Quando si pensa a un libro, un libro qualsiasi, fatto di pagine e inchiostro impresso, copertina e codice a barre, fascette, profili, capitoli, capoversi, in qualche caso titoli, un paio di risvolti. Ecco, quando si pensa a un libro non ci si rende quasi mai conto che si sta pensando, assieme al libro, al suo scrittore. E che quello scrittore, prima di arrivare a quel punto, a quel libro, ha navigato tra centinaia di altri libri — se è uno scrittore coscienzioso — non libri che ha scritto, intendiamoci, ma libri che ha letto, che ha vissuto, che ha amato. Seguendo questo ragionamento per ogni libro che leggiamo conosciamo uno scrittore e per ogni scrittore che conosciamo ne impariamo centinaia di altri. Scrittori che lo scrittore in questione ha infilato nei propri libri, di cui ha, direttamente o indirettamente parlato. Se è bravo, se ha la penna abile e leggera, non ci accorgeremo subito di come lo scrittore ci sta insegnando tutti quegli altri, se è magnifico non ce ne accorgeremo mai finché qualcuno non ce lo spiega — magari lo scrittore stesso — o lo scopriamo per caso. Insomma, non è che i bravi scrittori si limitano a scrivere un libro, o tre, o un intera bibliografia, ma visitano, rivivono e diffondono tutti gli scrittori che sono venuti prima. E qui veniamo a Fabio Stassi.
Stassi è uno scrittore coscienzioso e magnifico, che non sommerge il lettore ma lo arricchisce
Stassi è uno che nei libri, nei suoi libri, mette tutto quello che la vita gli ha insegnato. E siccome è uno scrittore coscienzioso e magnifico, lo fa in un modo che non sommerge il lettore, ma lo arricchisce. I suoi libri sono viadotti attraverso i quali si accede a qualche migliaio di mondi interconnessi, e la sua abilità sta nel prendere — sempre o quasi — spunto da fatti e personaggi reali, senza lasciare che questi prendano mai il sopravvento. Su quel romanticismo scellerato, su quella lingua ricchissima che popola la sua scrittura.
Quando si fa una cosa come proporre un libro per un premio della critica non si possono rifiutare queste premesse, ed è necessario ammettere che assieme al libro che stiamo proponendo c’è tutto quello che l’autore ha scritto, letto e vissuto. Noi premiamo Stassi, alla Coppa del Lettori di Finzioni, non soltanto per Come un respiro interrotto(Sellerio, 2014) che è il libro che ce ne dà l’occasione, ma per tutto quello che ha scritto fin ora. La musica, anzi la musicalità, protagonista di questo romanzo (d’amore, va detto) è forse più esplicita — tutto succede casualmente a tempo di musica, dagli incontri agli addii — ma è la stessa musica che pervade i suoi altri romanzi, da È finito il nostro carnevale (minimum fax, 2007) a L’ultimo ballo di Charlot (Sellerio, 2012), passando, naturalmente per La rivincita di Capablanca (minimum fax, 2008).
La scrittura di Stassi è qualcosa di romantico già di per sé, non importa che trama si presti a svolgere. È qualcosa di romanticamente costruito, plasmato amorevolmente intorno a una storia e stratificato su un passato di leggende e biografie, aneddoti e canzoni. Come un respiro interrotto, forse più degli altri, o diversamente dagli altri, racconta nei suoi protagonisti la storia delle storie, che già dalla premessa, già dalla prima citazione, il lettore sa dove andrà a finire. Lei se ne andrà e a lui resterà la musica, la stessa musica che tutto ha messo in moto, con la potenza di un tango incalzante e le parole di Alfonsina, che cresce, cresce, cresce e poi torna giù. Ci sono gli anni settanta a rendere il quadro malinconico e ingenuo al tempo stesso, quando sembra tutto possibile ma per le ragioni sbagliate e per le giuste ragioni alla fine della rivoluzione non se ne fa niente. C’è Roma, c’è un’inventiva raffinata e sterminata a rendere la vicenda credibile e impossibile da dimenticare.
C’è Fabio Stassi, con quel fatto che scrive in treno tra Roma e Viterbo, con quel modo dimesso di fare e quel modo grandioso di raccontare, e il motivo per cui abbiamo deciso che ci sarebbe piaciuto premiarlo e per il quale, alla fine, lo abbiamo fatto.