I sei punti cruciali per una vera ripresa economica

I sei punti cruciali per una vera ripresa economica

I puntini si sono collegati, il disegno appare chiaro e allineato con quanto vi ho descritto nei mesi passati su queste pagine. A distanza di un giorno il presidente di Confindustria Squinzi e il governatore della Banca d’Italia Visco hanno parlato alle rispettive assemblee e su alcuni temi sono stati precisi e convergenti. I commentatori lo hanno notato e hanno già messo le vele nella direzione del vento.

Per quanto concerne il piano di gioco di cui si occupa Imprese+Finanza i punti essenziali, che caratterizzeranno il semestre, sono questi:

Banche in ripresa dopo gli aumenti di capitale e le pulizie di bilancio 

Questo ragionamento vale per i primi 15 istituti che si sono dovuti preparare all’esame della commissione Eba-Bce di ottobre facendo emergere più realisticamente lo stato di deterioramento del portafoglio crediti e provvedendo da un lato a costituire maggiori riserve e dall’altro a varare cospicui aumenti di capitale (vedi grafico). Rimane qualche preoccupazione della stessa vigilanza per le banche di minore dimensione, alcune gestite in modo inappuntabile altre ancora in mezzo al guado e con le imprese di pulizie alle porte. È comunque un fatto che per alcune importanti banche la propensione a concedere credito è aumentata nel 2014 e la necessità di farlo abbastanza evidente se si vuole migliorare il conto economico e il Roe che rimane sempre troppo basso nel confronto europeo.

Credito debole e selettivo 

La convalescenza del sistema bancario, schiacciato da un tasso crescita di sofferenze e incagli che sta rallentando (…ma sempre di crescita si tratta) è avviata. Le trimestrali hanno mostrato segnali positivi nel conto economico, ma è impensabile che si ritorni al sistema precedente del credito, tanto meno che ci sia un’abbuffata di nuovi impieghi. Il centro studi di Prometeia, solitamente attento sul settore bancario, ha previsto per il 2014 un ulteriore calo (-1,8%) del credito a famiglie e imprese dopo quello piuttosto pronunciato del 2013 (vedi grafico).

Che il nuovo credito sarà molto selettivo è stato chiaramente scritto nelle presentazioni agli analisti di queste settimane. Nessuna banca intende ampliare i finanziamenti a quella consistente parte di aziende che è marchiata a fuoco da un rating rappresentativo di un rischio elevato. Anzi, l’idea comune sarebbe quella di ridurli per spostarli verso le imprese “sane, innovative, esportatrici”, le nuove etichette del credito garantito. E per non farsi mancare una gradita riduzione nel costo del capitale le imprese sentiranno spesso la richiesta di garanzie concesse dal Fondo di Garanzia o dai migliori confidi. Dico i migliori, perché la situazione precaria dei confidi sta arrivando ai limiti e la debolezza patrimoniale di molti di essi è tale e tanta da indurre anche le banche a rinunciare a garanzie considerate di poco pregio.

Credito solo con aumenti di capitale? 

Il punto interrogativo lo lascio perché altre volte ho espresso riserve sulla reale disponibilità liquida delle famiglie di imprenditori dopo sei anni di crisi. Sta di fatto che Visco lo ha detto chiaramente: «Una dotazione di capitale più elevata agevolerebbe l’accesso delle imprese al credito; insieme con una maggiore diversificazione delle fonti di finanziamento esterno, le renderebbe più robuste. Una leva finanziaria in linea con la media europea richiederebbe un aumento del patrimonio di circa 200 miliardi e una pari riduzione dei debiti: si tratta di un obiettivo ambizioso ma alla portata delle nostre imprese in un orizzonte di medio termine». Mi sembra che anche nel discorso di Squinzi ci sia stato un richiamo indiretto ad una maggiore immissione di capitali nelle imprese. Per questo dovete attendervi d’ora in avanti che il messaggio “più credito solo con più patrimonio” arrivi fino all’ultima filiale della Sicilia e del Friuli sulla bocca dei direttori di banca quando le piccole imprese busseranno alla porta per avere credito. Più o meno con la vaghezza che si ritrova anche in questo commento di Fabrizio Forquet trovato sul Sole 24 Ore: «Ma è la mancanza del credito ad emergere come il problema dei problemi. Soprattutto in relazione alle piccole e medie imprese. Non quelle decotte e fuori mercato, ma aziende vive, che possono svilupparsi e fare occupazione». Ci sono sicuramente aziende decotte e fuori mercato, ma a chi spetta emettere il giudizio su quale sia un’impresa decotta e una viva, visto che sinora in parecchi hanno sbagliato a giudicare, imprenditore compreso?

Il ritorno delle cartolarizzazioni 

Il ritorno del credito alle Pmi è affidato molto all’iniziativa della Bce perché i meccanismi di ripresa sin qui auspicati non hanno funzionato. Sarà l’asse Draghi-Visco a fare un nuovo tentativo che si basa sulla concessione di liquidità alle banche subordinata alla dimostrazione di avere convogliato i fondi alle piccole imprese, cosa che avverrà ma con quei criteri del credito selettivo, lasciando a secco le imprese più deboli. Si ripeterà quanto è già avvenuto nel Regno Unito, dove lo schema del Funding for Lending non ha avuto tutti gli esiti sperati. La seconda valvola che viene aperta è quella delle cartolarizzazioni di prestiti alle Pmi che saranno rese più facili, al punto di comprendere anche i finanziamenti in conto corrente (vedi post precedente). Un nuovo sbocco che sulla carta potrebbe rivelarsi più efficace dell’asfittico mercato obbligazionario (minibond).

Il nodo delle costruzioni 

Resta un punto importante da affrontare e riguarda il settore delle costruzioni che continua a languire sul mercato domestico, anche per mancanza di interesse e di credito da parte delle banche. Mentre nel Regno Unito il mercato è ripartito in Italia continua a declinare (vedi grafico della fiducia dei settori pubblicato da Istat). Nei commenti al discorso di Visco traspare la necessità di fare qualcosa per riavviare la ripresa e questo qualcosa passa inevitabilmente per le costruzioni come spiega Guido Gentili sempre sul Sole:

«Per Bankitalia la ripresa ha un nome ed un cognome: «investimenti fissi» per accrescere la domanda interna. Parliamo di costruzioni, macchine e attrezzature, mezzi di trasporto che “reagiscono” subito a uno scatto di fiducia e potenziano nel tempo la qualità dell’offerta. Parliamo in particolare di investimenti pubblici, che da anni scendono mentre la qualità delle infrastrutture peggiora a vista d’occhio, regalandoci immagini da Paese del quarto mondo».

I tempi di pagamento 

Ultima nota relativa al problema dei tempi di pagamento e della liquidità che viene assorbita dai ritardi. Qui le cose sono meno chiare. Lo Stato ha fatto proprio poco, innanzitutto mantenendo un arretrato di ben 75 miliardi dopo anni di promesse, varando una direttiva sui tempi di pagamento che alla prova dei fatti non viene rispettata da nessuno (pubblico e tantomeno privato). Le società che competono nel mercato delle informazioni commerciali e del recupero crediti si alternano nel fornire dati statistici. Nelle ultime settimane due di esse (Intrum Justitia e Crif) hanno mostrato che la situazione non migliora e una (Cerved) ha fornito dati in controtendenza. Chi ha ragione? Chi sta misurando meglio? Direi che fa poca differenza, i pagamenti in Italia restano lenti e poco puntuali. Il 30% delle imprese paga in ritardo e tutto questo complica la vita del credito perché in un sistema con pochi capitali e tanto debito bancario i ritardi vengono quasi tutti finanziati in banca.