Viva la FifaL’Italia non morde

L’Italia non morde

Potrebbe andare peggio: potrebbe piovere. E a Milano, da dove scriviamo della seconda uscita consecutiva dell’Italia ai gironi ai Mondiali, subito dopo il fischio finale di Italia-Uruguay la pioggia ha cominciato a venire giù a secchiate. Già, l’Italia bissa il fallimento di Sudafrica 2010 e torna a casa al primo turno. Illusi dalla ricostruzione prandelliana di Euro 2012, rinfrancati dalla vittoria sull’Inghilterra a Manaus, riportati giù per terra dal Costarica e presi a morsi dall’Uruguay

Breve disclaimer: nessun complotto arbitrale contro di noi

Ecco, il morso. Facciamo così: sfoghiamo subito la rabbia per un arbitraggio non particolarmente favorevole e poi parliamo della gara. L’espulsione di Claudio Marchisio dopo 57 minuti non c’era; e fa ridere amaramente che il centrocampista sia stato mandato fuori da un arbitro messicano, così come successo a Zola nel 1994 da Brizio Carter. Così come fa davvero riflettere che uno come Suárez possa andare in campo e mordere un avversario senza beccarsi nemmeno un’occhiataccia dalla terna. Ma basta così: nessuna teoria complottista regge il discorso.

Tenere palla senza tirare

E allora diciamolo tutti insieme: ce la siamo cercata, questa disfatta. A cominciare da Cesare Prandelli e dal suo progetto tattico, naufragato in tre gare umidicce e collose. In senso climatico, ma anche perché fin dal ritiro di Mangaratiba il diktat è stato uno e uno solo: teniamo la palla incollata ai piedi. Mentre dalle parti di Barcellona prima e degli stadi che hanno ospitato la Spagna poi la circolazione di palla arrivava alla naturale conclusione di un ciclo, il ct decideva che era il caso di puntare sul possesso del pallone. Un’idea che non nasconde solo una mera imitazione del (fu, per ora) tiki taka. Tenere palla tra i piedi significava anche ovviare al tremendo gap che isola il nostro calcio da quello vincente: la mancanza di fiato, di corsa. Tanto per capirci: guardate il gol  del Belgio contro la Russia. Mentre Hazard lavora ai fianchi i russi, a quattro minuti dalla fine, il centrale di difesa Kompany sale fino all’area avversaria attraversando tutto il campo. Parliamo di gente abituata a certi ritmi nelle proprie squadre di club, che sono inglesi e non italiane. E Prandelli lo sapeva, lo aveva chiarito fin dai tempi dell’amichevole di marzo a Madrid persa contro la Spagna: non corriamo.

E allora, poniamo che il ct avesse stabilito a priori ciò: tenere palla per non correre tanto. Non ci deve esentare dal tirare in porta. Non abbiamo la mentalità per giocare come fossimo alla Playstation, tentando di entrare in porta con tutta la palla. Ma per Prandelli si è dovuti andare avanti così, contro l’Inghilterra, salvo poi cambiare idea e optare, contro il Costarica, per un atteggiamento più da picchiatori che da gestori del pallone. Al ct sono bastate un paio di critiche a Verratti – in difficoltà a giocare con Pirlo piuttosto che con un Thiago Motta che fa il lavoro sporco alle spalle – per cambiare. E tornare all’antico. Prandelli è caduto nello stesso errore commesso due anni fa in Polonia-Ucraina, quando il mister decise che con la Spagna bisognava tirare la coperta ben su fino al mento, piuttosto che giocarsela. E così, entrammo in campo a Kiev già sconfitti e ne beccammo 4 dalla Spagna.

Prandelli, il ct preferito dai direttori dei giornali

Contro l’Uruguay il fatale errore è stato ripetuto. Ma con maggiore confusione tattica, dettata da un ct che – ormai è chiaro – fa la fortuna dei direttori di giornali. Che invocano Immobile e il 3-5-2 e Prandelli pronto ad accontentarli. Certo, il blocco Juve in difesa. E due punte che mai hanno diviso campo, fatica, dialogo. Darmian e De Sciglio sulle fasce, perché con uno schema simile mica puoi attaccare. In fondo ti serve un pareggio. E tenere palla. Senza tirare, non ce n’è bisogno. Così ancora una volta siamo i migliori a tenere palla e ad azzeccare passaggi: 92% contro l’Inghilterra, 85% contro Costarica, 89% contro l’Uruguay. L’avversario di Natal fa come i gatti: sta lì, attende, quando può colpisce e fa male. Buffon dopo un paio di miracoli su Twitter riceve l’investitura di santo, mentre la Celeste cerca la porta perché loro sì che devono vincere, per passare.

Mica dovevamo vincere, no?

A noi basta un punto, misero, che ci farebbe andare agli ottavi senza infamia né gloria (soprattutto la seconda, diciamo). Ma non c’è collegamento tra chi lavora i palloni e l’attacco: Balotelli come al solito gioca contro tutti ma soprattutto contro se stesso, mentre l’invocato Immobile crea spazi per nessuno che gli viene incontro. Avrebbe senso Cerci, nella ripresa. Ma dobbiamo pareggiare, quindi entra Parolo, che per le statistiche – così di moda – è quello che in Serie A fa i tackle migliori di tutti. Poi entra pure Cassano: ma perché? Perché non insistere su un fromboliere in grado di attaccare gli spazi di Immobile? Invece va fuori lui, perché con Prandelli vale la teoria conservativa, come gli insegnava nella Juve il maestro Trapattoni, uno che quando vinceva 1-0 toglieva Platini. Sarebbe bastato sapere che Godin sulle palle alte fa malissimo. Sarebbe bastato guardare il tracollo del Barcellona semi-operaio di Martino, né carne né pesce come questa Italia che vola come una farfalla e muore come un’ape che ha punto senza far male a nessuno. Se poi volete un’altra statistica, ne basta una, finale, solo il 38% dei nostri tiri è risultata efficace. Per il resto, è azzurro tenebra. Come il cielo a Milano, ora.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter