Rubrica Scienza&SaluteEcco perché ricordiamo poco dei primi anni di vita

Ecco perché ricordiamo poco dei primi anni di vita

Ricordo che era sera tarda. Fuori era buio e la piazza era piena di gente. Io ero seduta sul sedile posteriore della Fiat 126 rossa di mia zia, che sedeva al posto di guida.  Di fianco a lei, sul sedile del passeggero, c’era mia madre. Ricordo solo che eravamo noi tre e che a un certo punto la macchina non andava più né avanti né indietro: la gente che era scesa in piazza per festeggiare aveva riempito tutta la piazza principale della mia città, e la strada che la costeggiava. Eravamo bloccate in mezzo a un mare di gente. Poi ricordo solo che qualcuno (che non conoscevamo) aveva aperto lo sportello dal lato dove sedeva mia zia e forse doveva averle fatto o detto qualcosa di sbagliato, perché lei era scesa dalla macchina molto irritata. Era l’estate dell’82, l’Italia aveva appena vinto i mondiali di calcio, battendo la Germania 3 a 1. Noi, come molti italiani, eravamo uscite per festeggiare e nonostante avessi appena due anni e qualche mese, ricordo ancora quel momento. Ovviamente non ricordo nulla di tutto il resto, dei mondiali o che il mio ricordo risalisse a quella sera, ma l’ho scoperto solo dopo raccontandolo a mia madre. Forse quello che successe quel giorno mi colpì talmente tanto (in maniera negativa), da rimanere impresso nella mia memoria per tutti questi anni.

Ma perché non riusciamo a ricordare quasi niente dei nostri primi anni di vita? Se provate a pensare ai primi ricordi che avete, alcuni episodi saranno abbastanza chiari, mentre altri, magari ricordati da amici o parenti, vi sfuggiranno completamente, finiti in qualche cassetto della vostra memoria. Il perché di questo processo ha provato a spiegarlo, per la prima volta, un gruppo di ricercatori canadesi, in un lavoro pubblicato lo scorso maggio sulla rivista Science. Tutto sembra ruotare intorno alla neurogenesi, cioè la capacità di alcune specie (come gli esseri umani o i topi), di produrre nuovi neuroni. Per anni si pensò che questo processo molto attivo nei primi anni di vita, si interrompesse poi nell’età adulta. Ipotesi poi smentita, negli ultimi venti anni, da numerosi studi che hanno confermato come la neurogenesi, sebbene sia più attiva subito dopo la nascita, continui in realtà anche in seguito, benché in misura più lieve. Come racconta la giornalista Emily Underwood su Science, sebbene la correlazione tra neurogenesi e memoria sia ancora controversa, alcuni anni fa Paul Frankland, neuroscienziato presso il Hospital for Sick Children di Toronto in Canada, e autore dello studio pubblicato su Science, aveva notato che in alcuni animali si verificava un peggioramento di alcune capacità mnemoniche quando si intensificava la neurogenesi. «Poiché la nascita di nuovi neuroni è un fenomeno particolarmente intenso nei neonati (sia di topo che di esseri umani) e si affievolisce negli adulti, Frankland e i suoi colleghi si chiesero se l’esplosione di nuovi neuroni che si ha subito dopo la nascita, potesse in qualche modo spiegare il fenomeno dell’amnesia infantile, cioè l’incapacità degli adulti di ricordare eventi prima dei 2 o 4 anni».

Alcuni lavori avevano suggerito che la formazione di nuovi neuroni in qualche modo alterassero i ricordi già immagazzinati nell’ippocampo, ma l’ipotesi non era mai stata verificata in modelli animali. Così Frankland e il suo gruppo di ricerca hanno provato a verificarla mettendo a confronto due gruppi di roditori: uno composto da topi adulti e uno da topini di 17 giorni (corrispondenti a bambini con meno di un anno). Hanno sottoposto entrambi i gruppi a un piccolo shock, e dopo sei mesi li hanno ricondotti nello stesso luogo dove era avvenuto l’episodio precedente, notando — in base al comportamento — che mentre i topi adulti ricordavano ancora l’evento, i topi più giovani l’avevano rimosso. Come controprova i ricercatori hanno anche trattato gruppi di topi della stessa età in modo da aumentare la nascita di nuovi neuroni in alcuni di essi (con attività fisica o farmaci antidepressivi), trovando che gli animali adulti in cui si era verificato un incremento del 100% di neurogenesi, dimenticavano gli eventi come i topi neonati. Viceversa riducendo la neurogenesi in topi giovani, questi mostravano una capacità di ricordare simile a quella degli adulti.

«Nonostante non ricordare quasi nulla dei nostri primi anni di vita sia una condizione comune, ancora non si sa quali sino i motivi biologici alla base di questo fenomeno» spiega Maurizio Giustetto, neuroscienziato dell’Università di Torino, al microfono della trasmissione Radio3 Scienza, durante la puntata “Memoria piena”. «Il lavoro pubblicato su Science inizia a gettare luce su questo processo. Di fondamentale importanza per la formazione dei ricordi è un’area cerebrale chiamata ippocampo, al cui interno avviene la neurogenesi.  Questo processo neurobiologico avviene in maniera differente tra adulti e bambini e proprio questa diversità sembrerebbe essere alla base del diverso modo di ricordare che abbiamo nelle varie fasi della vita. La novità del lavoro è che i ricercatori hanno misurato l’impatto retrogrado della neurogenesi: ovvero cosa succede a una memoria già formata, stampata nei circuiti dell’ippocampo quando aumento i livelli di neurogenesi? Scoprendo che il suo aumento può inficiare la capacità di richiamare memorie che erano già state formate. E questo creerebbe una sorta di vuoto di ricordi. Il ricordo forma una sorta di stampo anatomico-fisiologico all’interno dell’ippocampo, che può essere alterato dalla neurogenesi, perché è un processo che va a rimodellare lo stampo stesso. Quindi quando richiamiamo un vecchio ricordo, in teoria dovremmo riattivare lo stampo originario, ma se la neurogenesi ha agito come agisce durante l’infanzia, modificando i circuiti, facciamo fatica a ritrovare lo stampo originario, e il ricordo viene perso».

Durante la trasmissione di Radio3, arrivano numerosi messaggi di ascoltatori che come me ricordano episodi accaduti intorno ai 2-3 anni di età. In tutti i casi però si tratta di momenti specifici, «sono ricordi legati a luoghi e eventi che hanno avuto una salienza particolare» continua Giustetto. «La salienza è molto importante per l’attività mnemonica come anche l’attenzione. Nei bambini molto piccoli è probabile che l’attenzione possa essere evocata dalla salienza dell’evento stesso, da quanto questo episodio ha colpito il processamento della memoria stessa, per tutta una serie di ragioni. La neurogenesi è in grado di cancellare un ricordo, bello o brutto, ma se l’evento è piuttosto importante allora la neurogenesi non riuscirà a cancellare del tutto questo ricordo. È come se la connessione con il ricordo venisse mantenuta».

In collaborazione con RBS-Ricerca Biomedica e Salute

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