“Noi imprenditori al fianco degli operai, non mostri”

“Noi imprenditori al fianco degli operai, non mostri”

«In cinquant’anni di attività abbiamo dato lavoro a oltre duecento persone e non abbiamo mai lasciato a casa nessuno». Fabio Marchesi, uomo di mezza età dai capelli grigi e dalla grande energia, è orgoglioso della sua azienda. Da come parla si capiscono molte cose: la sua identità operaia prima ancora che imprenditoriale per esempio, e soprattutto la voglia di “sporcarsi le mani” perché, dice, «non chiederei mai a un operaio di fare un lavoro se prima non l’ho fatto io».

Marchesi è uno dei tanti imprenditori del tessuto lombardo, nonché membro del comitato di Confindustria Pavia. La sua Omav Srl – Officina meccanica alta Valtidone – produce serbatoi e reattori in acciaio tra le colline dell’Oltrepo pavese, ed è composta attualmente da otto operai e tre impiegati. Come tante, troppe, altre piccole realtà ha risentito del «terribile 2009», ma è tornata a fatturare in positivo già dall’anno successivo. Lo stesso purtroppo non si può dire di altre imprese locali: nel 2009 l’associazione degli industriali pavesi comprendeva oltre seicento iscritti, attualmente i soci sono meno di quattrocento. Molti hanno chiuso e altri si sono spostati nel Canton Ticino, attirati da una pressione fiscale quasi inesistente (8,5%) se paragonata a quella italiana (68,5%).

Com’è noto, la piccola e media industria costituisce il 90% del tessuto produttivo nazionale. È stato ricordato qualche giorno fa durante un convegno milanese di Federmeccanica, la Federazione sindacale dell’industria metalmeccanica iItaliana, al quale hanno partecipato anche Assolombarda e Confindustria. Il vice presidente per la Piccola industria, Alberto Zamperla, ha sottolineato come «qualche positivo segnale sta arrivando dall’attuale governo, ma occorre avere coraggio e puntare sulla crescita per consolidare l’uscita dalla fase recessiva e dare rilancio alla nostra impresa e alla nostra economia». 

«Gli imprenditori sono disperati», sono state le parole del presidente Fabio Storchi durante il suo intervento, «Federmeccanica chiede semplificazione delle regole, flessibilità, costo del lavoro, certezza del diritto e tutele sociali». Anche se, come ha sottolineato Silvia Spattini, direttore e ricercatrice del centro studi Adapt, i continui interventi normativi a loro volta determinano incertezza: «Continuare a modificare le leggi sul lavoro disincentiva a sperimentare la nuova normativa o le tipologie contrattuali, producendo immbobilismo e non dinamismo». D’accordo anche Pierangelo Albini, direttore lavoro e welfare per Confindustria: «Le riforme si fanno con la gomma e non con la matita. Abbiamo bisogno di togliere e non di aggiungere».

I piccoli imprenditori sono un mondo a parte, con esigenze e specificità molto lontane dalle dinamiche di grandi imprese dove gli operai sono identificati con una matricola. Nelle piccole imprese i dipendenti hanno un nome un cognome e capita frequentemente che tra datore di lavoro e operaio si instauri un rapporto di fiducia. Nell’immaginario comune, al contrario, il proprietario è sempre più spesso identificato come un nemico, capace di ragionare e agire solo in base ai propri interessi. È colui che sfrutta i lavoratori ed evade le tasse. Per rimediare a questa idea distorta della realtà Storchi annuncia «un piano di comunicazione ad hoc per rilanciare la nuova immagine dell’imprenditoria italiana», quell’immagine che in America vuole l’imprenditore come eroe positivo, creatore di lavoro e di benessere. Qualcuno dei presenti in sala, nell’entusiasmo del momento – e a microfoni spenti –  vorrebbe riscrivere addirittura la Bibbia, visto che in troppi pensano davvero che sia «più facile che un cammello passi dalla crina di un ago che un ricco vada in paradiso», non come i protestanti «che guardano chi ha successo come una benedizione». Recuperare la figura dell’imprenditore è in buona sostanza quello che si augura anche il ministro del lavoro Giuliano Poletti quando, in un intervista a Sette, parla della festa del primo maggio: «Il giorno in cui diventerà anche la festa dell’impresa avremo fatto tombola».

In attesa quindi che il piano di comunicazione annunciato da Federmeccanica si concretizzi (chissà quando!), ci siamo chiesti cosa ne pensano i piccoli imprenditori. Lo abbiamo chiesto a Fabio Marchesi, che era presente al convegno.

Signor Marchesi, come vede la figura dell’imprenditore oggi?
Mi considero una persona fortunata, ma avere la responsabilità di un’impresa oggi è impegnativo per vari motivi. Gli imprenditori non sono dei santi ma nemmeno dei criminali: da circa 15 anni, in special modo dopo il caso della Thyssen, i media non perdono occasione per colpevolizzarci. Questo rende tutto più difficile.

Crede che l’opinione pubblica abbia un’opinione distorta della realtà dei piccoli imprenditori??
Le racconto un aneddoto: mio padre è morto due anni fa. Ha fondato l’azienda nel 1962 dopo aver imparato a saldare e a battere il ferro da un artigiano di paese, qui a Romagnese, Pavia. Mi ricordo che un giorno un nostro ragazzo mangiava pane e ciliegie perché era povero e non poteva permettersi nient’altro. Mio padre gli cucinò una pastasciutta. Non so se per quel gesto o altro, ma il giorno del funerale c’era anche lui e a distanza di 30 anni si inginocchiò davanti alla tomba di mio padre e si mise a piangere. Questo è il vero rapporto che il più delle volte c’è tra datore di lavoro e operai di piccole realtà, dove è costante il dialogo, il confronto e il rispetto reciproco.

Che cosa chiedete al governo?
Per prima cosa un taglio delle tasse, la vera spada di damocle per noi piccoli imprenditori. Noi siamo stati la prima azienda dell’Oltrepo pavese a pagare un premio di produzione nel 1996. Ricordo che il funzionario dell’associazione industriale non voleva nemmeno che spargessimo la voce. Agli operai abbiamo chiesto straordinari e sacrifici ma due terzi del premio sono andati in tasse. Non lo trovo giusto. Vorrei sentirmi libero di pagare i miei operai come si meriterebbero. Noi imprenditori siamo chiusi in una morsa, vorremmo poter dare di più, ma un operaio che guadagna 1.300 euro costa all’azienda 3.300. Un’enormità. Poi meno burocrazia. Basti pensare che la camera di commercio di Pavia non è collegata a un sistema elettronico con le altre Camere di commercio. Ho già compilato la stessa documentazione più e più volte. Perdo tempo e di conseguenza il lavoro ne risente. 

Lo Stato non vi sta aiutando?
Aspettiamo il Jobs Act e il decreto lavoro Poletti. Ad oggi però vengono proposte soluzioni che spesso non incidono per davvero. Penso ad esempio alla legge Sabatini (per il sostegno alle pmi negli investimenti in macchinari, ndr) e al 7% di sconto sull’acquisto di nuovi macchinari. Ma se io oggi vado da chi costruisce macchine utensili, pur di vendermi la macchina e ricevere i soldi subito, è disposto ad abbassare il prezzo del 30 per cento. Altro che 7 per cento.

Pensa di assumere nuovi lavoratori in futuro?
Assumere a queste condizioni non è facile. I ragazzi che escono dalle scuole professionali non sono capaci di lavorare: non sanno come tirare di lima, o usare il raschietto, il calibro col nonio centesimale e nemmeno il tornio, io però li dovrei pagare come se fossero già dei professionisti. E l’apprendistato dopo la legge Fornero è un disastro: gli operai si rifiutano di fare da tutor agli apprendisti perché hanno paura delle conseguenze in caso di infortuni sul lavoro, e io non posso nemmeno fare formazione al ragazzo perché dev’essere pubblica.

Si parla spesso di flessibilità. Cosa ne pensa?
Sono favorele alla contrattazione individuale. La realtà di chi vive a Romagnese è molto diversa da Milano o Pavia. Provate a parlare con gli operai di piccole realtà come la nostra, dove è forte il rapporto operaio-imprenditore. Sono convinto che gli operai preferirebbero avere 100 euro in più in busta paga piuttosto che essere protetti dall’articolo 18. L’imprenditore che guadagna non ha motivo di lasciare a casa il proprio operaio

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