Brutta giornata, ieri, per l’economia italiana. Il dato Istat relativo alla diminuzione del Pil di 0,1 punti percentuali nel primo trimestre del 2014 , è stata una sorpresa in negativo, che ha messo in dubbio gli auspici di ripresa conseguenti alla lieve crescita del prodotto interno lordo e della produzione industriale nell’ultimi trimestre dello scorso anno. Comunque la si pensi, è un dato che lascia aperte alcune questioni. In primo luogo, si è trattato realmente di un dato sorprendente, oppure tali speranze erano vane in partenza? E ancora: quali sono le responsabilità politiche di questo rallentamento? Infine, quali sono le conseguenze di questo calo? Davvero ci aspettano mesi di tasse, lacrime e sangue? L’abbiamo chiesto a due tra i nostri collaboratori che meglio si districano tra economia e politica, Stefano Cingolani e Oscar Giannino.
Pensavamo di esserci lasciati la recessione alle spalle e invece il Pil è sceso di 0,1 punto percentuale nel primo trimestre del 2014. È legittimo esserne sorpresi? Oppure ci siamo solo illusi?
Cingolani: tutti sembrano sorpresi da questo calo. Secondo me, sarebbe stata una sorpresa se il Pil italiano fosse cresciuto. Del resto, come si fa a crescere quando non c’è domanda interna, quando il resto della Ue ristagna e quando anche la stessa Germania punta tutto sull’export? La prova del nove, in realtà sarà nel secondo trimestre, in cui vedremo se gli 80 Euro diventeranno consumi oppure finiranno per diventare risparmi cautelativi. Il rischio c’è perché le aspettative restano dominate dall’incertezza e la crisi russa di certo non aiuta.
Giannino: l’Italia ha perso 24 punti di produzione industriale dal 2008 ad oggi e nel medesimo periodo ha accumulato ben 15 punti di prodotto potenziale industriale “svanito” (impianti irrecuperabili, unità organizzative aziendali non più esistenti, manodopera senza skill per il pronto reimpiego in attività a esistente domanda). Di fronte a simili premesse, l’aggancio alla ripresa estera in perduranza della bassa domanda interna diventa più problematico e flebile che per altri. Come certificato dall’Ocse il rallentamento delle attese di crescita è generale, le stime del commercio mondiale sono intorno a un +2,3%, e gli effetti sull’Italia – sempre più dipendente dall’export – sono ovviamente più evidenti che su altri. Il puro trascinamento del primo trimestre su quelli successivi rischia di produrre una crescita del Pil italiano contenuta intorno al +0,4%. Sostanzialmente, nessun riassorbimento della disoccupazione.
Se non per gli economisti, il ritorno del Pil in area negativa rappresenta comunque una sorpresa per un Governo che aveva puntato tutto sulla ripresa. Le responsabilità di questo calo sono, almeno in parte, da attribuire alla politica del Governo in carica e di quello uscente? Oppure, le scelte del Governo non hanno avuto alcun effetto su questo calo?
Cingolani: di certo non gli si può imputare un risultato che in gran parte si è manifestato quando in carica c’era un altro Governo. Sta di fatto che Renzi aveva puntato tutto sulla crescita sugli 80 Euro in più in busta paga e i dati emersi nelle scorse ore rendono questa misura insufficiente a spingere la ripresa. A posteriori, sarebbe forse stata auspicabile una manovra più coraggiosa, aprendo nel contempo la partita dei vincoli di bilancio con l’Unione Europea. Certo è che l’area Euro non può più andare avanti in un contesto di stagnazione e deflazione e non può più essere Draghi a tenere a galla la zattera della medusa. Francia e Olanda dimostrano che ci vuole una politica fiscale coordinata guidata dai paesi che possono permettersi di essere espansivi, a cominciare dalla Germania.
Giannino: allo stato attuale, fino alla legge di stabilità (cioè al 2015) non era lecito attendersi altri stimoli fiscali a imprese e lavoro. Tuttavia, il quadro congiunturale dovrebbe indurre a una revisione delle intenzioni. Accrescere la quota di tagli di spesa subito – rispetto ai risicati 3 miliardi fin qui disposti e con 700 milioni dalle Regioni ancora tutti da chiarire – per “anticipare” una seconda e più consistente rata di tagli all’IRAP.
Quali saranno le conseguenze di questo calo del Pil? Ci aspetta davvero una manovra correttiva? E che ne sarà degli ulteriori stimoli alla domanda interna promessi dal Governo?
Cingolani: l’effetto sulle previsioni del governo è ovviamente disastroso. Adesso, però, non bisogna riaprire la diatriba su manovrine correttive dopo le elezioni. Al contrario, bisogna fare una coraggiosa «manovrona» di rilancio: meno spesa corrente, meno tasse, un taglio al debito. Forse conviene aprire quanto prima il dibattito.
Giannino: i fatti di ieri ci insegnano, se mai ce ne fosse stato bisogno, che procedere in deficit è del tutto sconsigliabile: gli spread, come si è visto, possono velocemente tornare ad alta volatilità, e non è il caso di sfidarli durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue. L’unico elemento esogeno “certo”, a oggi, è l’intervento “non ortodosso” preannunciato dalla BCE a giugno, per far tornare nel medio periodo la componente nominale del Pil eurozona verso il 2% programmatico. Ne abbiamo un dannato bisogno, ma l’effetto potenziale è sulla stabilizzazione del debito pubblico, e per l’Italia dipenderà dagli strumenti con cui la Bce deciderà di intervenire. Per la crescita reale, invece, siamo noi a doverci tirare su le maniche. Il rischio è che il voto europeo porti a ulteriori destabilizzazioni, non solo in relazione alle riforme istituzionali bipartisan, ma anche all’interno dello stesso Pd.