Una tecnica medica estremamente “personalizzata” permette ai pazienti con tumore al rene in fase avanzata di vivere tre volte più a lungo rispetto al normale. In un esperimento che ha coinvolto 21 pazienti circa la metà è vissuta più di due anni e mezzo, dopo la diagnosi che un tumore al rene aveva cominciato a diffondersi. Cinque pazienti sono ancora vivi dopo più di cinque anni.
«Questo risultato supera quanto ci si può aspettare da ogni altra terapia e quanto ci si aspetterebbe da pazienti con prognosi simili», spiega Robert Figlin, oncologo presso il Cedars-Sinai Samuel Oschin Comprehensive Cancer Institute di Los Angeles, che sta guidando lo studio. Le scoperte derivano da una serie di risultati positivi ottenuti grazie a un tipo di terapia anti-tumorale conosciuta come immunoterapia oncologica. Diverse società farmaceutiche, grandi e piccole, si stanno concentrando su terapie che spingono il sistema immunitario ad attaccare le cellule tumorali. Esistono diversi metodi per far aumentare le cellule immunitarie. In alcuni casi, come nella cura sperimentale per il tumore al rene, i medici stanno “insegnando” ai globuli bianchi del paziente stesso a individuare una cellula tumorale tra le cellule innocue che la circondano.
La maggior parte dei cosiddetti vaccini contro il cancro sono prodotti standard, che insegnano alle cellule immunitarie ad attaccare quelle cellule tumorali che contengono una particolare proteina. Poiché il tumore è conosciuto per la sua capacità di mutazione, questi trattamenti in serie «potrebbero concentrarsi su qualcosa che non si trova in ogni paziente», spiega Jeff Abbey, Ceo di Argos Therapeutics, la società biotech di Durham, nella Carolina del Nord, che ha sviluppato la cura per il tumore al rene. La Argos sta adottando un approccio più personalizzato: «Pensiamo che il solo modo per vincere consista nello sviluppare un’immunoterapia specifica attiva che catturi tutte le mutazioni», continua Abbey.
La terapia della Argo ha inizio con la rimozione chirurgica di parte del tumore; da questa porzione di materiale biologico gli scienziati della compagnia estraggono l’Rna, il cugino molecolare del Dna, che rappresenta tutti i geni attivi nelle cellule tumorali. La raccolta dei geni attivi diviene così un vaccino per il sistema immunitario dei pazienti. Due o tre settimane dopo l’operazione, i medici raccolgono i globuli bianchi del paziente attraverso un processo simile a una donazione di sangue. Queste cellule del sistema immunitario vengono così inviate alla Argos, che le modifica con dei geni del tumore e alcune sostanze chimiche affinché imparino a concentrarsi sulle mutazioni trovate esattamente nelle cellule tumorali del paziente; successivamente, le cellule allertano le altre cellule del sistema immunitario perché attacchino il tumore.
«Se sapremo dimostrarne l’efficacia, questo trattamento cambierà il nostro modo di generare la risposta immunitaria al cancro», spiega Figlin. La prova l’efficacia della terapia si avrà se e quando i 450 pazienti di uno studio attualmente in corso riscontreranno gli stessi benefici trovati in questo studio ridotto.