Groupon: scioperano in pochi, ma i coupon non decollano

Groupon: scioperano in pochi, ma i coupon non decollano

Piove sullo sciopero dei lavoratori di Groupon Italia. Mentre a Milano cadeva una pioggia da record, solo 18 dipendenti su oltre 400 mercoledì 25 giugno hanno occupato un piccolo spazio di marciapiede di corso Buenos Aires, a qualche metro dai cancelli della sede della multinazionale americana. Le bandiere sindacali sono poche, ancor meno degli scioperanti. D’altronde in azienda, che ha un’età media di 29 anni, gli iscritti alle sigle sindacali sono meno di 50. «Siamo delusi», dicono i i lavoratori presenti in strada, «molti colleghi sono rimasti dentro perché hanno paura di esporsi».

La miccia tra il colosso americano e i lavoratori italiani si è accesa quando, durante uno degli ultimi incontri mensili con i dipendenti sull’andamento dell’azienda, sarebbero stati annunciati – così raccontano i lavoratori – licenziamenti e delocalizzazioni a seguito del calo della performance della multinazionale in Italia. «Abbiamo mandato una email a Tamer Tamar, vice president del reparto internazionale, chiedendo spiegazioni nel giro di un paio di giorni», raccontano, «ma non ci ha mai risposto». Così è stato proclamato lo stop di otto ore in una delle vie principali dello shopping milanese. 

I lavoratori di Groupon in sciopero in corso Buenos Aires a Milano

Nel giorno dello sciopero, l’azienda apre le porte ai giornalisti e respinge le accuse dei sindacati, dicendo che «non sta attuando piani di ridimensionamento né sta effettuando licenziamenti, né ci sono piani di decentramento e anche nel caso in cui un team venga spostato, i lavoratori vengono invitati a trasferirsi all’estero con un salario più alto e un avanzamento di carriera, mentre quando questo non è possibile si cerca in loco un altro ruolo di pari livello»Una parte del team dedicato alle offerte sui viaggi è stata già spostata in Romania. E ora quello che i sindacati temono è anche la concentrazione di parte delle attività in alcuni Paesi europei, a partire dal marketing, che dovrebbe volare in Irlanda. Sull’andamento di Groupon Italia le bocche invece sono cucite: «Essendo Groupon una realtà quotata in Borsa dal 2011 e presente in 48 Paesi, possiamo veicolare dati e numeri solo a livello mondo», dicono. E i numeri «a livello mondo» sono positivi: +29% del fatturato nei primi tre mesi del 2014 e oltre 10 milioni di app scaricate dagli smartphone. Certo, aggiungono, «ogni mercato ha i suoi alti e bassi». E pare che in Italia, tra prenotazioni che fanno aspettare mesi e mesi e commercianti che guadagnano sempre meno a fronte di sconti anche del 90%, la febbre iniziale da coupon stia un po’ svanendo. Anche il titolo in Borsa è crollato a picco, dai 26 dollari del debutto ai 7 dollari dei giorni scorsi (con picchi negativi di 3 dollari nei giorni della cacciata del fondatore Andrew Mason).

Ma dall’azienda dicono che tutto va bene. E lo sciopero dei 18 viene definito solo come «il frutto del malumore di una minoranza, che fa male alle persone che lavorano qui dentro e che fanno fatica a spiegare a partner e clienti quello che sta accadendo». Per questo, mentre fuori era in corso la protesta, Groupon ha ben pensato di raccogliere le dichiarazioni dei dipendenti che non hanno aderito allo sciopero lanciando in una email aziendale l’hashtag #dilloachinonlavora, «per dire che noi siamo fortunati ad avere contratti a tempo indeterminato mentre molti giovani fuori non lavorano o sono precari», spiegano. Le risposte, diffuse dall’azienda stessa, hanno toni diversi. «Non sciopero perché ho un indeterminato e mi ritengo una privilegiata», scrive qualcuno. Qualcun altro scrive che «è una buffonata organizzata da Cgil & Co.», altri parlano di Groupon come «un’azienda meravigliosa». Ma c’è anche chi trova «che #dilloachinonlavora sia offensivo per i colleghi che sono fuori per diversi motivi… Non sto scioperando perché non condivido i modi utilizzati e non perché penso che questa azienda sia perfetta». E ancora: «#dilloachinonlavora? Un hashtag poco rispettoso nei confronti di chi ha scelto lo sciopero. Io sono alla mia scrivania a lavorare con il solito impegno perché, come tanti, non condivido le modalità scelte dal sindacato. Ma non senza dubbi e perplessità… Che mi restano tutti davanti a questo hashtag».

«Il 90% di noi ha sì il tempo inderminato», raccontano i pochi lavoratori in strada, «ma con l’indeterminato ti incastrano, pensando che avendo quello va tutto bene. Ripetono sempre la solita manfrina che grazie a Groupon si pagano i mutui, si fanno i figli. Ma la nostra battaglia è per la qualità del posto di lavoro». Il sindacato in azienda è entrato solo due anni fa. Per una multinazionale presente in 48 Paesi è stato difficile accettare le dinamiche dei tavoli di confronto con le parti sociali. «Siamo riusciti a ottenere finalmente le bacheche per le comunicazioni, ma non ci hanno fornito ancora una email aziendale per comunicare con tutti i lavoratori, così siamo costretti a farci un nostro database con le email personali dei colleghi», raccontano i rappresentanti sindacali.

Mentre fuori il 5% dei dipendenti discute e rilascia dichiarazioni alle televisioni sul «pessimo» clima in azienda, nella sede di via Amilcare Ponchielli il resto dei dipendenti, diviso nei vari team (dal sales all’editor), lavora nel brulichio di sottofondo dei grandi open space come se nulla fosse. «I contratti sono tutti a tempo indeterminato», precisano più volte dall’azienda, «inquadrati all’interno del contratto nazionale del commercio». Cosa che gli scioperanti fuori, tra cui c’è anche qualche editor – quelli che scrivono i testi delle offerte di Groupon per intenderci – contestano. «Ma un contratto nazionale per l’ecommerce ancora non esiste», rispondono dall’azienda. Eppure alcuni dei benefici concessi, dal pagamento degli straordinari alla flessibilità dell’orario di lavoro in entrata, «li abbiamo ottenuti solo dopo varie contestazioni», dicono i lavoratori fuori. Contestazioni, raccontano, «che spesso ad alcuni sono costate spostamenti in altri team concentrati magari su città in cui si sa che si stipulano pochi contratti». In passato, in effetti, il turn over dei dipendenti è stato molto forte. «Ci sono state cause per mobbing», raccontano, «persone licenziate per assenza prolungata mentre erano in malattia, abbiamo visto tanti sbattere la porta e andare via in lacrime e in due anni abbiamo cambiato tre diversi responsabili delle risorse umane». Groupon risponde che «alcuni sono andati via perché hanno ricevuto altre proposte, altri perché non si trovavano bene. Noi qui non siamo mica le poste, qui vige il principio della meritocrazia con una salary review in base agli obiettivi raggiunti». Certo, ammettono, «Groupon non è il paradiso dei lavoratori, non siamo la perfezione e stiamo lavorando per migliorare».

Tutto il lavoro, tra le scrivanie di Groupon, è misurato in obiettivi e risultati raggiunti. I dipendenti dell’area vendita, ad esempio, vengono addirittura pagati con uno stipendio fisso più le provvigioni in base ai contratti firmati. E se un obiettivo non viene raggiunto? «Non c’è né un peggioramento della condizione del lavoratore né un licenziamento», assicurano dall’azienda, «ci si siede insieme e si verifica perché l’obiettivo non è stato raggiunto». «Ci sono forti pressioni sulla produttività», contrattacano invece i dipendenti in strada, «sia che sia bassa, sia che sia alta, perché ci dicono “perché non lo avete fatto prima?”». Difficile capire dove stia la verità. Ma, a sentire le voci aziendali, per la multinazionale americana questo sciopero (che non è il primo) sembra essere un fulmine a ciel sereno. «Riceviamo curriculum ogni giorno», dicono, «e stiamo assumendo ancora in vari settori, soprattutto commerciale. Le notizie diffuse in questi giorni sono solo falsità». 

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