Se non sai che è donna, la assumi. L’esperimento

Se non sai che è donna, la assumi. L’esperimento

Si dice che Zubin Metha, direttore della Los Angeles Symphony dal 1964 al 1978 e la New York Philharmonic dal 1978 al 1990, abbia un giorno dichiarato: «I just don’t think women should be in an orchestra»[1]

Nel 1952 la Boston Symphony Orchestra introdusse per la prima volta, durante le audizioni per selezionare i suoi membri, uno schermo tra il musicista e la commissione giudicatrice; nel corso degli anni Settanta e Ottanta molte orchestre statunitensi adottarono questa tecnica in una o più delle fasi di selezione dei candidati.  E così, se fino al 1980 le cinque più importanti orchestre degli Stati Uniti (la Boston Symphony Orchestra, la Chicago Symphony Orchestra, la Cleveland Symphony Orchestra, la New Philharmonic e la Philadelphia Orchestra) avevano non più del 12% di donne nel loro organico, tale percentuale è salita al 20-30% a fine anni Novanta. Un simile trend si è verificato anche nelle orchestre minori.

In un articolo apparso nel 2000 su The American Economic Review, Claudia Goldin e Cecilia Rouse hanno analizzato quanto quello schermo abbia contribuito all’incremento della quota rosa nelle orchestre. Le caratteristiche di questo settore forniscono diversi elementi per poter imputare allo schermo la crescita dell’occupazione femminile; uno fra tanti la dimensione standard delle orchestre (circa 100 membri). Ciò implica che se il numero di donne aumenta da 1 a 10 è la sua proporzione ad aumentare, perché l’orchestra non può aver decuplicato i suoi membri. La conclusione delle autrici è che quel lenzuolo, talvolta tappeto, che arriva fino a terra e che impedisce alla commissione di capire il genere ha aumentato del 50% la probabilità delle donne di passare le fasi preliminari del processo di selezione, incrementando così la loro probabilità di essere assunte. La percentuale delle donne tra i nuovi assunti è cresciuta del 30% e lo schermo è una provata spiegazione del cambiamento della composizione per genere delle orchestre statunitensi.

A questo articolo ne sono seguiti diversi altri nei quali si mostrano i risultati di esperimenti condotti rispondendo a delle offerte di lavoro, inviando curriculum fittizi. I finti profili si differenziano solo per il nome del candidato o per un’altra sua peculiare caratteristica, come ad esempio il codice postale dell’indirizzo di residenza. Il nome del candidato non solo fornisce indicazioni sul sesso, ma anche sul gruppo etnico di appartenenza, mentre il Cap fornisce indicazioni sulla zona geografica di residenza. Sulla base delle risposte a questi curriculum fittizi è possibile misurare quanto il mercato del lavoro sia discriminante verso un determinato gruppo di candidati.

Sull’Italia uno studio con curriculum fittizi per misurare la discriminazione delle donne sul mercato del lavoro non è mai stato fatto; al contrario, ci sono numerose ricerche che tentano di spiegare il fenomeno interrogandosi sui fattori che ostacolano le donne al lavoro (difficoltà nella conciliazione con la cura dei figli o degli anziani, tassazione, presenza di servizi adeguati). A parere di chi scrive, questi lavori sbagliano la parte del mercato che studiano.

Per saperne di più:

Goldin C., Rouse C., Orchestrating Impartiality: The Impact of “Blind” Auditions on Female Musicians, The American Economic Review, Vol. 90, No. 4. (Sep., 2000), pp. 715-741

Bertrand M., Mullainathan S., Are Emily and Greg More Employable than Lakisha and Jamal? A Field Experiment on Labor Market Discrimination, NBER Working Paper No. 9873

 

[1] Seltzer, George. Music matters: The performer and the American Federation of Musicians. Metuchen, NJ: Scarecrow Press, 1989 Seltzer (1989), p. 215. Secondo lo stesso Seltzer il fatto che i nuovi assunti alla NYPhil siano stati per circa il 45% donne, proprio durante la direzione di Mehta, suggerisce che lo stesso direttore abbia nel tempo cambiato opinione

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