A pochi giorni dalla conversione in legge del cosiddetto decreto Poletti, l’altra parola d’ordine per il futuro del mercato del lavoro è Youth Guarantee, il programma di politiche attive lanciato dalla raccomandazione del consiglio dell’Unione europea del 22 aprile 2013. Anche se i vantaggi di cui beneficerebbe il nostro Paese sembrano evidenti – fondi europei per circa 1,5 miliardi di euro – il progetto Garanzia giovani stenta a decollare. Dal primo maggio di quest’anno è attivo il Piano nazionale ma, senza la risposta di tutte le Regioni, rischia di rimanere inattuato. Se i giovani, chiamati a registrarsi e a inserire i loro curriculum nel portale di accesso, sembrano essere impazienti di fare la loro parte (oltre 50mila iscritti in pochi giorni) lo stesso non si può dire delle regioni, le quali danno l’impressione di non rendersi conto del tempo che scorre veloce. Il ministro Giuliano Poletti, presente a un incontro sul tema organizzato dall’agenzia Adecco a maggio, aveva assicurato: «Dopo le elezioni europee presenteremo un piano di comunicazione ad hoc per informare e convincere regioni e imprese a partecipare attivamente al progetto. Fondamentale sarà la collaborazione tra le regione e tutti soggetti che agiscono su questo versante».
Com’è noto – o dovrebbe esserlo – il piano della Garanzia giovani ha come obiettivo quello di garantire ai giovani un’offerta qualitativamente valida di lavoro o di formazione entro quattro mesi dall’inizio della disoccupazione o dall’uscita dal sistema di istruzione formale e si basa su alcuni principi fondamentali che le Regioni sono chiamate a declinare: la semplificazione e la standardizzazione dei costi, l’orientamento al risultato, l’erogazione di servizi personalizzati in funzione delle caratteristiche del singolo utente e, non ultimo, il pricipio di “sussidiarietà”, ossia la collaborazione di più soggetti, sia essi pubblici (centri per l’impiego, istituzioni scolastiche ed uffici di placement) o privati (agenzie per il lavoro e imprese). Il presupposto per l’implementazione di questo modello è senza dubbio la presenza, in ciascun territorio regionale, di un sistema per la gestione delle politiche attive organizzato ed efficiente con procedure chiare e funzionanti e che possa contare su una rete di soggetti all’altezza di svolgere il ruolo a cui sono chiamati. Ma l’Italia è piuttosto indietro rispetto ad altri Paesi europei e da anni si parla della necessità di una totale riorganizzazione dei servizi al lavoro.
Un esempio virtuoso che si avvale degli stessi principi ispiratori della Garanzia giovani però c’è, in Lombardia. Come spiega Valentina Aprea, assessore all’Istruzione, formazione e lavoro del Pirellone, «la nostra regione ha anticipato le esigenze della Garanzia giovani con l’implementazione della “dote unica lavoro”, il sistema delle politiche attive lombarde».
Di che cosa si tratta esattamente? La “dote unica lavoro”, lo strumento di promozione del lavoro che regione Lombardia mette a disposizione dei cittadini, prevede che la persona in possesso dei giusti requisiti per l’accesso alla “dote” – in questo caso non solo giovani, ma anche disoccupati di qualsiasi età – si possa rivolgere a un operatore accreditato al lavoro (pubbico o privato) il quale si impegna in un processo di collocamento al lavoro. Sulla base di alcune specifiche della persona come, ad esempio, l’età o la distanza del soggetto dal mercato del lavoro, viene definita in automatico dal sistema informativo l’appartenenza a una delle quattro fasce di intensità d’aiuto previste. Gli operatori che erogano i servizi connessi alla dote possono poi presentare domanda di liquidazione dei costi associati ai servizi solo a percorso conlcuso, una volta raggiunto il risultato occupazionale. Allo stesso modo alle imprese che effettuano le assunzioni a seguito del servizio di inserimento lavorativo spettano determinate incentivazioni economiche.
In altre parole i soldi pubblici non vengono più spesi per finanziare attività come, ad esempio, i corsi di formazione, ma sono messi a disposizione di soggetti che hanno l’interesse economico ad attrezzarsi adeguatamente per raggiungere un obiettivo. La pensa così Federico Vione, amministrazione delegato di Adecco: «Fin da subito la regione Lombardia ha compreso l’importanza di fare sistema tra gli interlocutori che possono intervenire sulle politiche attive coinvolgendo in maniera innovativa tutti gli operatori sia pubblici che privati». L’idea è dunque quella di utilizzare soldi pubblici per creare una logica virtuosa nella quale la governance resti pubblica – la Regione controlla che vengano rispettate le regole –ma si crei un sistema di sana competitività per il quale chi è più bravo veda riconosciuto il proprio sforzo. «Il problema è a livello nazionale», spiega Vione, «qui in Lombardia, dove abbiamo un certo tipo di dialogo e soprattutto continuità di iniziative, ci siamo strutturati investendo e assumendo personale, aprendo e accreditando uffici per riuscire così a costruire i servizi in maniera strutturale. Se le altre regioni non ci danno fiducia in termine di continuità e visione è chiaro che noi come privati non investeremo e non creeremo quell’infrastruttura necessaria per dare un servizio che potremmo facilmente erogare e del quale potrebbero beneficiarne tutti».
Ciò che pare evidente quindi, anche nell’ottica della Garanzia giovani, è il bisogno di direttive omogenee per supportare un progetto che possa risultare vincente su tutto il territorio. I monitoraggi della Region Lombardia dimostrano come siano proprio gli operatori privati a giocare un ruolo importante per la crescita dell’occupazione riuscendo a collocare al lavoro. «La solo Adecco negli ultimi 5 mesi», dice l’amministratore delegato, «ha ricollocato circa 600 delle 3.470 persone prese in carico nello stesso periodo».
Visti gli ottimi risultati maturati dalla collaborazione tra enti pubblici e operatori privati autorizzati, la Regione Lombardia conferma di voler utilizzare le stesse procedure e la stessa strategia utilizzata per la dote unica lavoro anche per il piano Garanzia giovani. Dice Valentina Aprea: «In Lombardia i giovani tra i 25 e i 29 anni sono quasi un milione mezzo e i soli Neet, coloro che né studiano né lavorano, sono 260mila. Per la nostra regione sono previsti 178 milioni di stanziamenti ma prevediamo di utilizzarne già 89 entro la fine del 2014».
Molte iniziative private, se messe a sistema, potrebbero aiutare a ridurre il gap tra domanda e offerta di lavoro. Come quella di Adecco, che ha presentato il piano straordinario per la crescita dell’occupabilità a supporto delle ambizioni di giovani. L’obiettivo dichiarato sono 100mila nuove opportunità di lavoro in due anni in quattro fasi. Il primo passo è avvicinare la scuola al lavoro, due mondi ancora troppo distanti, proponendo “un’ora di lavoro” alle scuole che vorranno collaborare. Dice Vione: «Lo faremo in maniera innovativa con video testimonianze delle aziende con le quali siamo in contatto, attraverso un dialogo continuo, anche sui social network». Il secondo passo è invece la riproposizione del “progetto TecnicaMente”, già implementato a Firenze e lanciato anche in Abruzzo, in cui chiedere alle aziende di scegliere alcuni problemi che i ragazzi dovranno dimostrare di saper risolvere, entrando così in contatto col mondo del lavoro e mettendosi in mostra agli occhi dei selezionatori, come in un assessment reale. Infine, dopo i feedback delle aziende, il piano prevede anche la costruzione della skill licence, un vero e proprio patentito per cosiddette le soft skills – le competenze trasversali – e un investimento di 10 milioni nella formazione mirata dei giovani su richiesta delle aziende stesse. «Esistono ancora oggi aziende e ragazzi ambiziosi. Noi vogliamo vedere soddisfatte le loro aspettative», conclude Vione. La Garanzia giovani può e deve essere un incentivo a fare ancora di più per combattere la disoccupazione, e pubblico e privato insieme possono farcela. Non tutti, però, sembrano averlo capito.