Viva la FifaBlatter, il Re Mida che nessuno vuol davvero cacciare

Blatter, il Re Mida che nessuno vuol davvero cacciare

Deve pure esserci un motivo per cui Sepp Blatter è ancora capo della Fifa, nonostante da più parti in tanti lo vogliano giù dal trono. Non usiamo questa parola a caso. Perché il potente capo svizzero del Governo del calcio mondiale somiglia sempre più a un Re Mida. Dove mette mano lui, trasforma tutto in oro.

Ma è anche un reggente che sa porre tutti a suoi piedi. Un vero animale politico, Herr Blatter. La ricerca del consenso è il suo primo comandamento. Basterebbe solo guardare un dato: al Mondiale in corso in Brasile, gli arbitri presenti rappresentano tutte le 32 federazioni che si sono qualificate al torneo. Non è più come una volta, quando i Paesi più forti (e più influenti) inviano anche due arbitri ciascuno a discapito di quelli meno importanti. Blatter ha così allargato le maglie del consenso, assicurandosi così voti fondamentali per la sua rielezione. Sì, perché Blatter vuole ancora quella poltrona, che detiene ininterrottamente dall’8 giugno 1998.

All’epoca stava iniziando il Mondiale francese, non esistevano golden goal, silver goal, spray per segnare la posizione di pallone e barriera sulle punizioni, Goal line technology e Mondiali invernali in Paesi arabi. E volente o nolente, Blatter ha fatto scuola, cambiando il calcio a proprio piacimento e influenzando le scelte strategiche dei suoi diretti dipendenti: non è un caso che Michel Platini, capo della Uefa, abbia dato l’Europeo 2012 a Polonia e Ucraina, per raccogliere voti nel florido bacino dell’est Europa.

Quando venne eletto per la prima volta, Blatter riuscì ad orientare i consensi di un’intera area, quella della Concacaf (nord-centroamerica). Fece votare la fidanzata del capo della Federcalcio giamaicana al posto di quello di Haiti, mentre il capo uscente della Fifa Joao Havelange staccava assegni al numero uno della Federazione di Trinidad & Tobago. Tutte rivelazioni di Jack Warner, uno che all’epoca dei fatti della Concacaf era presidente e che anni dopo, sulla questione Qatar, di Blatter è diventato grande nemico. Ma che nel frattempo, nel 2001, si è visto assegnare proprio a Trinidad l’organizzazione del Mondiale Under-17. Un riconoscimento dovuto.

In realtà, Blatter di nemici se n’è fatti tanti, per come ha gestito l’assegnazione dei Mondiali 2022. Eppure gli interessa poco. Il calcio è cosa sua e la gestisce come vuole. Con mezzi leciti e poco leciti. E il Qatar resta ad oggi uno dei suoi più grandi capolavori, assieme a quello del 2018 in Russia. Capolavori economico-politici, chiaro. Risale a 3 anni fa la doppia assegnazione dei Mondiali dopo il Brasile: 2018 alla Russia, 2022 al Qatar. Per Blatter furono due record: primo Mondiale ad un Paese dell’ex blocco sovietico e ad un altro dell’area araba. Una doppia decisione che già all’epoca fece discutere, soprattutto quella relativa al Qatar.

Quella russa stupì, ma fino a un certo punto: basta guardare chi è l’attuale main sponsor della Uefa Champions League: il colosso energetico statale russo Gazprom . Che oltre al gas, sa usare bene l’olio: nel senso che unge gli ingranaggi dei singoli Paesi da cui far passare i propri gasdotti investendo soldi nelle realtà calcistiche locali. Sta succedendo in Bulgaria, in Germania e in Olanda (su Linkiesta ve ne abbiamo già dato conto tempo fa). E la recente partnership tra Gazprom e Fifa sullo stanziamento di fondi per il Mondiale 2018 è servito a suggellare lo scambio di favori. Ecco perché Blatter scelse la Russia e non gli Usa. Obama si infuriò («Scelta sbagliata»), ma gli Usa non avevano così tanto da offrire. E poi Blatter, da braccio destro del suo predecessore Joao Havelange, i Mondiali a stelle e strisce li aveva già organizzati nel 1994.

La scelta del Qatar è invece un ringraziamento per i tanti soldi fatti girare dagli emiri nel mondo del pallone. I ricchi qatarini spendono 30 milioni di euro all’anno per sporcare la camiseta del Barcellona e la Qatar Sports Investment (dove lavora Laurent Platini, figlio di Michel) è padrona del Paris Saint-Germain, corazzata del campionato francese i cui diritti tv sono posseduti da Al Jazzera. Tutti soldi che, come nel caso (ma non è un caso) della Russia arrivano dall’energia, sempre gas, di cui il Qatar è ricchissimo. E rende altrettanto ricco l’emiro Hamad Khalifa Bin Al Thani, che per 8,5 milioni di euro si è comprato 6 isole greche nel marzo 2013. Perciò che volete che siano 100 miliardi di dollari per costruire stadi e infrastrutture, aeroporti da allargare compresi? Ci sono gli immigrati filippini, indiani ed egiziani pronti a lavorare nei cantieri. Con turni massacranti e con i documenti requisiti dai capicantiere, così non possono scappare. Per mettere in piedi tutto ciò, Blatter si è sporcato le mani di tangenti. Un giro di bustarelle da 5 milioni di euro per portare il grande circo del Mondiale in un Paese grande come l’Abruzzo e che vedrà la finale giocarsi a Lusail, una città che in pratica ancora non esiste. Un’operazione affidata al membro esecutivo della Fifa per il Qatar, Mohammed Bin Hamman, che avrebbe distribuito assegni per 200mila dollari per dirottare i voti verso il Qatar. Anche a Jack Warner, che ora accusa ma che all’epoca dei fatti – il 2010 – era ancora ottimo alunno della scuola Blatter.

Una vera e propria scuola economica. I conti della Fifa parlano chiaro. Le cifre hanno tutte il segno “più” davanti. A cominciare dai 1.058 milioni di euro per le proprie riserve economiche. Non basta. La Fifa ha chiuso il 2013 con 72 milioni di dollari di utili (53 milioni di euro), frutto di ricavi per 1,4 miliardi di dollari, di cui 630 dai diritti tv e 413 dall’area commerciale. Il Governo del calcio ha anche annunciato il budget per il periodo dal 2015 al 2018, che sarà di 5 miliardi di dollari (3,7 miliardi di euro): 2,3 miliardi arriveranno da marketing e biglietti e 2,7 miliardi dai diritti televisivi. Un risultato notevole, se rapportato ai 257 milioni di dollari di budget del periodo 1995-1998.

La Fifa, nel suo report, ha concluso precisando che i 209 Paesi membri della Fifa riceveranno 200 milioni di dollari dal Campionato del Mondo di Brasile 2014, un bonus di 750mila dollari a federazione. Per Russia 2018, infine, si prospetta un aumento dei premi per le 32 finaliste: dagli attuali 476 milioni di dollari a 582. Un fiume di soldi che Blatter utilizza a proprio piacimento, come fosse un portafoglio personale, per tenere il mondo del calcio fedele a sé. Popolazioni comprese. Una tattica usata anche lo scorso anno in Brasile, nei giorni calci della Confederations Cup, quando in strada infuriava la protesta. E lui liquidava la faccenda così: «il calcio è più importante dell’insoddisfazione delle persone». Non solo: «I manifestanti stanno usando la piattaforma del calcio e la presenza della stampa internazionale per ampliare la protesta». Lui che nel frattempo lasciava il paese del Futbol per andarsene in Turchia all’inaugurazione dei Mondiali Under 20.

Ma la politica è politica e Blatter sa bene che se vuole il quinto mandato deve fare le cose in grande. Così ha deciso: 100 milioni di dollari verranno prelevati dai profitti del Mondiale e verranno donati al Brasile. La Fifa aveva già concesso al Sudafrica 100 milioni da investire in progetti di sviluppo dopo i Mondiali del 2010. Ora Blatter vuole istiutuire un “fondo sociale” per il Brasile, dopo il torneo 2014. «Abbiamo lasciato in eredità al Sudafrica un fondo speciale controllato dalla federcalcio sudafricana, dal governo e dalla Fifa», ha detto Blatter, alla Associated Press. «Sono sicuro che una somma del genere, o anche di più, sarà possibile averla anche per il Brasile. L’obiettivo della Fifa non è fare profitto fuori dal Paese, ma di investire nel paese».

Ecco perché Blatter resta lì dov’è. E perché può permettersi qualsiasi gaffe. Come quando nel 2010, dopo aver assegnato il Mondiale 2022 al Qatar, Blatter risolse a suo modo la legge che nel Paese arabo vieta l’omosessualità: «I tifosi gay dovrebbe astenersi dall’attività sportiva». O come quando, nel 2004, propose per le calciatrici donne un abbigliamento più femminile, «magari con pantaloncini più corti». Fu fischiatissimo nelle sue seguenti apparizioni pubbliche, ma il posto lo conserva intatto. Basta pagare. 

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