Appena Cristiano Godano comincia a parlare, in testa parte in sottofondo Nuotando nell’aria. È inevitabile. Ma non siamo qui per discutere del cantante e chitarrista dei Marlene Kuntz, siamo qui per parlare di lavoro e musica con il prof Godano, al suo quinto anno da docente in Teoria e tecnica della canzone al master in Comunicazione musicale per la discografia e i media dell’Università Cattolica di Milano: il primo corso universitario dedicato all’industria della musica nato 14 anni fa, con una percentuale di occupati tra il 60 e il 90% a sei mesi dalla fine delle lezioni. Chi immaginava Godano solo con la chitarra elettrica a urlare “Sonica-so-so-sonica” si dovrà ricredere. Dietro la cattedra, scopriamo un prof sui generis, ma rigoroso, intento a spiegare ai futuri discografici «i dettagli della produzione creativa dell’artista attraverso il confronto tra canzoni e poesia, perché è con gli artisti che avranno a che fare». Il suo Pantheon è fatto di nomi come Montale, Ungaretti e Valery. Ma non di sola poesia vive Godano. E così ci svela che «è un periodo in cui leggo molti saggi sui cambiamenti causati dalla rivoluzione digitale». Anche nella musica.
Allora, come sei passato dal palco alla cattedra?
È stato abbastanza consequenziale. La prima opportunità di chiacchierare intorno ai testi delle canzoni l’ho avuta nell’ambito del festival Arezzo Wave, quando venne creata l’università del rock. C’erano diversi docenti, e ciascuno nel proprio ambito faceva lezione, dai musicisti ai fonici. Da lì nacquero diverse occasioni di incontro, da workshop a laboratori. Finché mi chiamò Giovanni Sibilla, responsabile del corso della Cattolica, che è cuneese come me. E da lì è partita questa nuova esperienza.
In che cosa consiste il corso in Teoria e tecnica della canzone?
È un confronto tra canzoni e poesie in cui cerco di far entrare i ragazzi nelle dinamiche della produzione creativa. Sono sempre stato affascinato dal processo creativo nel suo farsi e nel suo prepararsi. In alcuni casi durante il corso ho anche suonato con la chitarra acustica i miei pezzi. Il mio intento è far entrare i ragazzi in quello che interessa realmente all’artista. Far capire loro la ricerca dei dettagli, come quando si sceglie una parola anziché un’altra per via del suono.
Quali sono i testi del corso?
Non ci sono veri e propri testi. Ma ci sono letture che uso di solito, Montale, Ungaretti, Paul Valery, per fare i confronti con i testi delle canzoni. Quello che faccio è raccomandare ai ragazzi di fare delle capatine in questi mondi qui per scovare le sensazioni della poesia. Sono considerazioni di un’artista su un’arte che un po’ conosce. Non è una visione accademia, ma la visione di un’artista.
I ragazzi che escono dal master però saranno soprattutto futuri discografici. E non sempre i discografici comprendono le ragioni dell’artista.
Sì, in effetti più volte ho cercato di capire se volevano davvero me, perché io faccio l’artista a tutto tondo e perché i ragazzi vogliono fare i discografici. Ma è importante per loro capire il punto di vista dell’artista, perché poi è con questa tipologia di persone che avranno a che fare nel corso della loro carriera.
Che possibilità ci sono oggi per un ragazzo che vuole lavorare nel mondo della musica?
Durante le lezioni racconto diversi aneddoti della mia carriera. Sono molto realista, non sono uno che indora la pillola. Sono tempi negativi per la musica. Internet ha reso tutto gratuito, e così non può funzionare. Anche il mondo degli addetti ai lavori si deve attrezzare. E l’Italia poi non è un posto idilliaco per la cultura rock. Nel nostro Paese ci sono diverse figure del mondo della musica che non hanno ancora una conformazione professionale. Pensiamo ad esempio al manager di un gruppo: in Inghilterra è una figura ben definita e si studia per diventarlo, in Italia si pensa che si possa imparare tutto sul campo e spesso ci si improvvisa.
Vedi una soluzione in questa situazione negativa?
È tutto un po’ in divenire, qualcosa deve accadere. Bisogna dare ordine in un mondo in cui si pensa che tutto debba essere gratuito tramite la Rete e le tecnologie, compresa la musica. Pensiamo anche solo a quello che sta accadendo a Milano tra i tassisti e Uber. Se uno ci riflette, questa è la conseguenza della modernità. Tramite una app, la gente può prendere la sua macchina e bypassare il servizio taxi. C’è tutta una serie di lavori messa a serio rischio dalla tecnologia. È difficile rispondere alla domanda “qual è la soluzione?”. La sto cercando anch’io. L’umanità ancora non ci pensa più tanto, ma è un tema centrale. Sto anche leggendo diverse cose che parlano di questo.
Non di sola poesia vive Cristiano Godano?
Certo che no. Anzi, in questo periodo sto leggendo molti saggi. Al momento sono su “La dignità ai tempi di Internet” di Jaron Lanier, che è uno dei primi pensatori della Rete, colui che ha coniato l’espressione “realtà virtuale”.
D’altronde tu vieni da una formazione diversa da quella artistico-letteraria. Ti sei addirittura laureato in Economia e commercio all’Università di Torino. Come sei passato dai numeri alla musica?
Sono felicemente uno che si è messo a suonare perché aveva una passione insopprimibile. Il rock vive di sensualità, non di acquisizioni teorico-tecniche. Io non ho fatto alcuna scuola specifica. Mentre facevo l’università, continuavo a suonare perché la condizione di studente me lo permetteva. Così sono nati i Marlene. Dopo la laurea, non volevo riversarmi sul lavoro solito che compete a un laureato. Così mi sono dato un po’ di tempo per riuscire a fare qualcosa di solido con i Marlene, e un anno e mezzo dopo la laurea sono arrivate le prime soddisfazioni.
Ma alla fine le conoscenze economiche ti sono servite?
Per niente (ride). Non sono uno talentuoso in questo campo. Riccardo Tesio (chitarrista dei Marlene Kuntz, ndr), invece, è ingegnere ed è anche molto bravo nelle cose matematiche, e quindi è lui che tiene la contabilità del gruppo.
E tu che studente eri?
Tra il mediocre e il discreto. Passavo il pomeriggio a fantasticare, scribacchiare e suonicchiare con la mia chitarra. Creavo canzoni nella mia stanza. La testa era per aria, gli esami li passavo, ma non ero molto coinvolto.
Ma come sei finito a studiare Economia e commercio?
La cosa che più si avvicinava alle mie attitudini, allora, era il Dams di Bologna. Poi intervenne uno zio che insegnava a Economia e commercio e così finii lì. Menomale, perché se fossi andato a Bologna non avrei conosciuto i Marlene Kuntz.
E ora, ascoltiamo pure Nuotando nell’aria, che quest’anno compie vent’anni