La difficoltà del supereroe in una squadra normale e il sogno proibito di una finale tra Seleçao
Nel 1500 una flotta portoghese è arrivata sull’altra sponda dell’oceano, forse per caso, guidata da tale Pedro Álvares Cabral (ma c’è chi dice che arrivò per secondo). Non avevano la più pallida idea di dove si trovassero, ma qualche anno più tardi alcuni loro connazionali decisero di rinominare quei territori con il nome di un albero, dalla resina di un colore rosso brace (brasa in portoghese), molto diffuso nelle regioni litoranee. Brasil. Quando, 513 anni dopo, le magiche palline dei sorteggi Fifa hanno rivelato che il Portogallo avrebbe dovuto affrontare la Svezia di Ibrahimović, forse il rivale più forte negli spareggi per il Mondiale, un brivido profondo ha attraversato tutti i lusitani: il Portogallo rischiava di non andare in Brasile, un paradosso storico talmente grande da aprire pensieri su universi paralleli. La tripletta di Cristiano Ronaldo in Svezia ha chiuso tutte le possibilità del multiverso: il Portogallo andrà in Brasile, com’è naturale che sia. Oltre agli infiniti legami culturali tra i due Paesi, anche le due Nazionali sono molto legate, e molti sognano una finale Seleção contro Seleção. Pepe, difensore centrale del Real Madrid, è nato e cresciuto in Brasile, ma gioca per la Nazionale portoghese. Scolari, l’attuale allenatore del Brasile, ha allenato per ben sei anni il Portogallo, raggiungendo i migliori risultati nella storia di quella Nazionale (ad eccezione del terzo posto del 1966, la vetta più alta in assoluto). Infine, c’è un episodio che inquieta entrambi: nel 2004, gli Europei si giocarono in Portogallo e la squadra allenata da Felipão arrivò in finale, da favorita, contro la modesta Nazionale greca, e perse. Per i portoghesi, un brutto ricordo; per i brasiliani, ma soprattutto per il loro allenatore, un cattivo presagio da allontanare al più presto.
The Normal One
Il Portogallo vive una fase di profondo shock calcistico. Un giorno si è svegliato ed ha scoperto che il vicino di casa era diventato il padrone del quartiere, rispettato e invidiato da tutti, e persino emulato. Quel vicino è la Spagna, che dopo una vita passata a non vincere niente o quasi, ha cominciato a vincere tutto. Il Portogallo invece prosegue imperterrito sull’antico sentiero. Tutto ciò nonostante l’evoluzione significativa del movimento calcistico portoghese nell’ultima decade: 2 Europa League, 1 Champions League, 1 Coppa Intercontinentale, forse il miglior allenatore del mondo (Mourinho) e l’attuale Pallone d’oro (C. Ronaldo). Il campionato è il quinto più importante in Europa, dietro alla Serie A e davanti alla Lega francese; il Benfica e il Porto sono costantemente tra le prime dieci del ranking UEFA. Non basta: serve una vittoria della Nazionale per rendere il movimento calcistico portoghese protagonista a livello mondiale. Fino a quattro anni fa sembrava un obiettivo irraggiungibile: la squadra era allenata da Carlos Queiroz, con scarsi risultati, e sembrava un naufrago alla deriva. La Federazione decise di cambiare guida tecnica, ma ci vollero più di 10 giorni per arrivare a una decisione: nel frattempo, si era pensato persino a una soluzione ponte con Mourinho allenatore part-time, ma Florentino Pérez disse di no.
A quel punto, qualcuno immaginò che un giovane allenatore, Paulo Bento, 35 presenze in Nazionale da giocatore, ex coach del miglior Sporting Lisbona degli ultimi anni, potesse essere l’uomo giusto al posto giusto. In effetti, la scelta diede ottimi risultati: il Portogallo, nonostante le disastrose prime partite di Queiroz, riuscì a qualificarsi per l’Europeo del 2012. Senza la bacchetta magica, ma semplicemente applicando il buon senso, Paulo Bento decise di costruire una squadra solida, puntando sulle poche eccellenze a sua disposizione, ed in particolare sulla stella della squadra, Cristiano Ronaldo, che conosce molto bene. L’attuale allenatore era ormai a fine carriera nello Sporting quando Cristiano si affacciò in prima squadra: insieme giocarono per una sola stagione (2002-2003). Queiroz aveva pensato di sopperire all’eterna carenza di centravanti schierando Ronaldo da prima punta, ruolo che a lui non piaceva. La prima cosa che fece Bento fu proprio spostare Ronaldo nella sua posizione preferita: leggermente defilato sulla sinistra, per permettergli micidiali diagonali e aprire l’angolo di tiro sul piede preferito. Piano piano, CR7 si è caricato la Nazionale sulle spalle, fino a diventarne capitano e leader indiscusso.
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