Viaggio alla scoperta del cibo giapponese

Viaggio alla scoperta del cibo giapponese

A vederlo visitare la mostra, il maestro Kan Sakurai corrisponde all’immagine del tipico turista giapponese: abbronzato, in camicia estiva, con l’immancabile reflex al collo. In effetti i viaggi —specialmente quelli in treno — sono la sua grande passione, insieme agli ekiben, le scatole del pranzo vendute proprio nelle stazioni. Entrambe le cose sono indiscusse protagoniste del suo manga, Ekiben Hitori Tabi, che racconta le avventure di Daisuke Nakahara, un uomo di trentacinque anni che riceve dalla moglie un biglietto per realizzare il suo sogno: attraversare il Giappone usando solo i treni regionali, per assaggiare l’ekiben di ogni stazione.

L’opera di Sakurai, ancora inedita in Italia, non è solo un omaggio alla cucina, alle tradizioni e ai panorami del Giappone, ma soprattutto è un’ode alla lentezza, all’inestimabile valore dei momenti che, semplicemente, ci prendiamo per guardare fuori, rilassarci, riflettere, immaginare. E goderci un buon pranzo, ovviamente.

Abbiamo incontrato il maestro all’inaugurazione del Milano Manga Festival 2014, il cui tema quest’anno è proprio il manga gourmet (fumetti dedicati al cibo), e ci ha parlato dei suoi viaggi, delle scatole del pranzo che ha ideato e dell’unica volta in cui è stato derubato: qui in Italia, all’hotel Savoia di Milano.

Visto che vi piacciono le stesse cose, la prima domanda è abbastanza ovvia: anche lei ha intrapreso un viaggio come quello di Daisuke, il suo protagonista?
Certo. Daisuke sono praticamente io, ci somigliamo anche fisicamente. Abbiamo visitato gli stessi posti e ovviamente mangiato gli stessi ekiben. [Il maestro mi mostra, con grande entusiasmo, quello disegnato sulla prima copertina del manga.] Questo, ad esempio, l’ho scelto perché è molto particolare. Solitamente i bento [le tradizionali scatole del pranzo] contengono principalmente riso, ma questo invece ha la soba, che è una pasta di grano saraceno. Ricorda un po’ quella italiana.

Nell’aspetto sì, anche se a un italiano farebbe impressione l’idea della pasta in scatola. In Giappone, però, è davvero buona.
Sì, specie la soba, perché è deliziosa anche fredda.

Quindi il disegnatore del manga fa riferimento alle sue foto, per disegnare gli ekiben?
Non solo alle foto, glieli porto io personalmente, così può ricopiarli e mangiarli. (ride)

Nel 2012 il manga è diventato un live-action [i telefilm tratti dai manga].
Sono comparso anch’io, nel telefilm, facevo il ruolo del turista. Guarda, ti faccio vedere [il maestro tira fuori la sua enorme reflex dallo zaino, la mette a tracolla e finge di scattare] ecco, ero proprio così. Eravamo a Sendai, nel Nord del Giappone, e Daisuke mi chiedeva di scattargli una foto. È stato molto strano, interagire con il mio protagonista, volevo dirgli così tante cose! Molte le ho evitate, per non disturbare la troupe, ma volevo ripetere all’attore: mangia con più gusto, fai vedere quanto è buono!

Lei sa che il suo manga fa venire una fame terribile, vero?
Me lo dicono tutti. (ride)

Purtroppo molte delle cose che si vedono non si trovano assolutamente, in Italia. Quale ekiben ci vorrebbe far assaggiare, potendo?
C’è l’imbarazzo della scelta, ne esistono più di 4000 qualità, alcune delle quali molto pregiate. Io stesso ne ho ideati quattro, uno è a base di carne di Kobe. È particolare perché sotto ha un cassettino che serve a scaldare il filetto, così lo si può gustare caldo. Costa sugli otto euro.

In Italia il cibo ha il ruolo sociale per eccellenza. Noi abbiamo la tradizione di mangiare in famiglia, o comunque in compagnia, e anche se le cose stanno un po’ cambiando l’idea di mangiare da soli è ancora considerata un po’ triste. Diciamo che di solito è qualcosa che si fa per forza, giusto per nutrirsi. Nel suo manga, invece, Daisuke ama sedersi da solo a mangiare. Sono addirittura dei momenti introspettivi. Direbbe che è questo, il rapporto dei giapponesi col cibo?
Il motivo per cui ai giapponesi piacciono gli ekiben è che ogni locale li prepara a modo suo. È vero che il singolo mangia da solo, ma è vero anche che tutti mangiano lo stesso bento, che rappresenta i gusti e le tradizioni di della regione e della provincia in cui ti trovi, quindi in un certo senso anche questa è un’esperienza comunitaria. È come scoprire insieme la cultura di una città diversa.

[Il maestro mi mostra un catalogo dove, a ogni ekiben, corrispondo fotografie della stazione di provenienza, del treno che ci arriva e della cuoca che lo cucina, come per dire che non si tratta soltanto di un pasto, ma che a ogni sapore si legano i luoghi, i visi, i ricordi. Insomma, non paragonatelo al nostro Camogli.]

Guarda questo — continua — è uno dei miei preferiti. È coperto di ricci di mare, e ne vengono fatti solo venti al giorno, per questo è molto pregiato. La gente cerca di arrivare in tempo per averne uno, ma è difficilissimo.

Quindi anche la corsa o la coda fatte per averlo diventano un’esperienza.
Sì, è un ricordo. Per questo gli ekiben sono speciali. Sono dei ricordi preziosi.

Una volta questo era caratteristico delle grandi città, ma al giorno d’oggi tutti, persino nei piccoli centri, tendiamo a condurre una vita frenetica, quasi ridicola. Lei crede che il cibo possa in qualche modo salvarci?
Assolutamente sì. Il motivo per cui adoro gli ekiben è che sono cucinati con cura, non vanno consumati in fretta, ma assaporati. Questo ti spinge a rilassarti, a fermarti.

Infatti Daisuke viaggia esclusivamente sui treni regionali, che ovviamente sono molto lenti, specie se consideriamo che il Giappone è stato il primo paese al mondo a dotarsi dell’alta velocità. Il manga non scade mai nella critica alla tecnologia, ma a tratti è comunque nostalgico, anche perché il manga è solo del 2006, ma molte delle linee su cui viaggia Daisuke poi sono state smantellate.
È vero, è nostalgico. Oggi esistono treni che coprono la distanza tra Osaka e Tokyo in un tempo brevissimo, ma più il treno è veloce e meno si vede il panorama fuori dal finestrino. Quando il treno è lento, invece, si vedono bene i luoghi, e ovviamente anche ogni singola stazione. Con l’alta velocità, questo si perde. Comunque il viaggio peggiore in assoluto è quello in aereo: non si vede niente. A volte mi tocca prenderlo, ma non mi piace, se potessi mi sposterei solo in nave. È per questo che Daisuke soffre di vertigini. Uno dei miei viaggi più belli è stato a bordo di un Transiberiano, dal Giappone all’Europa in due settimane. È stato davvero interessante.

Ho letto che in Giappone l’utilizzo di questi treni è in incremento, specie tra i giovani. Un famoso giornalista ha ipotizzato che questo succeda perché, in una società sempre più tecnologica, che isola l’individuo, le persone ritrovino nel viaggio in treno un senso di comunità. Lei è d’accordo?
Sì, lo sono, ed è vero che oggi c’è molta richiesta, infatti esiste un biglietto che si chiama “i ricordi dei diciotto anni”. Costa circa 25 euro e puoi viaggiare ovunque, usando ogni tipo di treno, ad eccezione di quelli dell’alta velocità. Ci sono tantissime persone che lo acquistano, non solo giovani, ma anche adulti e anziani. Non c’è un limite d’età, il nome — “dei diciotto anni” — dipende dal fatto che ti fa sentire come se li avessi. Ti fa ritornare con la mente a quell’età, è per questo che va a ruba.

Quali Paesi ha già visitato in questo modo, usando i treni regionali per spostarsi?
Sarebbe lungo rispondere, ho viaggiato in 89 Paesi. Voglio arrivare a 100. 

Pazzesco, credo che chiunque la invidierebbe moltissimo. Ha già programmato la sua prossima tappa?

Sì, il mese prossimo andrò in Olanda. 

Le sarà capitato di avere qualche problema, o di fare qualche figuraccia.

Ci sono un’infinità di posti in cui mi sono perso! Ma la cosa peggiore mi è successa a Milano: sono stato derubato all’Hotel Savoia.

In Italia arrivano davvero pochi manga ambientati fuori da Tokyo, ma in Giappone suppongo che ce ne siano molti di più.
Sì, è così, e i manga ambientati nelle province hanno molto successo, specie tra gli abitanti delle grandi città. Tokyo comunque è una città bellissima e speciale. La sua stazione è famosa per vendere gli ekiben di tutti i tipi, che provengono da tutte le regioni, e li comprano ogni giorno migliaia di persone. Normalmente il prezzo degli ekiben si aggira intorno ai 10 euro, ma alcuni di questi costano anche 30 o 50. Sono esempi di alta cucina.

Gli italiani sono molto orgogliosi della propria cucina, infatti agli ospiti stranieri chiediamo sempre che cosa ne pensino, anche quando non c’entra niente. Visto che per una volta siamo in argomento, beh, lei che cosa ne pensa, della cucina italiana? Ha un piatto preferito?
Io sono venuto moltissime volte in Italia, conosco bene la vostra cucina. In particolare adoro quella siciliana, specialmente il pesce, come il polipo. Il mio piatto preferito, però, credo che sia la pasta che cucinano al “Tirana”, un ristorante sul confine con la Svizzera, a 200 km da Milano. Nei ristoranti italiani in Giappone la pasta è cucinata sempre al dente, e a me piace molto. Mi ha sorpreso scoprire che in Italia la mangiate anche più morbida.

Visto che parliamo di differenze, può spiegare una volta per tutti agli italiani quali sono quelle tra la cucina cinese e quella giapponese?
Sono due cucine davvero molto diverse. Quella cinese usa molto olio, innanzi tutto, inoltre è molto piccante, mentre quella giapponese è fatta di sapori molto delicati. In Cina non esistono pietanze fredde, quindi in questo senso la cucina giapponese è più simile a quella italiana, che non a quella cinese. Il bento comunque è qualcosa di puramente giapponese. In Cina di solito si mette un condimento sopra al riso in bianco e si mangia in fretta. Anche le usanze sono diverse.

Quando sono lontana da casa e mangio qualcosa di buono, penso subito che vorrei vorrei farlo assaggiare alle persone che amo. A lei capita mai?
Assolutamente sì, quando mangio qualcosa di buono vorrei condividerlo con mia moglie. La cosa migliore, in questo senso, sarebbe mangiare insieme.

Quindi lei non parte da solo, come Daisuke?
Daisuke è da solo e si fa degli amici durante il viaggio, ma questo solo perché volevo scrivere una storia tipicamente giapponese. Anche il titolo, “hitoritabi”, significa “viaggio solitario”. Io però porto mia moglie con me, ogni tanto.

In Italia sarebbe inconcepibile, per una moglie, permettere al marito di andarsene in vacanza solo per tutto quel tempo, come fa la moglie di Daisuke.
In Giappone è abbastanza normale che i due membri di una coppia non siano costantemente insieme, forse perché viaggiamo molto per lavoro. Ho notato che in Italia, per esempio, è normale portare il consorte alle cene di lavoro, ma in Giappone no, per niente. Forse siamo noi ad essere un po’ strani.

Dicono che il suo manga sia così dettagliato e realistico che in molti lo usano addirittura al posto delle guide turistiche. Che tipo di persone sono, i suoi lettori?
Persone che amano viaggiare, di tutte le età, ma anche persone che per un qualunque motivo non possono farlo, come gli anziani o i malati. Grazie al mio manga possono sognare di farlo — viaggiano con la mente.

Ci sono dei luoghi, e quindi degli ekiben, ai quali si sente particolarmente legato?
La costa del Sanriku, la zona colpita dallo tsunami. Fukushima, Iwate, Miyagi…sono legatissimo a quei luoghi. L’uni-bento, quello con l’anguilla, è originario di Iwate. È difficile parlarne. [Fa una lunga pausa.] C’erano due locali, che vendevano l’uni-bento. Uno ha riaperto, ma l’altro no. Non ancora.

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