Un recente sondaggio condotto dall’Istituto per la Competitività, I-Com, sulla qualità dei servizi sanitari in Italia e nel resto d’Europa, rivela che la fiducia degli italiani verso il Sistema sanitario nazionale e regionale non arriva alla sufficienza, né al Nord né al Sud del Paese. Nonostante questo, sono ancora pochi per ora, e soprattutto i più giovani, ad affermare che preferirebbero farsi curare in strutture estere. La direzione verso cui ci stiamo dirigendo però è quella di un Sistema Sanitario comune europeo, con il libero scambio di merci, persone, capitali e servizi tra gli Stati membri. Percorso d’integrazione arrivato alla fase conclusiva con la Direttiva 2011/24/UE sulle Cure Transfrontaliere, che consente un libero scambio dei servizi, e che di fatto pone tutti i sistemi sanitari in competizione tra di loro. In quest’ottica, infatti, il cittadino diventa un veicolo di risorse, perché è lui a decidere dove farsi curare e chi pagare. Senza considerare che la Corte Europea di Giustizia ha stabilito, con alcune pronunce, il diritto dei pazienti a ricevere assistenza sanitaria in un altro Paese dello Spazio Economico Europeo, con relativo rimborso delle spese da parte del proprio Paese. L’italia quindi se vorrà competere con gli altri Stati in termini di assistenza sanitaria, qualità del servizio di assistenza farmaceutica, e accesso alle cure, dovrà riuscire ad attrarre pazienti e fondi, sia in Italia come oltre confine.
Il welfare comune europeo non ci conviene
Per il nostro Paese un welfare comune europeo non porterebbe grandi vantaggi
In quest’ottica appare subito chiaro come al momento per il nostro Paese un welfare comune europeo non porterebbe grandi vantaggi. «Oggi partiamo da sistemi sanitari nazionali che sono abbastanza indipendenti l’uno dall’altro, e la prospettiva di un welfare comunitario è ancora molto lontana» spiega a Linkiesta Stefano da Empoli, presidente di I-Com. «Qualche passo è stato fatto, come la direttiva delle cure transfrontaliere, anche se poi nel recepimento negli Stati membri, a partire dall’Italia, la carica innovativa della direttiva è stata un pochino smorzata. È evidente che la qualità premia i Servizi Sanitari e in questo senso la realtà italiana è preoccupante, soprattutto in alcune regioni del Sud, Centro-Sud. Perché i cittadini che oggi migrano verso le altre regioni domani potranno anche andare all’estero. Se c’è un flusso in uscita ma non in entrata, l’Italia è destinata a perdere risorse. Anche perché è il Servizio sanitario che poi si deve accollare i costi della circolazione dei pazienti. Oggi abbiamo giocato abbastanza in difesa nel recepimento di questa direttiva ma non è escluso che in futuro le cose cambieranno, anche in virtù delle vicende giudiziarie legate ai ricorsi portati avanti dai cittadini per ottenere il rimborso delle spese, e ad altri provvedimenti futuri. L’Italia dovrà sfruttare questi anni per cercare di essere competitiva rispetto gli altri Servizi Sanitari».
Se c’è un flusso in uscita ma non in entrata, l’Italia è destinata a perdere risorse
Perché la creazione di un welfare condiviso diventi un’opportunità anche per l’Italia, è necessario, prima di tutto, tornare a essere competitivi. «Per esempio attraverso una politica sanitaria che superi l’eccessiva frammentazione che c’è oggi e che assicuri davvero dei livelli essenziali comuni e uguali a tutti i cittadini da Campobasso a Bolzano» aggiunge Da Empoli. «La Costituzione lo prevede, ma sappiamo bene che i servizi sono diversi tra una regione e l’altra, e finché la sanità sarà a venti velocità, il sistema italiano rischia di essere poco competitivo». Secondo Da Empoli, quindi, è necessario, non tanto centralizzare la gestione del Servizio sanitario, che può anche restare regionale, ma il ruolo che in questo contesto assume lo Stato, che deve fare da regista e garantire un livello minimo di servizi a tutti i cittadini. Mentre le Regioni dovrebbero essere valutate anche in base al rispetto dei servizi erogati nei confronti dei cittadini. «Il commissionamento che c’è stato di alcune Regioni è dovuto unicamente a motivi finanziari, non alla scarsa qualità dei servizi che sono stati erogati: oggi siamo fuori dalla Costituzione per alcune regioni e per alcune fasce di cittadini. Nel lungo termine poi un altro snodo è quello del finanziamento, che non riguarda solo l’Italia ma tutti i paesi dell’Europa occidentale e anche gli Stati Uniti».
Usa ed Europa, nella sanità mai così vicini
I sistemi sanitari degli Stati europei e degli Usa sembrano, oggi, avvicinarsi più che mai
In questo contesto infatti, i sistemi sanitari degli Stati europei e degli Usa sembrano, oggi, avvicinarsi più che mai. Al di là delle differenti radici strutturali dovute al fatto che il primo è di tipo pubblico (ha una maggior copertura ma elevati finanziamenti basati su imposte e contributi in continua crescita), mentre il secondo privato (basato prevalentemente sulle assicurazioni, ha intaccato meno le risorse pubbliche a discapito degli obiettivi equitativi e redistributivi) questi due sistemi sembrano oggi mostrare «qualche simbiosi con convergenze dell’uno sull’altro» come riporta la sintesi del libro “Crescere in salute. L’accesso alle cure e la competitività dell’industria della salute in Europa” realizzato da I-Com. «Guardando le dinamiche di spesa sanitaria in Europa, e comparandole con quelle degli Stati Uniti, ci si rende conto di come tutti i Paesi, con sistemi pubblici o privati, dovranno sempre di più affrontare ristrutturazioni profonde nei meccanismi di finanziamento del loro welfare».
Una convergenza quindi derivata prevalentemente da problemi comuni “negativi”. In entrambi i casi infatti i sistemi non sono più sostenibili, a causa della continua crescita della spesa sanitaria, e né la copertura assicurativa diffusa negli Stati Uniti né il pay-as-you-go pubblico cui si basano gli Stati europei, da soli saranno sufficienti. «C’è una convergenza tra gli Usa e gli Stati europei, che riflette le difficoltà di finanziamento presenti da entrambe le sponde dell’Atlantico. Negli Usa le assicurazioni private sono sempre più costose perché hanno una spesa pro-capite molto più elevata rispetto quella europea, quindi i cittadini fanno davvero fatica ad assicurarsi. Mentre in Europa i bilanci pubblici fanno sempre più fatica a coprire le spese sanitarie».
La pressione della spesa sanitaria, in continua crescita, ha portato in Europa, a un incremento della spesa a diretto carico del cittadino (e una concomitante limitazione nell’offerta delle prestazioni sanitarie), mentre negli Usa a un aumento dell’investimento pubblico. Tanto che oggi le risorse pubbliche che gli Stati Uniti destinano alla sanità hanno superato, in percentuale del Pil, quelle impiegate dall’Europa, e vanno a sommarsi alle ingenti risorse provenienti dal privato. La trasformazione in atto vede quindi «gli Stati Uniti impegnarsi a rinforzare la copertura pubblica finanziata a ripartizione come rimedio all’insostenibilità economica e sociale delle assicurazioni sanitarie private (l’obiettivo dichiarato della riforma “Obama”). Mentre l’Europa sta lentamente maturando il processo opposto, con le difficoltà dei sistemi pubblici che richiamano l’esigenza di rafforzare la copertura complementare privata, senza però sufficiente attenzione a come la si struttura» si legge nella sintesi.
Fallimento senza il sistema multipolare?
Da quanto emerge dalla ricerca, entrambi i modelli sono destinati al fallimento se non si attuerà una profonda riforma che porti a un sistema “multipilastro” in cui oltre a un finanziamento di tipo pubblico e uno a copertura assicurativa come negli Usa, ci sia un ulteriore pilastro complementare. «L’“ingrediente” non ancora adoperato o sottoutilizzato, è il finanziamento tramite i frutti di programmi ad hoc di investimento di lungo termine sui mercati» conclude da Empoli. «In questo “territorio di mezzo”, l’operazione da realizzare è dunque proprio il ri-proporzionamento dei diversi criteri di finanziamento, con il rafforzamento del canale di finanziamento ad accumulazione reale, vagliando a fondo le sinergie e le complementarietà con i fondi pensione. Sarà necessario spostarci verso nuovi modelli di finanziamento: è una sfida di lungo periodo, che però deve essere già affrontata oggi. Per costituire questi fondi e accumularli, ci vuole un lasso di tempo molto lungo. Non immaginiamo che ci sia un ruolo unico di questi fondi ma pensiamo che possa essere un contributo utile e complementare rispetto agli altri».
Un altro dato emerso dal sondaggio è come gli italiani siano assolutamente poco propensi ad assicurarsi privatamente. Fenomeno che combacia con il fatto che in Italia la spesa privata è in gran parte – al 90%, ed è il dato più alto fra tutti i Paesi europei – finanziata out of spot, con i soldi diretti dei cittadini. E testimonianza anche che il sistema assicurativo nel nostro Paese è ancora poco sviluppato, coprendo appena il 10% della spesa privata. In Europa c’è stata una lieve discesa della copertura pubblica – passando dal 90% di dieci anni fa all’80% attuale – che resta però ancora altamente maggioritaria. La tendenza insomma è questa ma la strada ancora lunga.