«In un momento in cui il popolo sta facendo sacrifici non c’è spazio per ritardi o esitazioni, come non ci sono tolleranze di vacche sacre quando vengono ovunque applicati tagli». Sono parole di Renzi a Ballarò? Quasi. La citazione è invece di Simos Kedikoglou, il portavoce del governo greco che esattamente un anno fa, l’11 giugno 2013, ha annunciato in diretta e staccato di fatto la spina alla Ert, omologa della Rai nel Paese più strangolato dalla crisi in Europa. Uno scenario al limite della democrazia quello greco, ben lontano dalla sforbiciata di 150 milioni che chiede il rottamatore in Italia e riassunta in quel «…mi dispiace Floris, ma tocca anche a voi».
Lo sciopero Rai che, destino vuole, cade proprio nel primo anniversario di chiusura della tv pubblica greca, mobilita oggi i dipendenti dell’azienda su tutto il territorio nazionale, con presidi di fronte alle sedi regionali contro il taglio da 150 milioni previsto dal decreto Irpef sul bilancio della «grande prostituta sessantenne».
Ancora una volta la Penisola, in un periodo di crisi economica e di ripensamento del sistema radiotelevisivo pubblico, appare l’anello di congiunzione tra l’abisso greco Ert e l’olimpo britannico Bbc.
Lo racconta Gilberto Squizzato, giornalista cresciuto nel grembo di Mamma Rai dal 1979, autore del libro «La tv che non c’è. Come e perché riformare la Rai» (ed. Minimumfax, 2010), un manuale disincantato sui mali della televisione pubblica con un incipit decisamente retorico: «Vola ancora la farfalla Rai?».
Il fronte dello sciopero Rai si è diviso, ma tutti si dicono favorevoli al taglio degli sprechi. Da dove si dovrebbe partire?
La vera causa dei mali della Rai è la progressiva omologazione alle tv commerciali e anche la rincorsa ai loro standard produttivi e l’imitazione dei format. Nel mio libro propongo una “rifondazione” del servizio pubblico che parta da una legge che ne definisca con chiarezza le finalità essenziali e irrinunciabili. È alla luce di questi parametri che andranno investite le risorse economiche disponibili, riportando ideazione e produzione dei programmi all’interno dell’azienda.
Riprendiamo le parole di Renzi a Ballarò. «La Rai ha 20 sedi regionali. Lei è sicuro che nelle sedi regionali non ci siano degli sprechi clamorosi»?
La mia proposta è quella di preservare i 20 Tg regionali che devono informare sulle realtà locali, e di accorpare in 5 macroregioni la produzione degli altri programmi, da destinare soprattutto a Rai tre, sul modello della tv federale tedesca Ard.
Quali sono questi clamorosi sprechi?
Se ci sono sprechi clamorosi a indagare deve essere la Corte dei Conti. Non servono slogan sbrigativi e liquidatori. Certo riportando all’interno l’ideazione e la produzione i costi subirebbero una riduzione significativa.
La Rai con Renzi “cambia verso”? Cosa si aspetta dal premier per la televisione pubblica oltre al taglio del bilancio e la posizione a favore della vendita di Raiway?
Mi attendo da Renzi non tagli indiscriminati con l’accetta assolutamente controproducenti ma il rispetto delle sentenze della Corte Costituzionale che affida non al Governo ma al Parlamento nella sua interezza – attraverso la Commissione di Indirizzo e Vigilanza – il compito di determinare le finalità generali dell’azienda e la scelta di una dirigenza indipendente, qualificata e pluralista (l’esempio è quello della Bbc inglese).
La “delottizzazione” è possibile? Cosa salverà la Rai dalla fine della Ert greca?
Sì, se la Governance della Rai sarà affidata a un Cda (o a un comitato di gestione) ampio e pluralista in cui non siano rappresentati i partiti ma i corpi intermedi della società (sindacati del settore mediatico, lavoratori Rai, università, istituzioni culturali prestigiose, ecc.). Un modello è quello che propongo nel mio libro. È anche importante che Direzione Editoriale e Direzione Gestionale amministrativa non vengano attribuite alla stessa persona.
Nel suo libro scrive anche che è necessario mettere preventivamente al riparo da ogni possibile interferenza politica le persone che vengono collocate ai vertici del servizio pubblico. Come?
Per esempio non bisogna far coincidere temporalmente la nomina del CdA e della dirigenza con i nuovi rapporti di forza che derivano dalle elezioni politiche. Bisogna selezionare i dirigenti mediante audizioni e concorsi pubblici, come prevede la Costituzione per gli enti pubblici.
È al “modello Bbc” che dobbiamo guardare? La tv pubblica inglese ha il 50 per cento in più di occupati rispetto alla Rai, ma il 20 per cento in meno di dirigenti…
Certo: molte nomine sono state decise dai partiti, che non hanno alcun titolo per interferire nelle vicende Rai.
Su 1900 giornalisti oltre 300 sono dirigenti. La soluzione passa per nomine pro tempore?
Il sindacato si è battuto per anni per ottenere concorsi pubblici per le nuove assunzioni. Ora è tempo di chiedere il concorso pubblico per i dirigenti…
Nessun Paese europeo ha un servizio pubblico con tre reti commerciali. Separare la parte commerciale da quella di servizio pubblico è ancora una soluzione praticabile?
Che cosa è “commerciale”? Non un tipo di prodotto, non un genere, non un format, ma il modo di realizzarlo. È ingenuo pensare di poter dividere la Rai in pezzi: è la qualità complessiva che deve risalire, in tutte le reti e in tutti i canali.
La scelta di togliere tutto il materiale da Youtube è una mossa rivolta a un pubblico nuovo e diverso. Cosa può fare la Rai nell’era del digitale e della rete?
Deve diventare un “servizio pubblico multimediale” e non solo radiotelevisivo; e perciò deve operare anche sulle nuove piattaforme digitali diventando il catalizzatore di tutto ciò che è nuovo e creativo.
Il futuro della Rai passa per la scelta tra l’essere azienda o impresa? Cosa significa?
La Rai, come la sanità, come la scuola, come la polizia, come i vigili del fuoco, come le università, deve svolgere un servizio pubblico. L’impresa deve investire nell’innovazione e produrre profitto. Un servizio pubblico deve raggiungere il pareggio di bilancio facendo investimenti sull’innovazione per il futuro.