Una volta, il fiore all’occhiello del “campionato più bello del mondo” erano i giocatori stranieri. Il nostro era un calcio ambito e ad ogni sessione di mercato i nomi che approdavano in Serie A erano i migliori. Gli stessi che, con il passare delle stagioni, hanno preferito andare altrove, arricchendo (di tecnica e di soldi) i campionati inglesi, spagnoli e persino francesi. Dalla prossima stagione, però, qualcosa in Serie A potrebbe cambiare. Già, perché gli stranieri sono pronti a tornare nel nostro calcio. Non giocatori, ma imprenditori. Che con i loro soldi sarebbero pronti a rilevare quote importanti di alcuni club, anche non di prima fascia, per investire in un sistema-pallone rimasto fatalmente indietro su stadi e merchandising. Insomma, in tutte quelle voci che garantiscono introiti. Un esempio calzante è l’offerta, sostanzialmente accettata, del fondo americano Mariner per l’acquisto del Cagliari. Il 28 maggio, Cellino ha confermato il buono stato della trattativa.
Il pallone italiano sta attraversando una fase di transizione. Il calcio dei grandi capitani d’industria soli al comando sta lentamente scemando. Sono finiti i tempi in cui i ricchi appassionati si compravano una squadra di calcio, sapendo di investire in un’attività tradizionalmente a perdere come quella del business pallonaro, per il puro gusto di spendere soldi in una passione (Moratti). O usare la proprietà di un club per spostare una percentuale di voti nel periodo elettorale (Berlusconi). Cambierà dunque la governance del calcio, perché i risultati economici sono modesti. Secondo l’ultimo Report Calcio 2014, i debiti totali della Serie A ammontano a 2.947 milioni di euro. Allo stesso tempo, nel 2013 gli spettori sono stato in calo di 900mila unità rispetto al 2012, causando un abbassamento dei ricavi da stadi del -4,1 per cento.
«C’è bisogno di dare una idea sostenibile al calcio, è un modello positivo. In Italia ci stiamo allineando ad alcuni esempi di gestioni economiche virtuose degli altri Paesi», ha spiegato il presidente della Lega Calcio di Serie A Maurizio Beretta, a margine dell’assemblea sui diritti tv di metà maggio. Un contesto che sembra più maturo rispetto a qualche anno fa, quando nella provincia del calcio arrivarono gli inglesi. Era la fine degli anni Novanta quando il Vicenza, nonostante la vittoria di una storica Coppa Italia, non navigava in acque limpidissime dal punto di vista finanziario. Fu così che il Vicenza divenne la prima squadra italiana con un proprietario straniero, il gruppo petrolifero britannico Enic, che prese il posto della famiglia Dalle Carbonare. Sembrava tutto apparecchiato per un futuro di successi, tanto che il Vicenza arrivò fino alla semifinale di Coppa delle Coppe. Ma il mercato italiano non era ancora maturo per un ingresso così deciso di capitali stranieri; allo stesso tempo, il nostro calcio doveva apparire già così diverso da quello inglese, che invece era (ed è) senza barriere negli stadi. Fatto sta che la Enic diminuì progressivamente gli investimenti, scatenando le ire dei tifosi che chiesero il ritorno del Vicenza in mano ad imprenditori locali. Oggi la squadra è reduce da due retrocessioni che l’hanno relegata in Lega Pro ed è in cerca di nuovi acquirenti.
Oggi le cose sono cambiate. Anche in Italia, per colmare il gap con gli altri grandi campionati, le squadre diventeranno aziende vere e proprie. E un terreno “vergine” come quello italiano, carente in infrastrutture e poco legato al merchandising, sta portando in Italia nuovi capitali stranieri. Non parliamo solo di Thohir e Pallotta, che stanno avviando una profonda ristrutturazione societaria per fare di Inter e Roma due macchine da soldi. Mentre i giallorossi sono in tournée di fine stagione negli usa e si allenano a Disney World per evidenti necessità di espansione commerciale nel mercato a stelle e strisce, in Italia squadre come Genoa, Palermo, Bari, Cagliari e Lazio sono entrare nelle mire di gruppi interessati all’acquisto di tutto il pacchetto del club, o di una consistente parte. Perché è proprio sulla provincia del calcio che gli imprenditori stranieri hanno messo gli occhi, Lazio a parte.
Nell’ultima partita di campionato, il proprietario del Genoa Enrico Preziosi era affiancato in tribuna da alcuni emissari di un gruppo cinese pronto ad entrare nel club. Con un fatturato di 3 miliardi di euro ed attivo nel settore dell’energia, il gruppo avrebbe da tempo interesse ad investire in Europa: nell’industria chimica e metallurgica in Francia, nel pallone in Italia. Non è ancora chiaro se i cinesi vogliano una fetta del club subito, o vogliano cominciare con una sponsorizzazione interna. Di certo c’è che lo stesso Preziosi non ha negato l’interesse cinese: «Ho fatto verifiche durante il viaggio in Cina e ho avuto risposte positive. Se li ho portati al Ferraris un motivo c’è». Nel frattempo, secondo alcune voci raccolte a Genova, gli emissari cinesi si sarebbero meravigliati (e lamentati) della presenza di barriere e fossati che dividono il campo dalle tribune.
«Ci sono molte opportunità, principalmente in Italia, per migliorare i ritorni dall’investimento», ha spiegato al Wall Street Journal Greg Carey, stadium-finance banker di Goldman. Negli Usa lo hanno capito, tanto che da almeno due mesi si conclusa una trattativa tra il proprietario del Cagliari, Massimo Cellino, e un fondo statunitense (indizi portano al Mariner Investment Group) rappresentato in Italia dal mediatore Luca Silvestrone. L’accordo è importante: 80 milioni di euro per tutti gli asset, compreso il progetto di un nuovo stadio da 20mila posti disegnato da Dan Meis (lo stesso che ha progettato la futura nuova casa della Roma) e che dovrà sostituire il Sant’Elia. Un altro “reduce” di Italia ’90. Il 28 maggio, Cellino ha confermato che la trattativa sta andando in porto.
«Chiunque sia mai stato ad una partita di calcio italiano, capisce subito che gli stadi rappresentano il problema centrale. Molti degli stadi che vengono utilizzati risalgono al Mondiale del 1990», spiegava Alexander Thorpe, consulente di Deloitte Sport Business Group, nel commentare i risultati dell’ultimo Football Money League. Proprio a Bari, lo stadio risale a quell’epoca. Progettato da Renzo Piano e costruito per i Mondiali italiani, il “San Nicola” rappresenta una struttura forse troppo grande per una piazza come Bari. La nuova proprietà dovrà ripartire da zero con una nuova società, ma non è detto che in futuro prossimo si riparta da un nuovo impianto di proprietà, più piccolo e funzionale. Ed è sugli stadi – è proprio il caso di dirlo – che si gioca la partita dei capitali stranieri. James Pallotta, attuale azionista di maggioranza, è convinto che la sua squadra possa arrivare a valere 500 milioni di euro. Per questo, ne sta investendo 300 nel nuovo stadio, grazie alle iniezioni di denaro di Goldman Sachs e di Starwood Capital Group, gigante dell’area Real Estate che ha già staccato un assegno da 40 milioni di euro.
Non solo Stati Uniti. Per chi fosse chiesto perché i magnati russi dell’energia non fossero interessati all’Italia, potrebbe presto trovare risposta nell’interessamento di alcuni di loro nei confronti della Lazio. L’attuale proprietario dei biancocelesti, Claudio Lotito, sarebbe stanco delle continue contestazioni ricevute dai tifosi, soprattutto nell’ultima stagione. E le lungaggini nel riuscire a costruire uno stadio di proprietà (cosa che nel frattempo sta facendo la Roma) potrebbero indurlo a cedere ai russi. Certo, la cifra richiesta è alta: 200 milioni di euro. I russi, emissari di un gruppo energetico rivale di Gazprom, ci stanno pensando. E poi c’è il Bari, che lo scorso 20 maggio è stato comprato per 4,8 milioni di euro all’asta da una cordata di imprenditori stranieri, rappresentata dall’ex arbitro Gianluca Paparesta. In attesa di capire chi ci sia dietro questa cordata, la Mp Silva ha siglato un accordo commerciale con il nuovo club. Mp Silva che, è bene ricordarlo, ha sede in Iralnda per motivi fiscali.
A Palermo potrebbero invece arrivare i brasiliani. Emissari di un gruppo operante nel settore dell’edilizia avrebbero avviato la trattativa con l’attuale proprietario del club, Maurizio Zamparini, già lo scorso gennaio. I brasiliani vorrebbero investire nel club con l’intenzione di rilevarne la maggioranza nel giro di due anni. Dietro l’investimento si nasconderebbe una precisa strategia. Il gruppo di investitori è proprietario del cartellino di alcuni giocatori brasiliani, che verrebbero ingaggiati dal Palermo, così da permettere (in caso di crescita) ai loro proprietari di realizzare importanti plusvalenze sul cartellino dei giocatori. Così funzionano queste pratiche, dette Tpo (third party ownership), che in Italia non sono ancora illegali.
Il fatto è che i Tpo, che spesso non sono altro che fondi d’investimento, starebbero per arrivare a portare capitali anche nel nostro calcio. Il fondo Doyen Sports, lo stesso che ha messo lo zampino in diverse operazioni di mercato in Brasile, Portogallo e Spagna (vedi l’Atletico Madrid), ora vuole aggredire nuovi mercati, ovvero la Premier League e la Serie A. Aggirando però i paletti legali. Già, perché in Inghilterra le Tpo sono espressamente vietate, mentre in Italia no, a meno che non venga applicata la legge anti-riciclaggio. Come? Partecipando all’attività sul mercato dei club attraverso sponsorizzazioni, o con interventi più strutturali come veri e propri prestiti erogati alle squadre per acquistare giocatori e poi guadagnare attraverso la plusvalenza sul cartellino. Dalla Doyen fanno sapere che sì, si tratterò di prestiti, ma che i cartellini de giocatori saranno al 100% dei club interessati dalle operazioni. Dunque una pratica simile – ma non uguale – a quella accaduta nell’affare Falcao all’Atletico Madrid. Nel 2011, il fondo Doyen aiutò il club spagnolo a comprare il giocatore dal Porto, finanziando i 40 milioni dell’operazione e facendone versare all’Atletico solo 18. Quando venne venduto lo scorso anno al Monaco per 60 milioni, 15 finirono subito al fondo e i 45 restanti furono spartiti tra lo stesso fondo e l’Atletico.
La Doyen sta pianificando un investimento in Italia di 200 milioni di euro. Il 50% andrà in operazioni di prestito ai club per il calciomercato, la restante parte in interventi di ristrutturazione del debito di alcuni club, oltre che di acquisizione dei diritti d’immagine, così come fatto da Mp Silva per il nuovo Bari. Tutto è pronto, serve solo la ratifica da parte del Congresso Fifa previsto in giugno in Brasile, che potrebbe dare il via ai fondi d’investimento nel calcio in maniera codificata.