e appena 150 chilometri da Bruxelles, sua città d’adozione. «Mi sento privilegiato di essere europeo, per essere cresciuto all’interno di un’entità politica che è riuscita a superare l’odio e creare uno spazio di libertà, pace e prosperità. E non vorrei essere altro che europeo. Ma l’Europa non sta andando nella giusta direzione».
È di gran lunga il più seguito sui social network tra i candidati, con 108mila followers su Twitter, e una pagina Facebook che si è attirata 126mila like. Ma per lo scoglio del 25 maggio è consapevole che ci vuole ben altro che un appoggio virtuale.
Vuole diventare il primo presidente della Commissione che risulti dal voto popolare. Crede che questo sia un sistema politico realmente democratico?
L’Unione europea rimane un caso speciale. Il prossimo presidente della Commissione europea ha bisogno di una maggioranza sia al Consiglio che al Parlamento europeo. Ma questa volta è la gente a decidere, e determinerà con il suo voto il presidente della Commissione. Tutti i gruppi politici hanno promesso di attenersi alla scelta di un presidente che dovrebbe essere uno di quelli candidati.
Per la prima volta gli elettori possono scegliere tra una rosa di candidati. Per la prima volta assistiamo a elezioni che si giocano su questioni realmente europee: immigrazione, commercio, governance economica e l’euro. E per la prima volta abbiamo avuto dei dibattiti tra “candidati di punta” alla presidenza della Commissione. Questo è un passo avanti enorme. In breve, si, ci stiamo muovendo decisamente verso un sistema più democratico e “accountable” (responsabile e trasparente di fronte ai cittadini, ndr).
Gli ultimi sondaggi disponibili danno il Partito popolare europeo al primo posto per pochi seggi. Dobbiamo aspettarci Larghe intese anche in Europa con una manovra di corridoio per la prossima Commissione?
Ho letto ogni sorta di sondaggi. Alcuni mettono i popolari in testa, altri i socialisti. Ma non intendo speculare sul post-elezioni. I miei sforzi, fino all’ultimo minuto della campagna saranno tesi a massimizzare i risultati dei progressisti: la sola alternativa credibile per un ribilanciamento dell’Europa, per mettere la battaglia contro la disoccupazione, specialmente quella giovanile, in cima all’agenda politica, per aumentare l’accesso al credito delle Pmi. Per essere certi che un’idea riceva credito per quello che vale e non in base a dove viene, affrontando l’evasione fiscale e l’elusione delle grandi corporazioni, che pongono le Pmi in svantaggio competitivo e distruggono le condizioni di concorrenza per gli imprenditori onesti.
Nell’attuale Commissione ci sono 9 donne su 28 commissari. In Italia Renzi ha fatto una scelta chiara in favore della parità di genere nel suo governo e nelle liste al Parlamento europeo. Qualche speranza di vedere lo stesso ribilanciamento in un’eventuale Commissione Schulz?
Il passo di Renzi è stato lodevole e dovrebbe essere seguito. Se sarò eletto presidente, chiederò agli Stati membri di presentare candidate donne alla Commissione, con l’obiettivo di raggiungere una composizione al 50 per cento femminile. Avrò bisogno del supporto degli Stati membri, ma questo è il mio obiettivo.
Renzi ripete come un mantra che sostiene gli “Stati Uniti d’Europa”. Nel suo ultimo libro “Il gigante incatenato” (Fazi ed.), lei scrive che da giovane sognava gli USE ma ora riconosce la forza delle identità nazionali. Quando però il nazionalismo diventa pericoloso?
C’è una grande differenza tra l’essere fieri della propria identità nazionale ed essere nazionalisti. Il nazionalismo per me ha sempre una connotazione negativa perché ha l’obiettivo di escludere, e non di includere. Ha una connotazione di superiorità più che di valori condivisi e può essere usato per isolare, discriminare, denigrare e aggredire gli altri. L’identità nazionale è un’altra cosa. Significa amare un Paese, senza nasconderne problemi o difetti, accettando le sue contraddizioni o idiosincrasie, le sue consuetudini e tradizioni. L’identità nazionale è una categoria culturale, non della moralità. Ed è particolarmente valida quando c’è la Coppa del mondo! Quando parlo degli Stati Uniti d’Europa intendo che non c’è volontà negli europei per un super-Stato. Gli europei vogliono prima di tutto un’Europa che sia una forza positiva nella soluzione dei loro problemi quotidiani, che corregga le storture della globalizzazione, che parli al mondo su questioni come gli abusi dei diritti umani, il riscaldamento globale o il commercio internazionale.
Secondo un sondaggio del Pew Research Center tra il 2007 e il 2013 i favorevoli all’Ue sono scesi di 20 punti in Italia e il 44 per cento degli italiani vuole tornare alla lira. Cos’ha da dire a questi disillusi?
Ho visto il sondaggio…e ne ho avuto anche esperienza diretta. Ascolto e parlo molto con gli italiani. Durante la campagna ho parlato con disoccupati giovani e non, studenti, imprenditori di successo e businessmen che combattono con il credit crunch. Ho visto rabbia, disillusione e frustrazione. La gente giustamente mi chiede: com’è possibile che troviamo miliardi per salvare le banche, ma solo noccioline per la disoccupazione in generale e quella giovanile in particolare? La gente è meno sistemica delle banche? A queste persone dico di non farsi abbindolare dalle prospettive di pericolose scorciatoie come l’uscita dall’euro. L’euro ha servito bene gli europei, è diventata una valuta internazionale, ha protetto i risparmiatori, rafforzato il mercato unico, messo fine all’incertezza dei tassi di cambio e ha attutito gli shock economici. Molto è stato fatto dalla Bce di Mario Draghi per lasciarsi alle spalle la crisi. Il problemi dell’area euro non risiede nella valuta, ma nella sua governance. Dobbiamo rafforzarla, in modo che l’Ue non funzioni solo per controllare la sostenibilità fiscale, ma come partner per la crescita. Nella mia Commissione intendo anche dare maggiore importanza alle questioni sociali durante il semestre europeo. È folle dare enfasi al fatto che uno Stato sia in una condizione economica sana quando deficit e debito sembrano sotto controllo, ma la crescita è stagnante, le inuguaglianze crescono e disoccupazione e povertà sono in forte espansione. Io voglio che l’Ue e i suoi Stati membri agiscano quando la dimensione sociale dell’Unione economica e monetaria viene meno.
Crede che Beppe Grillo e Silvio Berlusconi siano due facce della stessa moneta?
Grillo e Berlusconi hanno qualcosa in comune: sono entrambi carismatici, non hanno paura di fare battute, anche di dubbio gusto, e hanno mostrato che possono avere grande empatia con il pubblico italiano. Sono anche marcatamente populisti, nel senso che sferrano attacchi quotidiani contro lo Stato italiano e le sue istituzioni. Ritraggono se stessi come estranei alle vicende italiane, mentre sono astuti e navigati power-players e politici. Non lavorano per riformare, ma per erodere la fiducia pubblica. Tuttavia, il bersaglio è diverso. Berlusconi alimenta la sfiducia contro i magistrati. Grillo contro i pilastri della democrazia italiana come Napolitano e la democrazia rappresentativa.
A Berlino Alexis Tsipras è il “piantagrane” che vuole abolire un debito ingiusto. A Roma e nel Sud Europa Angela Merkel è considerata la causa della “germanificazione dell’Europa” che dimentica i 27 milioni di disoccupati europei. Qual è la sua “terza via”?
Non amo parlare di “terze vie”. Troppe strade possono essere “terze”. Quei 27 milioni di disoccupati, di cui 5 milioni di giovani, saranno la bussola della mia azione come presidente della Commissione. Prioritario sarà riportare credito all’economia reale, aiutare le imprese a investire nelle persone invece che nella speculazione dei mercati finanziari, espandere il raggio del mercato unico a beneficio delle imprese, dei lavoratori, dei consumatori, implementare rapidamente l’unione bancaria per evitare che i contribuenti non si trovino di fronte al rischio di pagare il comportamento spericolato delle banche.
Standard sociali minimi a livello europeo. Missione impossibile?
No. Come presidente della Commissione mi assicurerò che i lavoratori europei non siano vittime di dumping sociale. Sono a favore di un salario minimo in Europa, diverso per ogni Paese, ma che permetta a ognuno di vivere con dignità. Secondo, assicurerò che negli accordi internazionali sia rispettata una semplice regola: che nessun accordo internazionale mini i nostri standard sociali, le regole di protezione dei dati e la protezione dell’ambiente. E mi assicurerò che la politica di concorrenza non sia interpretata come una via per darci la “zappa sui piedi”, ma piuttosto come un insieme di regole che ci renda più forti.
Gerhard Schröder nel 1998 ha descritto l’euro come un parto prematuro e malaticcio. Si è ripreso?
L’euro ha eliminato i costi legati al cambio delle valute, ha accresciuto la trasparenza dei prezzi, ha creato un level playing field per gli imprenditori, ha facilitato il commercio internazionale e ha dato all’Ue una voce più forte nel mondo. Le dimensioni e la forza dell’area euro la proteggono anche dagli shock economici esterni, o dalle turbolenze politiche interne. La crisi degli ultimi cinque anni non è mai stata una crisi dell’euro. È stata una crisi del credito, della governance e del debito.
Gli eurobond sono un’utopia?
Sono realistico su questo. Non c’è volontà politica e non ci sono le condizioni giuste per introdurli. In futuro resta una possibilità avere obbligazioni comuni per una valuta comune, ma come ho detto le condizioni devono essere quelle giuste.
E la cosiddetta Tobin Tax invece? È una misura utile se adottata da 11 Paesi su 28?
Si, lo è. La tassa sulle transazioni finanziarie è una questione di prudenza, equità e che ha senso economico. I cittadini hanno pagato con i loro soldi la stabilità e gli eccessi di rischio del settore finanziario. Voglio assicurare che il settore finanziario dia un contributo equo e sostanzioso alle finanze pubbliche. E piuttosto che avere legislazioni nazionali diverse, in un mercato altamente integrato e fluido, ha molto più senso avere questa tassa a livello europeo. Cominceremo con la cooperazione rafforzata, e poi convinceremo altri a partecipare. È solo un primo passo, dobbiamo espandere la portata di questa tassa e assicurare che siano coperti tutti i prodotti finanziari.
Si stima che con una sede unica il Parlamento europeo risparmierebbe 180 milioni di euro l’anno. Lei è il presidente uscente del Parlamento europeo oltre a essere candidato alla Commissione. Non è il momento di una spending review delle istituzioni europee?
Per quanto riguarda la sede del Parlamento europeo abbiamo espresso la nostra posizione chiaramente nelle nostre risoluzioni, chiedendo una sede unica, ma questa posizione è osteggiata da alcuni Stati membri e lei sa che serve l’unanimità per cambiare i Trattati.
Sicuramente, come presidente della Commissione, assicurerò che il prezzo che i cittadini pagano per l’apparato europeo sia minimizzato. Dobbiamo non meno ricordare che il budget dell’Unione europea corrisponde solo a circa l’1 per cento del Pil dei 28 Stati, mentre il budget dei Paesi membri conta per il 44 per cento del Pil in media. L’Ue è un affare piuttosto buono: costa poco, ha un’amministrazione ridotta (dell’ordine di grandezza di una capitale europea come Parigi), ha sempre un budget bilanciato e porta con sé enormi vantaggi: un mercato unico, la libertà di circolazione, gli investimenti in coesione, agricoltura, ricerca e infrastrutture e la cittadinanza europea. L’Ue è già una struttura abbastanza agile e leggera, ma sono d’accordo che possiamo e dovremmo fare anche meglio.
Lampedusa e le sue continue tragedie potrebbero essere viste come il fallimento del burden sharing. Come dovrebbe reagire l’Ue per assumersi le sue responsabilità? Che fine ha fatto la direttiva del 2001 che promuoveva un bilanciamento degli sforzi fra Stati membri?
L’Europa deve prendersi con urgenza le sue responsabilità per fermare la catastrofe nel Mediterraneo. Non possiamo continuare a girare la testa dall’altra parte lasciando Italia, Spagna, Grecia, Malta da sole di fronte a queste drammatiche conseguenze. Ogni vita persa nel Mediterraneo è una macchia sulla nostra civilizzazione. La gestione delle frontiere non è una questione di Lampedusa o della guardia costiera italiana, è una questione europea. Siamo il continente più ricco del mondo e ancora non dimostriamo solidarietà e umanità. Dobbiamo condividere in modo più equo le responsabilità tra i 28 Stati membri, accettando una semplice verità: l’Europa è un continente di migranti, ma non abbiamo una politica di immigrazione comune. Abbiamo bisogno di crearla subito, perché ogni volta che una nave affonda, sono i nostri valori a colare a picco.
Di recente ha twittato che il suo libro preferito è il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi?
Ho sempre pensato che quella citazione non renda giustizia né al Gattopardo né a Tomasi di Lampedusa. Amo questo libro perché penso sia un’analisi lucida, non necessariamente un endorsement al conservatorismo e, in parte, anche al trasformismo. Trovo il suo stile sublime, e condivido la passione che traspare per un’isola – la Sicilia – che nonostante le sue contraddizioni è impossibile non amare.