Grillo e Farage, quanto durerà l’unione di fatto?

Grillo e Farage, quanto durerà l’unione di fatto?

Quando l’Europa scricchiola gli euroscettici sono disposti alle più improbabili alleanze pur di assestarle il colpo finale. Uniti in un’armata attaccata con lo scotch, Beppe Grillo e Nigel Farage – dopo settimane di trattative e una caccia grossa ai deputati in bilico tra i gruppi no-euro – sono pronti a debuttare a Strasburgo finalmente insieme.

Il prossimo 1° luglio, alla prima plenaria post-elettorale, il gruppo Europe of freedom and democracy (Efd) non mancherà di occupare i posti anti-europeisti dell’emiciclo. Anzi, sarà anche più corposo che in passato. Se nel Parlamento europeo uscente erano in 31, ora rinascono con 48 membri di sette Paesi (restando comunque il gruppo più esiguo per ora, ndr). A comporlo saranno molti esordienti, partiti vecchi e nuovi. Nato nel luglio 2009, a farne parte, accanto all’Ukip inglese, c’erano dai leghisti a Magdi Cristiano Allam, dalla Polonia solidale ai Veri finlandesi, il Raggruppamento popolare ortodosso greco, il Fronte nazionale per la salvezza della Bulgaria e altre amenità politiche contro l’integrazione europea.

Nella strenua lotta all’Europa delle élite si aggrega ora il Movimento 5 Stelle, che ha scelto con l’ingresso nell’Efd una posizione antisistema anche nell’Unione europea per i suoi 17 deputati. «It is a great victory for direct democracy», ha subito commentato il leader pentastellato sulla ricostituzione del gruppo. E a fargli eco da Oltremanica il neo-alleato dell’Ukip Farage, che magari delle teorie sulla democrazia diretta grilline poco saprà, ma con Grillo e la sua «huge personality» ha trovato da subito un ottimo feeling. 

Farage sarà per un’altra legislatura presidente della più potente forza politica brussellese anti-Bruxelles. «Saremo in prima linea per la restaurazione della libertà, la democrazia nazionale e la prosperità in Europa. Aspettatevi da noi che combattiamo la buona battaglia per riprenderci il controllo dei destini dei nostri Paesi».

Un cocktail di idee e programmi elettorali che qualcosa devono pur avere in comune, no? Di certo la volontà condivisa di non finire nel limbo dei non iscritti e non perdere 5,6 milioni di euro l’anno di finanziamenti, secondo le stime del think tank Open Europe. Perché se l’unione degli eurodeputati deve nascere, per regolamento, non dalla nazionalità, ma dalle affinità politiche, a volte basta un pranzo per raggiungere l’intesa e concludere un matrimonio d’interesse. Anzi, come ha dichiarato lo stesso Farage «non un matrimonio, ma un un’unione libera».

L’Efd ha dunque raggiunto – e superato – i parametri di sopravvivenza: un minimo di 25 deputati che rappresentino almeno un quarto degli Stati membri. L’iniziativa britannica ha portato i suoi frutti. E Il posto di presidente per la coalizione no-euro spetta di diritto a Nigel Farage, non solo presidente uscente, ma anche leader del primo partito d’Inghilterra, che è riuscito ad accaparrarsi 24 seggi (11 in più rispetto al 2009) e a catalizzare il 27,5 per cento dell’elettorato. I tempi in cui Cameron dava ai membri dell’Ukip degli «svitati, pazzoidi e razzisti» (fruitcakes, loonies and closet racists, ndr) sono ormai lontani. Il terremoto politico ha fatto tremare il panorama elettorale inglese, sempre guidato da laburisti e conservatori per tutta la storia contemporanea. E pensare che l’Ukip 20 anni fa, agli esordi, aveva l’1 per cento dei voti. Ora invece il politico inglese anti-Europa promette che il gruppo sarà «la voce della gente». Chissà se intende anche delle cicale del Sud.

Farage, come Marine Le Pen, si definisce «patriottico» ma dalla leader del Front national si tiene a distanza. Insieme a Grillo hanno rispedito al mittente l’invito all’unione anti-euro arrivato dalla Francia. Il re degli euroscettici inglesi ha centrato per primo l’obiettivo di creare una coalizione all’Europarlamento, seppur precaria. Uno scacco alla regina Le Pen, che ancora è alla ricerca di deputati pronti a sostenerla fuori dall’Esagono (ha ancora fino al 24 giugno per raggiungere la meta, ndr).

Si tratta di una battaglia all’ultimo deputato per le formazioni eurofobe in competizione. Dove la coerenza è l’ultima delle variabili. La Lega Nord promette amore eterno (finché dura) alla Le Pen abbandonando Farage, che l’anno scorso aveva osato proporre la cacciata dal gruppo del Borghezio nazionale dopo le dichiarazioni contro il ministro dell’Integrazione (e molto presto collega al Parlamento europeo) Cécile Kyenge. Nello scambio di carte arriva la reduce francese dal Front national Joelle Bergeron, che all’onda blu Marine ha preferito andare contro-corrente, abbandonando il partito di provenienza appena due giorni dopo le Europee. E al suo gruppo, che le ha chiesto di lasciare il seggio a qualcun altro, la transfuga ha risposto con una seconda pugnalata, mettendosi tra le fila dell’Efd come indipendente. A completare la larga intesa euroscettica due Democratici svedesi, il cui partito avrebbe tra i fondatori Gustaf Ekstrom, membro delle Waffen SS. Neanche a dirlo vogliono la Svezia fuori dall’Ue. Poi c’è Petr Mach, dalla Repubblica Ceca, autore del libro Come lasciare l’Ue, e la lettone Iveta Grigule, membro dell’Unione degli agricoltori, che si è distinta nel suo Paese per la campagna contro l’adozione della moneta unica. Ha invece mantenuto la parola il partito lituano Ordine e Giustizia, vecchia guardia della coalizione di Farage, da cui in molti si aspettavano una defezione.

«Non c’è che dire una gran bella famiglia: il gruppo europeo Edf contiene, fra gli altri, oltre a M5S e Ukip, l’ex primo ministro e presidente lituano Paksas, mandato via per impeachment per alto tradimento; la Bergeron, unica francese transfuga del Front national; gli svedesi Winberg e Lundgren, contrari all’immigrazione e al multiculturalismo. A Farage, noto leader di un partito xenofobo e razzista, la guida del gruppo». Sono le parole di Simona Bonafè, la più votata in Italia alle Europee del 25 maggio scorso, che si interroga: «Possiamo cambiare l’Europa con questi profili?»

Grillo invece nel suo blog parla di «accanimento quasi morboso, caccia al particolare, al dettaglio di qualche componente». I soliti media italiani. Ma il Movimento 5 Stelle «si accinge a portare una sferzata di energia, coraggio e determinazione nelle istituzioni europee». Peccato che dei sette punti in programma nel manifesto pentastellato con l’Ukip sembra si possa condividere al massimo il ritorno alla lira e la volontà di eliminare ogni soffocante vincolo europeo. Come promuovere l’abolizione del fiscal compact e del pareggio di bilancio, il referendum sull’euro e contemporaneamente, l’adozione degli Eurobond? Come creare una politica comune tra Paesi mediterranei, promuovere investimenti in innovazione e nuove attività produttive, proporre finanziamenti per le attività agricole con un partito come l’Ukip, il cui obiettivo è abbandonare l’Unione europea?

La principale forza politica inglese ha inscritto nel nome il suo programma: l’Ukip, United Kingdom Independence Party, (Partito per l’indipendenza del Regno Unito, ndr) non può che mirare all’isolazionismo britannico. Lo slogan di punta? “We want our country back”.

Secondo Farage stare nell’Unione europea costerebbe al Regno Unito 55 milioni di sterline al giorno. Insomma, la panacea di ogni male britannico sarebbe uscire dall’Europa. E senza aspettare il 2017 per il referendum. Il leader Ukip è cresciuto a colpi di cricket nel Kent, e ha lavorato per anni alla City di Londra prima di darsi alla politica. Le radici del suo euroscetticismo risalgono ad allora, già all’epoca del Trattato di Maastricht. Sostenitore di capitalismo e libero mercato, è convinto che uscendo dall’Europa la vecchia Inghilterra rimarrà la sesta economia mondiale,- o magari tornerà allo splendore imperiale -, promuovendo negoziati unilaterali per il commercio globale e chiudendo le frontiere all’immigrazione sfrenata dall’Est e dal Sud che pesa sul welfare britannico. Finché non lasciamo l’Ue le nostre mani sono legate da Bruxelles, si legge nel manifesto.

Come togliere il voto ai detenuti contro le decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo? O smettere di investire contro il cambiamento climatico e sulle energie rinnovabili, i cui target europei  sarebbero perseguiti a spese del contribuente inglese? Turbine eoliche e pannelli solari? No, grazie. Meglio il buon vecchio nucleare contro cui Grillo ha tanto lottato.

Nel frattempo gli europarlamentari dell’Ukip si dirigono a Strasburgo non per rendere l’Ue migliore, più forte o far passare lì più leggi, ma per contrastare l’invasione europea sulla loro democrazia (rappresentativa). 

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