La sbornia del 40% è la descrizione di un attimo. Poi sulle scrivanie del Nazareno sono arrivate le grane: il crollo delle roccaforti rosse alle amministrative, l’epurazione di Mineo e l’autosospensione dei senatori dissidenti, la disputa tra le correnti per la presidenza del partito e il dibattito interno. Questuanti e accuse tornano a lambire il premier in quello che sembra il più classico dei film democratici. Ma nel fermento notiziabile c’è anche una disputa che non va sui giornali ed è tutta interna all’inner circle di Matteo Renzi. Il duello riguarda le due amazzoni dell’ex sindaco, Simona Bonafè e Maria Elena Boschi. La renziana della prima ora e il volto gentile del renzismo al governo, entrambe donne di punta della rottamazione. Non è un mistero che tra le due la competizione parta da lontano mentre negli ultimi mesi ha ingurgitato attriti sotterranei. Qualcuno la chiama «guerra fredda», rimarcandone il dettaglio non belligerante di due rette parallele che proprio non riescono a incontrarsi nella scalata alle stelle. Una vince, l’altra perde. Una brilla, l’altra si eclissa.
Fonti qualificate parlano di «gelosie e recriminazioni» per ruoli e incarichi che segnano uno squilibrio nella distribuzione del potere tra due «renziane doc» da sempre nomi forti del Giglio Magico, il circolo di fidati consiglieri che orbita intorno al premier. Quella tra Simona e Maria Elena è una sfida intessuta di concorrenza e ambizioni, un mosaico puntellato da smorfie e sussurri, niente urla e molte chiacchiere. Una è diventata ministro e Madonna mediatica del governo mentre l’altra, dopo aver portato il gonfalone della rottamazione nella prima fase, è stata messa da parte con l’avvento del governo Leopolda per poi volare all’Europarlamento, italicamente considerato il cugino povero di Montecitorio quantomeno in termini di visibilità.
Renziana della primissima ora, la carta d’identità dice Varese ma Bonafè è «fiorentina d’adozione». Una laurea in scienze politiche, poi l’amicizia e un’importante collaborazione con Renzi che è stato pure suo testimone di nozze («Aveva ancora il ciuffo, gli chiesi di essermi vicino all’altare via sms, con la stessa modalità con cui qualche anno dopo mi avrebbe chiesto di candidarmi in Europa»). Il primo incarico politico lo ha avuto in provincia di Firenze, a Scandicci, paesone di 50.000 abitanti in cui ha fatto per due volte l’assessore e dove vive suo marito. Poi nel 2012 sale sul camper per coordinare la campagna di Renzi alle primarie di centrosinistra, quelle vinte da Bersani. Non è sola, con lei viaggiano l’attuale sindaco di Sesto Fiorentino Sara Biagiotti e soprattutto Maria Elena Boschi, brillante avvocato presso lo studio Tombari-Corsi-D’Angelo di Firenze. Consigliera giuridica dell’ex sindaco, fornì una consulenza al Comune per la privatizzazione della municipalizzata dei trasporti Ataf, «facendo risparmiare molti soldi alla città». La concorrenza tra le due ambasciatrici di Matteo, sussurrano, «partì proprio dall’esperienza in camper».
Maria Elena, classe 1981 e Simona, 1973. Otto anni di differenze, una appariscente nel look e nella declinazione mediatica, l’altra solennemente low-profile. Tacco dodici contro ballerine, da una parte i tailleur sgargianti dall’altra jeans e camicia. In una formazione calcistica la prima sarebbe attaccante che fa vendere i biglietti, la seconda mediano laborioso. Una sola però è diventata ministro delle Riforme e dei rapporti col Parlamento. «Secchiona» e sorridente, Boschi cura le relazioni diplomatiche con la minoranza Pd e gli altri partiti nell’iter delle riforme istituzionali. Dice di lei Corradino Mineo: «È intelligente, ha studiato più di Matteo e in alcuni passaggi si è sostituita a Renzi, si è convinta che lei poteva trattare con Berlusconi e Calderoli, che lei poteva amministrare i gruppi del Senato». Corteggiata dai cronisti e venerata dalle copertine dei giornali, è il personaggio di culto del renzismo al potere, la sua immagine viene strattonata tra le imitazioni tv e la discesa dall’aereo con i bimbi congolesi. Bella e brava, giovane e rottamatrice nello stile perché, come sottolineano a Palazzo, «è un donna di sinistra che finalmente non si veste male e non si vergogna della sua femminilità».
«C’è spazio per tutte», ha risposto Bonafè a chi le chiedeva conto del mancato ministero. Lei è tutto meno che un personaggio. Capelli a caschetto, poco trucco e zero gossip, vive a Roma in piazza Capranica in una camera in affitto con bagno, ma la cucina è in uso comune coi coinquilini. Paracadutata nel listino bloccato per le elezioni politiche 2013 in quota Renzi, lei e non altri, come ad esempio Roberto Giachetti, ottenne la corsia preferenziale per sbarcare in Parlamento senza fare le primarie dei Parlamentari. Poi un onesto percorso a Palazzo da renziana doc. I bene informati non hanno dubbi: «Simona si aspettava un ministero che però non è arrivato». A spuntarla è stata l’amica-collega-rivale Maria Elena, che in pochi mesi è assurta a volto rampante del renzismo 2.0 mentre Bonafè paga il dazio di esser stata esposta nel primo periodo, quello più difficile quando il calesse del sindaco era semivuoto e linciato dalla ditta.
Quello di Bonafè è stato tra i primi volti televisivi a diffondere la parabola renziana nei salotti dei talk, ha organizzato le campagne elettorali del sindaco e portato la sua voce durante la scalata al Nazareno. Conquistata la vetta però non è arrivato uno strapuntino in segreteria nè la poltrona di governo. Il paradosso di un periodo in ombra, con le quotazioni in discesa, Bonafè lo ha vissuto senza drammi pubblici e indossando l’abito istituzional-renziano, ma le pareti del Transatlantico dicono che «no, non si può far finta di niente». Poi un piccolo grande colpo di scena, Renzi la vuole capolista alle Europee per l’Italia Centrale. Lei accetta con il consueto spirito di servizio: «Ho fatto la campagna elettorale con le scarpe da ginnastica visto che vado sempre a correre». Il suo è un exploit: diventa Miss Preferenze con 288.000 voti, in altre parole è la più votata d’Italia. L’approdo all’Europarlamento, che per molti significa esilio dolce, per lei diventa occasione di riscatto e indipendenza. A Roma, era noto da mesi, c’è una poltrona per due e la concorrenza è stata vinta dalla Boschi, prima donna di un esecutivo a caccia di riforme. A Bruxelles, complici il semestre e il ruolo dell’Italia nello scacchiere, Bonafè può giocare da protagonista. E smarcarsi dalla gara di renzismo che nella Capitale pare essere diventata una maratona fin troppo affollata.