Quando finisce un Mondiale, scatta la nostalgia. Soprattutto se la tua nazionale non ha vinto, sei già lì che pensi che per la prossima Coppa del mondo bisognerà aspettare altri quattro anni. E se si considera che l’Italia ha fallito malamente due Mondiali di fila, la tristezza ci avvolge come miele (Guccini docet). Guai però a mettere da parte Brasile 2014. Il torneo ci ha lasciato in eredità 10 cose che, a loro modo, hanno fatto la storia del pallone.
1. Finalmente un’europea ha vinto un Mondiale in America
Non era mai successo. L’Italia ci era andata vicina a Messico 70 e a Usa 94 e in entrambi casi era stata battuta dal Brasile. Ci era andata vicina la stessa Germania nell’86, battuta (guarda un po’) dall’Argentina di Maradona. La stessa Argentina che aveva battuto in casa nel ’78 l’Olanda. Insomma, l’Europa ha reso la pariglia al Brasile, unica sudamericana a vincere un Mondiale nel Vecchio Continente (Svezia 58).
2. Il calcio del Vecchio Continente non è in crisi
Il dubbio ci era venuto, se n’è scritto e parlato. Troppo noioso se non fai il tiki taka del Barcellona, troppo fisico, e poi il numero 10 non esiste più. Ma è un’analisi lontanissima dalla realtà: il calcio europeo comanda, altro che. Lo fa fuori dal campo, grazie allo strapotere dei campionati inglese e tedesco. E lo fa dentro il rettangolo verde. Se guardiamo le ultime tre edizioni dei Mondiali, su sei finaliste cinque erano del Vecchio Continente e, cosa più importante, tre nazionali campioni del mondo sono state proprio europee. Vi basta?
3. Il pallone sta diventando davvero uno sport globale
Una volta, se al sorteggio ti capitava il Costarica, cominciavi a considerarli tre punti assicurati. Oggi, se quei tre punti li vuoi, devi pedalare. Il calcio sta diventando uno sport davvero globale e in questo processo Brasile 2014 ha rappresentato una tappa importante. Non è il caso di fare proclami come quelli che hanno riguardato le africane, anni fa pronosticate come le future nazioni capaci di mettere le mani sulla Coppa. Il duopolio Europa-Sudamerica esiste e resiste, ma molte federazioni nel tempo si sono attrezzate. Prendiamo proprio il Costarica. Nel 2006 aprì il Mondiale tedesco contro la Germania: finì 4-2. In tutto, la squadra ne perse tre su tre e chiuse con 9 gol presi contro 3 subìti. Otto anni dopo, il Costarica è arrivato ai quarti di finale dopo aver battuto Uruguay e Italia, giocando un calcio semplice ma organizzato ed avendo in squadra giocatori che hanno accumulato esperienza in Europa, dal portiere Navas all’attaccante Campbell. Un discorso simile vale per l’Algeria, che agli ottavi ha fatto pedalare la Germania e che ha una squadra zeppa di giocatori impegnati nei vari campionati europei, da Goulham a Feghouli passando per Taider.
4. Mondiale noiosetto però, eh?
Diciamolo: con la morte della Spagna, con un’Argentina meno funambolica di quanto immaginabile e con un Brasile lontano anni luce dal Futbol bailado, non è stato un Mondiale eccelso dal punto di vista dello spettacolo. Forse chi crede che il calcio europeo sia in crisi perché noioso si prende una certa rivincita, ma questo è il segno dei tempi. Oggi vince chi è fisicamente d’acciaio e organizzato dal punto di vista del gioco. Vedi alla voce Germania, pensa un po’. Purtroppo per gli amanti del calcio spumeggiante, organizzazione significa prima di tutto non prenderle, semmai darle. Le partite che verranno ricordate saranno quindi pochine. Una però ce n’è e resisterà per decenni.
5. Il Brasile così come lo conoscevamo è morto
Per anni abbiamo scritto e raccontato del Maracanazo e di quella volta che alcuni brasiliani arrivarono a uccidersi per essersi visti battere in casa dall’Uruguay. Dalle macerie di quel Mondiale nacque però una generazione d’oro, che di quella sconfitta fece tesoro per costruire la propria rivalsa sportiva. A cominciare da Pelè, che quel giorno del 1950 vide il padre piangere di fronte alla radiolina e gli promise che avrebbe vinto la Coppa. Quel pomeriggio nasceva la leggenda di O Rey e della nazionale più forte di tutti i tempi, quella di Messico 70. Nasceva una nazionale fatta di classe, fantasia, organizzazione. Nasceva il Brasile. I migliori di tutti. Un’aura mai rimasta scalfita nel tempo, anche quando la Seleçao di Socrates e Zico non vinse la Coppa per due Mondiali di fila; e nemmeno quando quella operaia di Parreira ci riuscì, nel 1994, contravvenendo al mito del futbol bailado: poteva farlo, bastavano Romario e Bebeto. Al Mineirao di Belo Horizonte il Brasile è morto. Sotto i colpi, sette, inflitti dalla Germania. Senza fantasia, senza carattere, senza gioco. Il Maracanazo è alle spalle, è il tempo del Mineirazo. Ovvero, della morte e della rinascita. Il Brasile ora non fa più paura. Fuori l’orgoglio, Seleçao.
6. E il Paese ospitante non ci ha nemmeno guadagnato granché
Il Brasile ha speso circa 13 miliardi di euro per organizzare il Mondiale. Oltre a non averlo vinto (vedi punto 5), il Paese si ritrova con un’eredità pesante: quattro stadi resteranno delle vere e proprie cattedrali nel deserto. E poi ci sono i numeri, impietosi: dall’inflazione al 6% a un contributo del Mondiale sul Pil dello 0,1% (cioè nullo o quasi). E poi c’è il lavoro creato per la Coppa: 700mila persone impiegate durante un torneo ora finito. Sarà una forza lavoro magari reimpiegata per i Giochi Olimpici di Rio 2016, ma sempre a tempo determinato.
7. È stato il Mondiale dei solisti, ma ha vinto una squadra
Avevamo provato a dirlo (anzi, a predirlo), chiamando a raccolta i grandi campioni che avrebbero trovato nei Mondiali una grande vetrina. Lo è stato, in fondo. Se escludiamo Cristiano Ronaldo, martoriato dagli infortuni, molti singoli hanno brillato in Brasile. Dal padrone di casa Neymar al capocannoniere James Rodriguez, passando per il Messi della prima fase fino a Robben, Sneijder e (quando ne ha voglia) Van Persie. In un epoca in cui il calcio ha fatto i conti con la sparizione del numero 10 vecchio stile, non è cosa da poco. E poi, ci sono stati i portieri: non solo Neuer (giudicato il migliore), ma anche Navas, M’Bholi, Ochoa, Krul (eh sì), Romero. Ma a vincere, alla fine, è stato il collettivo, l’organizzazione della nazionale tedesca: è questa la grande differenza tra questo Mondiale e quello del 1986, al quale questo brasiliano tanto è somigliato. Oggi, sarebbe impossibile fare quello che fece Maradona in Messico, ovvero vincere un Mondiale da solo.
8. Non sparate su Messi, per carità
Ecco, Maradona. Lui fece tutto da solo o quasi. Messi ci ha provato, ma è inciampato sull’ultimo gradino. E giù con la crocifissione della Pulce: non sarà mai come Diego, non facciamo paragoni, non scherziamo eccetera. Aggiungere un’altra opinione sarebbe come versare un bicchiere d’acqua nel mare. Certo, Messi non è Maradona, anche se credo possa accontentarsi dei quattro Palloni d’oro e delle Champions mai vinte da Diego. Eppure, questo Mondiale lo perseguiterà. Forse la sua classe verrà addirittura sminuita. Una domanda però: voi che avreste fatto se vi foste ritrovati con la maglia numero 10 dell’Argentina, in una finale Mondiale in Brasile, contro la Germania? Ecco.
9. Ancora una volta, trionfa il buonismo alla Blatter
Intendiamoci: Messi resta un grandissimo. Ha sofferto la pressione, è un uomo. Ma non meritava il Golden Ball come miglior giocatore del Mondiale. Anche qui, Blatter ha preferito preservare la pax calcistica dando all’argentino un premio di consolazione, così come quando corse negli spogliatoi a confortare Zidane che aveva perso la Coppa del 2006 con ignominia. Blatter non si è però reso conto di aver concesso una passerella quasi umiliante al povero Lionel, al quale è stato dato un premio ambito subito dopo aver perso il Mondiale. Guardate la morte disegnata in faccia a Messi e il sorrisone di Sepp. Mamma mia.
10. Adidas è campione del mondo degli sponsor
Due finaliste, pallone ufficiale, casacche degli arbitri: tutte firmate Adidas. La stessa casa tedesca ha avuto in Brasile tra i propri uomini immagine la maggior parte dei protagonisti: da James Rodriguez a Lionel Messi, fino ai campioni del mondo Philipp Lahm e Thomas Muller. La Nike è rimasta fuori: relegata alla finalina (Olanda e Brasile sono vestite con il “baffo”), ha visto i testimonial Cristiano Ronaldo e Neymar sconfitti nella corsa al Mondiale. Eppure, per Adidas rischia di essere l’ultima grande vittoria. Secondo l’analisi di Quartz, la Nike sta erodendo alla casa tedesca grosse fette di mercato. I ricavi trimestrali si sono attestati a 7,43 miliardi di dollari e una crescita del 13 per cento. Se si guarda alla fetta di mercato relativa al calcio, l’andamento è stato ancor più spedito: Nike ha generato 2,3 miliardi di ricavi nella divisione del soccer, con una crescita del 21% sull’anno precedente. Adidas, invece, ha annunciato che quest’anno si aspetta di mettere insieme 2,7 miliardi di giro d’affari nel settore del pallone.