«Raggiungete la carovana, miei fratelli, per diventare gli uccelli verdi del paradiso, raggiungete la carovana mie sorelle per essere le regine delle hoor ain (le vergini del paradiso)». La scritta appare sulla pagina Facebook di uno dei tanti giovani musulmani francesi ingaggiati nelle fila del Dawlaal-Islamiya (Stato islamico dell’Iraq e del Levante o meglio noto come Isis), del Fronte Jabhat Al-Nusra o di altre formazioni jihadiste che imperversano da oramai tre anni nelle terre di Bilad Al-Sham (Terre del Levante, la Siria n.d.r.). Non per niente tra le fila di queste brigate internazionali del terrore – che seminano morte e desolazione, chiedono un’applicazione stretta della sharia e vogliono costruire un stato islamico nel cuore del Medio Oriente – è passato anche Mehdi Nemmouche, autore dell’omicidio plurimo al Museo Ebraico di Bruxelles in cui, il 24 Maggio scorso, hanno perso la vita tre persone e una quarta è rimasta gravemente ferita. Il percorso di Mehdi Nemmouche ricalca molto quello di Mohammed Merah, l’assassino della scuola ebraica di Tolosa abbattuto poi nel corso di un’operazione delle teste di cuoio francesi, il Raid. Radicalizzatosi in prigione e formatosi militarmente in campi di addestramento all’estero, è poi passato all’azione armata su suolo europeo, ovvero nella terra dei kuffar (infedeli).
Siria: la Mecca dei Jihadisti francofoni
In Siria sono conosciuti come i Muhajirin (jihadisti venuti dall’estero). Secondo cifre fornite dalle stesse autorità francesi sarebbero almeno 300 partiti dalla Francia alla volta della Siria per combattere contro gli eserciti regolari di Bashar al-Assad. Un centinaio di loro già sarebbero tornati in Francia ed il Dgsi (i servizi segreti interni francesi) già li tiene d’occhio. Tra questi, oltre una trentina sarebbero morti durante i combattimenti, secondo quanto ha dichiarato lo stesso presidente della Repubblica francese François Hollande qualche giorno dopo la sparatoria al Museo Ebraico di Bruxelles. In Belgio invece sarebbero circa 70 i combattenti che sono rientrati in Belgio dopo aver combattuto in battaglioni in Siria. Per cinquanta di loro è previsto un regime di sorveglianza intensiva, come ha precisato il quotidiano De Tijd.
Per il coordinatore europeo per la lotta contro il terrorismo Gilles de Kerchove ce ne sarebbero invece più di 2.000 in tutta Europa pronti a partire per combattere a fianco dei diversi battaglioni che si spartiscono diversi territori in Siria e che non lesinano a farsi anche una guerra spietata tra di loro per il controllo di determinate zone. In Siria infatti, oltre alla guerra civile, è in corso una vera e propria lotta di potere tra i leader di Jabhat Al-Nusra (JN) e dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis).
Proselitismo sui social network, passaggio in Turchia
Il richiamo della jihad è forte tra i giovani musulmani francesi e francofoni che sono disposti a lasciare famiglia, scuola, amici in un contesto di radicalizzazione progressiva. Spesso si tratta di giovani che vivono a margine, fuori dal circuiti dell’insegnamento, dediti a piccole o grandi attività criminali, giovani che entrano ed escono di prigione in continuazione per fatti più o meno gravi. A margine della società e nell’isolamento rispetto al contesto sociale in cui vivono, trovano un punto di riferimento nella religione, negli appuntamenti legati alla preghiera e nelle moschee e ciò in maniera sempre più militante.
Ma oggi sono Twitter e Facebook a giocare un ruolo fondamentale. Sui social network vengono infatti intercettati da organizzazioni che li aiutano a compiere il cammino spirituale e l’addestramento per diventare combattenti pronti alla morte. Secondo uno studio del Middle East media research Institute sulla rete jihadista francofona (tra le più attive in assoluto), i jihadisti già presenti sul territorio diffondono informazioni preziose sugli itinerari da compiere per giungere in Siria ad uso e consumo di coloro che desiderano arruolarsi in futuro.
Gli itinerari passano attraverso la Turchia dove ci sono una serie di campi di addestramento in cui formare le nuove reclute. Attraverso i social network i “veterani” spiegano come giungere a destinazione, quanto costa il viaggio, quali sono le condizioni di vita, addirittura quanto costa un alloggio (gli alloggi vengono messi a disposizione dei combattenti che possono portare anche le proprie mogli). Ci sono addirittura informazioni su come trovarsi una moglie in loco. La rete jihadista francofona, che comprende jihadisti provenienti da Belgio, Francia e Maghreb, ingrossa soprattutto le fila dell’Isis. Di solito infatti i combattenti provenienti da Paesi francofoni tendono a riunirsi tra di loro, ad addestrarsi insieme, a prendere alloggio nelle vicinanze in modo che anche le mogli o gli eventuali figli si ritrovino inclusi in piccole comunità che parlano la stessa lingua.
Il profilo del jihadista
I giovani combattenti hanno in genere tra i 18 e i 30 anni, sono spavaldi, postano foto su Facebook mostrando i propri fatti d’arme e i vessilli del Tawhid (professione di fede islamica), si mostrano spesso sorridenti (ed armati fino ai denti), pubblicano in continuazione dettagli riguardanti i combattimenti, le vittorie sul campo, le perdite e le eventuali sconfitte. Sempre su Facebook si lanciano in dibattiti sull’applicazione della sharia, si sperticano in discorsi antioccidentali e antisemiti ed esortano altri membri ad agire con le armi in pugno anche nelle terre degli infedeli, ovvero in Occidente. In breve il jihadista in rete si presenta come un modello ideale per i giovani, la realizzazione del perfetto musulmano pronto a sacrificarsi per costruire un Paese basato sulla sharia. In tal modo s’attira l’attenzione di altri giovani in difficoltà, nuovi emarginati che diverranno in breve reclute che combatteranno nella nuova Mecca dei jihadisti, la Siria. Dopo i fatti di Bruxelles il Tribunale di Parigi ha aperto 55 procedure contro circa 200 persone che orbitano in questo unierso. Di questi 26 persone sono già in detenzione provvisoria tra cui sette a Strasburgo.
Francia, Belgio e Marocco: una rete globale del terrore
Nel Marzo scorso le autorità spagnole e quelle marocchine hanno smantellato una rete internazionale di reclutamento di jihadisti provenienti soprattutto da Francia, Belgio e Marocco, il cui capo guarda caso è Mustafa Maya Amaya, un cittadino belga. Amaya, 51 anni e residente nell’enclave spagnola di Melilla, è stato accusato di reclutare giovani musulmani in Europa e nel Maghreb, di fornire loro mezzi finanziari e tecnici, falsi passaporti e di aiutarli nella logistica degli spostamenti verso la Siria. Anche Amaya si serviva di Facebook, Twitter e Google+ per reclutare nuovi combattenti. Sul suo blog Ansar Tawhid forniva consigli pubblici e istruzioni dettagliate su come raggiungere più facilmente la Siria o pubblicava addirittura mappe che mostravano gli itinerari preferenziali e i metodi per eludere la sorveglianza dei servizi segreti e delle polizie dei vari Paesi attraversati. Tra i suoi consigli anche quello di «trasformarsi in persone normali nella propria città», di «economizzare al massimo per il viaggio vendendo tutto ciò che si può vendere» o quello di «addestrarsi frequentemente». In breve, un vero e proprio decalogo del perfetto jihadista che si prepara a versare (e a far vesare) altro sangue nella già martoriata Siria.