Egitto, cronache di una Restaurazione targata Scaf

Egitto, cronache di una Restaurazione targata Scaf

È il 3 luglio 2013 e un colpo di Stato organizzato dal Consiglio supremo delle forze armate egiziane pone fine al governo del primo presidente democraticamente eletto. Mohammed Morsi, leader del partito Libertà e giustizia — espressione dei Fratelli musulmani — viene arrestato e portato in una località segreta, dove resterà per mesi. È l’inizio della Restaurazione egiziana. I Generali che da sempre guidano il Paese, devono riprendere il potere scappato di mano con la “Primavera araba” del gennaio 2011. Ce la faranno sfruttando il malcontento della popolazione. E grazie a una protesta, quella dei giovani Tamarrod (in arabo “Rivoluzione”), nata nel novembre 2012 e scoppiata alla fine del giugno 2013.

Da allora 15mila persone sono finite in carcere e 1.400 persone sono morte

Oggi, un anno dopo, l’Egitto è di nuovo nelle mani di un governo guidato dai militari, con un nuovo “presidente-generale”, Abdel Fattah al-Sisi. Intanto, 15mila persone sono finite in carcere (esponenti dei Fratelli musulmani, perlopiù) e 1.400 persone sono morte (dati Adnkronos). Sul Paese vigono leggi anti protesta che impediscono ogni manifestazione di dissenso. I Fratelli musulmani, definiti “organizzazione terroristica”, sono al bando, come ai tempi bui di Gamal Abd al-Naser. Una nuova Costituzione, dal gennaio 2014, svincola l’esercito da ogni controllo e restituisce ai tribunali militari i processi civili.

La Restaurazione è completata. Il volto (evanescente) dell’Egitto democratico uscito dalla “Primavera egiziana” del 2011 è tramontato.

La scritta proiettata la sera del 2 luglio sul Mogamma, l’edificio governativo di Piazza Tahrir dove si radunano gli egiziani che chiedono le dimissioni di Morsi, guidati dai Tamarrod (KHALED DESOUKI/Getty Images)

Come si è arrivati fin qui? Quali mosse ha messo in atto l’esercito? Quale il ruolo del nuovo presidente al-Sisi, «l’imperscrutabile», come lo definisce l’Economist?

La protesta dei Tamarrod

Il 30 giugno 2013 milioni di persone scendono per le strade del Cairo e riempiono Piazza Tahrir. Chiedono le dimissioni del Presidente in carica Mohammed Morsi, eletto a suffragio universale il 30 giugno 2012. La manifestazione è stata organizzata dai ragazzi del movimento Tamarrod. Accusano l’esecutivo di non aver mantenuto nessuna delle promesse fatte un anno prima e di aver governato senza dialogare con le opposizioni. Sono quasi tutti giovani e laici.

Mohammed Morsi in uno scatto del 2012, durante la presidenza (Getty Images)

Più tardi, gli analisti metteranno tra le principali cause della protesta dei Tamarrod contro Mohammed Morsi la crisi economica che ha investito l’Egitto nell’ultimo anno, fatto di rincari dei beni di prima necessità, blackout di gas ed elettricità in molti quartieri del Cairo, e difficoltà ad assicurarsi rifornimenti di benzina in tutto il Paese. Non piace nemmeno la Costituzione approvata durante il governo dei Fratelli musulmani, considerata troppo islamizzante, anche per il suo riferimento esplicito alla Sharia. 

Proteste dei Tamarod il 30 giugno 2013 davanti al Palazzo Presidenziale (ED GILES/Getty IMages)

Ma sul carro dei Tamarrod sale in breve una serie di oppositori del governo Morsi, dai liberali (Mohammed El-Baradei) a esponenti del vecchio regime di Hosni Mubarack. Il Fronte di salvezza nazionale, che riunisce gran parte dell’opposizione egiziana, incita i Tamarrod a rimanere in piazza per «proteggere la rivoluzione», quella araba del gennaio 2011, che ritengono essere stata tradita dal presidente islamico Morsi. E infine anche l’esercito.

Mentre la protesta si ingrossa, il 1° luglio i militari egiziani impongono 48 ore di tempo alle forze politiche per trovare una soluzione alla crisi. Chiedono al Presidente di «dare delle risposte al popolo egiziano», realizzando le loro richieste. La sera del 2 luglio arriva l’ultimatum dell’esercito a Morsi: «Se le forze politiche non rispetteranno l’ultimatum, le forze armate presenteranno una road map», la cui applicazione sarà controllata direttamente dall’esercito.

Un comunicato del ministero dell’Interno afferma che la polizia «proteggerà» i manifestanti pacifici e non permetterà a nessuno di ricorrere alla violenza.

Manifestanti pro-Morsi, intanto, scendono per le strade del Cairo e si radunano attorno alla moschea di Rabaa al-Adawiya

Uno scatto del 2 luglio mostra uno dei numerosi supporter del Presidente Morsi scesi nelle strade del Cairo (ED GILES/Getty Images)

Su Twitter il presidente ribadisce: «Non mi lascerò dare ordini, né dall’interno né dall’estero».

Allo scadere dell’ultimatum il presidente Morsi propone un governo di coalizione nazionale. Ma la proposta non viene accolta. 
 

Il colpo di stato

Attorno alle 17.00 del 3 luglio 2013 il consigliere della sicurezza nazionale del presidente egiziano Mohamed Morsi lancia l’allarme: «Il golpe militare è iniziato». E aggiunge: «non potrà avere successo a meno di un carneficina perché il Presidente può contare sulla resistenza del popolo».

Elicotteri militari sorvolano piazza Tahrir nei primi giorni di luglio 2013, sopra le teste dei Tamarod (GIANLUIGI GUERCIA/Getty Images)

Alle 18.00 alcuni elicotteri militari sorvolano piazza Tahrir, dove la folla continua la protesta contro Morsi. Poco dopo alcuni testimoni riferiscono che centinaia di soldati egiziani e blindati starebbero sfilando nella strada principale davanti al palazzo presidenziale. Lo scopo, dicono fonti della sicurezza, è di evitare che oppositori di Morsi (davanti al palazzo) e sostenitori (davanti alla moschea di Rabaa el Adawiya, pochi chilometri più in là) si incontrino.

Alle 17:00 del 3 luglio il team di Morsi lancia l’allarme: «Il golpe militare è iniziato»

Intanto, il Comando generale dell’esercito si consulta con alcune «personalità religiose, nazionali, politiche e giovanili». Il generale Abdal Fattah al-Sisi guida la situazione. Lui che è stato nominato ministro della Difesa (cioé capo dell’esercito) dallo stesso Morsi nell’agosto 2012, dopo la destituzione di Mohamed Hussein Tantawi.

Attorno alle 19, testimoni riferiscono che l’esercito egiziano sta alzando barriere protettive e stendendo filo spinato intorno alla caserma della Guardia repubblicana dove si troverebbe il presidente Mohamed Morsi. L’esercito dichiara: «è una manovra per impedire l’incontro di sostenitori e oppositori». Nello stesso momento, Gehad el Haddad, portavoce dei Fratelli musulmani e consigliere del presidente egiziano dice: «Non sappiamo dove sia», a proposito di Morsi rispondendo alla domanda di una ha giornalista della Cnn. «Sono stati tagliati tutti i contatti con lui», ha aggiunto.

Il filo spinato tirato dall’esercito nelle strade attorno al Palazzo della Guardia Repubblicana, dove si pensa sia detenuto il Presidente deposto Morsi (MAHMUD HAMS/Getty Images)

Il Dipartimento di Stato Usa interviene affermando: «Il presidente Morsi deve fare di più per rispondere alle preoccupazioni del popolo egiziano». Il Dipartimento ha inoltre aggiunto che gli Usa seguono con preoccupazione la situazione in Egitto, e che la migliore soluzione sarebbe politica e pacifica. Infine: «Non possiamo confermare se effettivamente in Egitto sia in corso un colpo di Stato». Gli Usa non parleranno mai di «colpo di Stato»

Poco prima delle nove di sera, i militari egiziani comunicano ufficialmente a Mohamed Morsi che dalle 19.00 non è più presidente e capo dello Stato egiziano. La Corte di appello conferma la condanna a un anno di carcere contro il premier Hisham Qandil (sotto processo da aprile). 

Gli Usa non parleranno mai di «colpo di Stato»

Alle 21.10 il colpo di stato è attuato. Il capo delle Forze Armate egiziane, il generale Abdel Fatah al Sisi, ministro della Difesa, appare alla tv di Stato. Ricorda che per mesi le forze armate hanno esortato Mohamed Morsi ad un dialogo di riconciliazione nazionale, poi afferma che la Costituzione è sospesa per un breve periodo di transizione e il presidente della Corte Costituzionale, Adli Mansour, assumerà l’incarico di capo dello Stato ad interim e ci sarà un governo di tecnici. La Corte definirà una nuova legge elettorale per elezioni solo legislative. Ha poi aggiunto che le forze armate sono pronte a fermare qualsiasi tentativo di contrastare con la forza quanto deciso dalle forze armate, dall’opposizione e dai leader religiosi.

Il ministro della Difesa e capo delle forze armate egiziane Abdel Fattah al-Sisi mentre annuncia la road map alla tv di Stato

Al termine del discorso del capo delle forze armate al-Sisi, prendono la parola l’imam di Al Azhar Ahmed el Tayyeb e il capo della chiesa copta Tawadros. Il primo sostiene la convocazione di elezioni presidenziali anticipate, il secondo assicura che tutti «saranno protetti». «È il rilancio della rivoluzione, del 25 gennaio 2011 che portò alla deposizione di Hosni Mubarak, non un golpe», commenta il leader dell’opposizione El Baradei.

Metà degli egiziani nella notte tra il 3 e il 4 luglio fa festa. 

Oppositori di Morsi festeggiano dopo la sua destituzione la sera del 3 luglio. Nelle strade del Cairo i carri armati dell’esercito (KHALED DESOUKI/Getty IMages)

Il presidente Morsi viene arrestato “preventivamente” dalla Guardia presidenziale. Solo in seguito verrà resa nota l’accusa nei suoi confronti: evasione e contatti con il movimento palestinese Hamas. 

Mandati di cattura raggiungono i principali leader del movimento islamista. Tra i primi ci sono Saad el-Katatni, leader del Partito per la Libertà e la Giustizia, e il numero due dei Fratelli musulmani, Mohamed Rashad al-Bayoumi. I mandati di cattura per gli altri collaboratori di Mohammad Morsi sarebbero almeno trecento. La motivazione degli arresti preliminari è «reato di istigazione alla violenza e disturbo della sicurezza generale dello Stato e della pace». Vengono chiuse le emittenti controllate dai Fratelli musulmani.

I militari arrestano ancheMohammed Badie, guida suprema dei Fratelli musulmani. 

Il 4 luglio il presidente della Corte costituzionale egiziana Adly Mansour giura come presidente ad interim dopo essere stato designato dai militari a succedere a Mohamed Morsi. L’esecutivo è guidato dal premier ad interim Hesham Beblawi.

Il leader dell’opposizione Mohammed ElBaradei, premier ad interim indicato dalle Forze armate, in un’intervista al New York Times: «La chiusura di alcune tv vicine a forze islamiche estremiste e gli ordini di arresto preventivo decisi dalla magistratura nei confronti dell’ex presidente Morsi e di molti membri della Fratellanza mussulmana sono stati atti necessari per garantire la sicurezza in Egitto ed evitare ulteriori spargimenti di sangue».
 

I presidi islamisti

La coalizione islamica egiziana guidata dai Fratelli musulmani organizza per venerdì 5 luglio «proteste pacifiche» in tutto il Paese contro il «golpe militare» che ha rovesciato il presidente Morsi.

Supporter di Morsi nelle strade del Cairo il 5 luglio 2013 (SPENCER PLATT/Getty Images)

Quel giorno, ci sono scontri tra sostenitori di Morsi e militari davanti alla sede della Guardia repubblicana, dove si pensa sia detenuto il presidente deposto. Più tardi, migliaia di pro Morsi si raccolgono davanti al palazzo della tv di Stato, al Cairo. Ci sono scontri con le forze dell’ordine anche all’Università del Cairo. Gli islamisti riempiono la piazza di Rabaa al Adawiya, la moschea nel quartiere di Nasr City dove i pro Morsi si sono radunati anche nei giorni precedenti. 

A fine giornata il bilancio provvisorio degli scontri in tutto l’Egitto tra oppositori e sostenitori dell’ex presidente Mohamed Morsi è di almeno 17 morti e 210 feriti, secondo il ministero della Salute. Ma la battaglia per le strade delle città egiziane continua tutta notte. 

L’Alleanza Nazionale in difesa della legittimità elettorale, composta dai Fratelli e da altri gruppi, chiede il reinserimento al potere di Morsi. 

Lo stesso giorno, il 5 luglio, viene annunciata la nascita di un nuovo gruppo islamista armato per rispondere alla destituzione del presidente Mohamed Morsi. Si chiamerà Ansar al-Sharia e sta già armando e addestrando i propri militanti. Contro la democrazia, a favore della sharia, verrà in aiuto dei musulmani per difendere la religione. Ansa al-Sharia sarà responsabile di molti degli attentati che colpiranno il Paese nei mesi successivi, tra 2013 e 2014. 

Adly Mansour presidente egiziano ad interim scioglie la camera alta del Parlamento e nomina il nuovo capo dell’intelligence. È Mohamed Ahmed Farid. Sostituisce Mohamed Raafat Shehata, uomo di Morsi.

Il Presidente ad interim Adly Mansour in uno scatto del 15 luglio 2013 al Palazzo presidenziale (KHALED DESOUKI/Getty Images)

Nei giorni successivi, i sostenitori di Mohammed Morsi, la metà del Paese che lo aveva votato un anno prima (51 per cento dei voti guadagnati contro lo sfidante Ahmed Shafiq al 48%), continuano a radunarsi nelle città di tutto l’Egitto. Alzano presidi, manifestano nelle strade.

All’alba di lunedì 9 luglio l’esercito spara sui manifestanti pro Morsi che si erano radunati davanti alla sede della Guardia repubblicana. I morti, secondo la tv di Stato egiziana sono 42 e circa 500 i feriti. Un militare viene ucciso e sono 40 i feriti tra le forze dell’ordine. Secondo la nota ci sarebbe stato un tentativo di assalto alla sede della Guardia repubblicana da parte di terroristi.

Intanto, migliaia di sostenitori della Fratellanza musulmana affluiscono in piazza Rabaa al Adawiya. Chiedono la liberazione dell’ex presidente Mohammed Morsi e il ripristino della legittimità costituzionale. Presso la moschea di al Nahda, a Nasr City, già roccaforte degli islamisti, viene creato fin dalla mattina del 9 luglio un ospedale provvisorio dove finiranno gli islamisti feriti. 

Una mano con quattro dita alzate e il pollice basso: è il simbolo delle proteste del fronte pro Morsi. Rabaa ad Adawiya, il nome della moschea simbolo dei sit in islamisti, sgomberata lo scorso 14 agosto dai militari, in arabo ha lo stesso suono del numero 4, rabaa. Da qui il simbolo delle proteste con le quattro dita alzate.

Intanto, il presidente ad interim Mansour annuncia la road map per i prossimi mesi: modifiche alla Costituzione egiziana, voluta dai Fratelli musulmani e ora sospesa, poi un referedum e, quindi, nuove elezioni, prima parlamentari e poi presidenziali, entro il 2014. Nella notte tra l’8 e il 9 luglio viene varata una Costituzione provvisoria che lascia poteri molto ampi al Presidente e delinea le scadenze della transizione. Resterà in vigore fino a nuove elezioni presidenziali.

Mohammed El Baradei, leader del fronte laicista egiziano e rappresentante della campagna Tamarrod anti-Morsi, diventa vicepresidente della Repubblica.

Il portavoce delle forze armate, Ahmed Ali, in conferenza stampa chiede che «vengano smobilitati i sit-in», promettendo poi che i «manifestanti non saranno arrestati». Ma i presidi, raggiunti ogni venerdì da migliaia di persone, rimangono. Intanto, mentre le forze dell’ordine arrestano uno dopo l’altro i principali esponenti dell’organizzazione dei Fratelli musulmani, scontri tra islamisti ed esercito scoppiano ripetutamente durante tutta l’estate provocando ogni volta decine di vittime e feriti. Vengono coinvolte anche città come Alessandria, al-Fayyoum, Assiut, il Delta del Nilo e la penisola del Sinai. 

È il 10 luglio e dai Fratelli musulmani egiziani arriva un nuovo no alla partecipazione alla proposta di un governo di coalizione. Lo si legge sul sito ufficiale del movimento islamico. Fonti della presidenza del consiglio avevano nella notte fatto trapelare che alla Fratellanza sarebbero stati offerti due o tre ministeri. Rifiutano di partecipare anche i salafiti del partito Nour. All’economista liberale Hazem Beblawi viene dato l’incarico di formare il governo. 

Gli Usa rivaluteranno i programmi di aiuto americani per il governo egiziano (1,3 miliardi di dollari l’anno, circa). Il Pentagono diffonde un comunicato: «Considerati gli eventi della settimana scorsa, il Presidente (Barack Obama, ndr) invita i dipartimenti e le agenzie interessate a rivalutare la nostra assistenza al governo egiziano», si legge nel comunicato, che non cita esplicitamente l’estromissione dal potere del presidente egiziano Mohamed Morsi da parte dell’esercito.

Di fronte a presidi islamisti che si ingrossano, l’esercito prima tollera, poi attende, infine attacca e sgombera

Ci sono epurazioni al quotidiano di Stato egiziano Al-Ahram: vengono licenziati l’amministratore Mamdouh al-Wali, il direttore Abdel Nasser Salama e il direttore di al-Ahram al-Masa’y (il quotidiano della sera), Mohmed Kharaga. I tre erano stati nominati sotto la presidenza di Mohamed Morsi.

Il 16 luglio giura il nuovo governo egiziano presieduto da Hazem el Beblawy. Abdel Fattah al-Sissi resta ministro della Difesa.

Di fronte a presidi islamisti che si ingrossano, l’esercito prima tollera, poi attende, infine attacca e sgombera. Nel corso di un discorso alla tv ufficiale, il 24 luglio, il ministro della Difesa al-Sisi si rivolge agli egiziani: «Chiedo ai cittadini egiziani di scendere in massa nelle strade, questo venerdì per conferirmi un mandato con cui contrastare la violenza e i probabili atti di terrorismo». A fine luglio i militari lanciano una serie di ultimatum e ordini di sgombero agli islamisti. Ma i pro Morsi non abbandonano le moschee di Rabaa e al Nahda.

Mentre continuano gli scontri, tra Cairo, Alessandria e altre città dell’Egitto, i canali televisivi e radiofonici trasmettono in continuazione una canzone dedicata all’esercito egiziano. Si intitola Teslam El Ayadi, Sia benedetta la tua mano, ed è un elogio di Sisi e dell’esercito.

Il 31 luglio Il governo egiziano ordina alla polizia di sgombrare i sit-in dei Fratelli musulmani, sostenitori di Mohamed Morsi. I due accampamenti, dice una nota governativa – «non sono più accettabili perché rappresentano una minaccia alla sicurezza nazionale». 

Attorno all’11 di agosto l’esercito si prepara a sgomberare con la forza i sit-in islamisti. Questa la tattica, rivelata da fonti della Bbc nel ministero degli Interni egiziano: la polizia accerchierà le due piazze, in modo da evitare che altre persone ingrossino le fila dei manifestanti, e saranno tagliati i rifornimenti di cibo e acqua. Solo successivamente gli agenti utilizzerano gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. La fuga di notizie provoca il rinvio dello sgombero. Gli islamisti, intanto, ingrossano le fila a Rabba e al-Nahda.
 

Il massacro Rabaa El-Adawiya

Alle 7 di mattina del 14 agosto inizia lo sgombero del sit-in di Rabaa el Adawiya e al Nahda. I cecchini sparano dai tetti che si affacciano sulla piazza. Alle 10:30 il bilancio delle vittime è già di oltre 200 morti e 8000 feriti secondo i Fratelli musulmani. Per il ministero della Sanità egiziano, i morti ammonterebbero ad appena sei, e i feriti a 26.
Le autorità egiziane smentiscono il coinvolgimento dell’Esercito. «L’incarico di disperdere i manifestanti è stato affidato esclusivamente alle forze di polizia», anche se l’esercito «approva» l’intervento. 

Verso sera arrivano le prime ricostruzioni del massacronei due campi di Rabaa e Nahda. alcuni testimoni oculari raccontano che l’attacco è iniziato attorno alle 7 di mattina con il lancio di gas lacrimogeni dagli elicotteri. Dagli elicotteri si sono poi calati alcuni paracadutisti che hanno raggiunto i tetti degli edifici attorno alle due piazze. E da lì hanno sparato sulla folla. Il bilancio finale è di circa 300 vittime.

Nelle strade del campo di Rabaa al-Adawiya una donna prova a stoppare un bulldozer dell’esercito, per proteggere un giovane rimasto ferito dagli agenti intervenuti per allontanare i maifestanti e sgomberare il campo

Gli islamisti sopravvissuti agli spari e rimasti nei sit-in si arrendono. La tv di Stato trasmette video in cui li si vede lasciare Rabaa e al Nahda con le mani incrociate dietro la testa. Quelli che riescono a fuggire si disperdono e cercano altri luoghi di raduno.

Il governo ad interim introduce il coprifuoco di un mese al Cairo e in altre città del Paese.

Lo sgombero di Rabaa al-Adawiya il 14 agosto 2013 (Getty Images)

Dopo le violenze dello sgombero e la morte di centinaia di pro Morsi, El Baradei si dimette da vice presidente e fugge a Vienna. Il governo ad interim dichiara lo stato di emergenza e iniziano gli arresti dei principali leader dei Fratelli musulmani.

Il vicepresidente Mohammed el Baradei si dimette: «È diventato difficile per me continuare a sopportare la responsabilità di decisioni che non mi trovano d’accordo e delle conseguenza che temo. Non posso sopportare la responsabilità per una sola goccia di sangue versata».

La zona attorno alla moschea di Rabba el-Adawiya dopo lo sgombero (ED GILES/Getty Images)

Interviene il presidente Usa che condanna la violenza delle forze di sicurezza e chiede ai manifestanti di esprimere il loro dissenso pacificamente. Sottolinea come gli Stati Uniti non possano determinare né in un senso né nell’altro il futuro dell’Egitto ma di credere che gli egiziani meritino di meglio della situazione attuale. Il Presidente degli Stati Uniti informa che le esercitazioni militari semestrali con l’esercito egiziano sono sospese.

Chuck Hagel, il capo del Pentagono, rassicura al telefono il generale Al-Sisi, capo delle forze armate ed ex ministro del governo Morsi, che per adesso la cooperazione militare Usa- Egitto è confermata, e resta intatto l’aiuto finanziario di circa 1,3 miliardi di dollari che ogni anno Washington eroga al Cairo, destinato per lo più all’esercito egiziano.

Il capo del Pentagono rassicura al telefono Al Sisi: “Per ora la cooperazione militare è confermata”

La polizia egiziana evacua la moschea al Iman al Cairo (che si trova poco distante dal sit in di Rabaa) recuperando oltre 200 cadaveri. È qui che gli islamisti hanno ammassato molti dei corpi delle vittime dello sgombero del 14 agosto. Ramses Square e la moschea di Fatah, al Cairo, diventano il nuovo punto di incontro degli islamisti. Verranno sgomberate nei giorni successivi.

La televisione locale el-balad (el-balad.com) diffonde immagini di fosse comuni scoperte nei luoghi dei sit in islamisti, in particolare ad Rabaa al Adawiya. Si tratterebbe, stando alle prime ricerche, di corpi di oppositori di Morsi, torturati e uccisi dagli islamisti. I corpi sono in avanzato stato di decomposizione e riportano segni di tortura. 

Un elicottero trasporta l’ex presidente Hosni Mubarak dall’ospedale militare del Cairo dove era detenuto alla sua residenza di Sharm el Sheik(AFP/Getty Images)

Il 19 agosto Fareed El-Deeb, uno degli avvocati dell’ex rais conferma che la procura ha prosciolto Hosni Mubarak da tutti i casi di corruzione che lo riguardavano ad eccezione di un presunto episodio di tangenti ricevute da un editore. La notte dello stesso giorno Muḥammad Badī, leader dei Fratelli musulmani, verrà stato arrestato dalle forze di sicurezza egiziane. Il 21 agosto Mubarak viene scarcerato e sottoposto alla libertà condizionata a Sharm el Sheik. 

Gli Stati Uniti sospendono – temporaneamente – una parte degli aiuti militari all’Egitto. 

A fine agosto per più giorni consecutivi i sostenitori di Morsi, attaccano, saccheggiano e bruciano oltre 58 edifici, tra chiese, scuole, istituzioni, case e negozi di cristiani. Continuano manifestazioni di piazza, scontri con le Forze dell’ordine egiziane, e arresti di islamisti.

Il 30 agosto viene arrestato a Giza, quartiere del Cairo, Mohammed El Beltagy, il Segretario del partito della Fratellanza, Giustizia e libertà. Era da giorni il ricercato numero 1 dell’esercito egiziano.

L’arresto di Mohammed El Beltagy, il Segretario del partito della Fratellanza, Giustizia e libertà il 30 agosto. Era da giorni il ricercato numero 1 dell’esercito egiziano

Il 2 settembre il governo egiziano nomina i 50 membri della Costituente. La commissione ha il compito di togliere dalla Costituzione egiziana tutti i riferimenti islamici, introdotti dal precedente esecutivo guidato dai Fratelli musulmani. Su 50 membri costituenti, solo due sono islamisti: uno è un esponente degli integralisti salafiti del partito al-Nour e l’altro è un ex membro della Fratellanza. Il testo costituzionale «sarà materialmente redatto da un comitato di 10 esperti», riferisce una fonte del governo.

Un Tribunale amministrativo del Consiglio di Stato egiziano ha vietato la trasmissione dei canali televisivi al-Jazeera, Yermuk, al-Quds (Jerusalem) e Ahrar 25 con l’accusa di sostenere i Fratelli musulmani. 
 

La messa al bando dei Fratelli e le leggi anti-proteste

La mattina del 5 settembre una bomba esplode al Cairo vicino alla casa del ministro dell’Interno Mohammed Ibrahim, sopravvissuto all’attentato.

Il 24 settembre il tribunale del Cairo bandisce tutte le attività pubbliche dei Fratelli musulmani e delle organizzazioni associate, ordina la confisca dei beni e la chiusura delle sedi. Nelle motivazioni, il tribunale accusa la Fratellanza di «essersi nascosta dietro la tolleranza dell’Islam» per le sue attività che, secondo la sentenza, «sono contrarie al vero Islam e alla legge».

Una bomba esplode il 5 settembre davanti all’abitazione del ministro dell’Interno egiziano Ibrahim (GIANLUIGI GUERCIA/Getty Images)

Il 26 novembre — pochi giorni dopo la fine dello stato di emergenza introdotto con il colpo di stato — entrano in vigore le nuove leggi anti-proteste. Da ora in poi è necessario chiedere con tre giorni di anticipo il permesso del ministero dell’Interno per ogni assembramento con più di dieci persone. Vengono proibiti i raggruppamenti nei pressi dei luoghi di culto. 
La polizia può disperdere le manifestazione non approvate. Vengono inasprite le pene per violenze che accadono durante le manifestazioni (condanne fino a sette anni). Chi partecipa a proteste non organizzate può subire in una multa di 800 euro (lo stipendio medio di un egiziano è di 200 euro al mese).

Scoppiano proteste al Cairo e in altre città. Le nuove norme – dicono i contestatori – sono più severe della legislazione sulle manifestazioni del regime di Mubarak. Tra le prime vittime della legge gli attivisti del movimento 6 aprile: Ahmed Maher, Ahmed Douma e Mohamed Adel sono stati condannati a tre anni per aver organizzato una manifestazione non autorizzata nel centro del Cairo. 

Attorno al 20 dicembre una serie di attentati terroristici scuote l’Egitto

Attorno al 20 dicembre 2013 una serie di attentati terroristici scuote l’Egitto. Tre esplosioni in due giorni provocano 16 morti a Mansoura, città del Delta del Nilo (colpita la sede dei Servizi di sicurezza e di polizia), e vari feriti alle porte dell’Università Al Azhar. Vicino a piazza Rabaa al Adaweya – la piazza del sit-in islamista di luglio/agosto – vengono trovati altri tre ordigni. Ansar Beit al-Maqdisi, gruppo jihadista del Sinai, rivendica l’attacco di Mansoura. Poche ore dopo, l’ex primo ministro dell’anno di presidenza Morsi, Hisham Qandil viene tratto in arresto nella prigione di Torah. L’accusa per Qandil riguarda la mancata nazionalizzazione della Tanta Oil Company nonostante una sentenza in questo senso della Corte amministrativa del Cairo.

Il 23 dicembre i Fratelli musulmani tornano in clandestinità. Il tribunale civile del Cairo in una sentenza di primo grado stabilisce l’interdizione delle attività della Confraternita, la confisca dei beni e la chiusura di tutte le sedi nel Paese. Censure e provvedimenti contro i suoi seguaci vengono inasprite. Il vice premier Hossam Eissa ha aggiunto che chi appartiene al movimento subirà punizioni. «L’Egitto prova orrore per l’odioso crimine perpetrato dai Fratelli musulmani», commenta Eissa.

Mohammed Morsi assiste a uno dei quattro processi in corso in uno scatto del 7 maggio 2014 (TAREK EL-GABASS/Getty Images)

Tra dicembre e gennaio iniziano i quattro processi contro il presidente deposto Morsi.

Il primo a partire è il dibattimento per le accuse di corruzione nella gestione politica dopo un anno al potere dei Fratelli musulmani. 

In seguito, il procuratore egiziano Hassan al Samir accusa Morsi di evasione dalla prigione di Wadi Natroun, a nord del Cairo, il 28 gennaio 2011, quando le forze di polizia sparirono dalle strade del Cairo e centinaia di detenuti invasero i quartieri popolari della città. Molti di loro erano ex esponenti della Fratellanza e salafiti che avevano passato anni in prigione prima di ottenere la libertà. L’imputazione è stata formulata anche ad altre 129 persone, 68 delle quali apparterebbero al movimento palestinese Hamas. 

Mohammed Morsi rischia ora la pena di morte

Morsi rischia la pena di morte nel processo che lo giudica sulle accuse di spionaggio e cospirazione con organizzazioni terroristiche straniere. Secondo i giudici, Morsi avrebbe dato vita a un’alleanza con i movimenti palestinese Hamas e sciita libanese Hezbollah.

L’8 gennaio si apre la seconda udienza del processo in cui Morsi è accusato di aver incitato alla violenza contro i manifestanti negli scontri di Ittihadeya, quando lo scorso dicembre morirono 7 persone al Cairo.

Il quarto e ultimo processo contro Mohammed Morsi (iniziato il 28 gennaio) viene subito rimandato al 22 febbraio. Chiuso nella gabbia degli imputati, Morsi in aula grida: «Abbasso i militari». L’ex presidente dichiara di non riconoscere i giudici perché golpisti, e grida: «Sono io il Presidente». 

Il 14 gennaio gli egiziani sono chiamati ad approvare con un referendum la nuova Costituzione egiziana. Manifestazioni di protesta dei pro-Morsi scoppiano in diverse città del Paese. A Beni Suef i pro-Morsi si scontrano con la polizia messa alla guardia dei seggi. Un dimostrante resta ucciso. Sei sostenitori dell’ex presidente muoiono anche a Sohag nell’Alto Egitto (sud del Paese). Mentre un’altra vittima si registra a Giza, al Cairo.

Tra i punti chiave della Costituzione un articolo che mette al bando i partiti basati sulla religione e una norma che conferisce alle forze armate il diritto di nominare il ministro della Difesa nei prossimi due mandati presidenziali. I privilegi di polizia e militari non vengono toccati, anzi in alcuni casi sono rafforzati. La nuova Costituzione continua anche a permettere i processi militari contro i civili, senza limitarne il ricorso a specifici reati. La libertà di culto è definita «assoluta». (Per approfondire). I dati diffusi dal Governo parlano di oltre il 90% dei sì alla nuova Costituzione
 

Al-Sisi presidente

Il 27 gennaio, il capo dell’esercito, Abdel Fattah al-Sisi, accetta la proposta del Consiglio supremo dei militari egiziani di candidarsi alla presidenza egiziana.

Al-Sisi in abiti civili alla tv di stato subito dopo l’annuncio della sua candidatura, il 4 maggio 2014 (Getty Images)

Il Consiglio supremo delle forze armate egiziane accetta le dimissioni di al-Sisi da ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore, dando il via libera a una candidatura che comporterà, per legge, l’abbandono dell’uniforme. In una nota militare, il Consiglio supremo delle forze armate (Scaf) dichiara: «La fiducia del popolo in al-Sisi è una richiesta che va accolta come libera scelta della popolazione». 

Hamdeen Sabahi, candidato alle Presidenziali egiziane contro al-Sisi (MOHAMED EL-SHAHED/Getty Images)

Il 3 maggio 2013 inizia la campagna elettorale. Due soli gli sfidanti. Contro l’ex ministro della Difesa Al-Sisi scende in campo Hamdeen Sabahi, del partito Corrente popolare egiziana. Sabahi incentra la campagna elettorale sulla richiesta di maggiore «giustizia sociale». Propone di portare il salario minimo all’equivalente di 171 dollari. «Abbiamo bisogno di giustizia, democrazia e indipendenza» dice Sabahi».

I leader dei Fratelli musulmani (in prima fila da destra a sinistra) Mohamed Badie, Essam Sultan, e Mohamed el-Beltagy durante un’udienza del processo che li vede coinvolti, il 7 giugno 2014 (KHALED DESOUKI/Getty Images)

Il 26 e 27 giugno si tengono le elezioni presidenziali. Al Sisi teme la forte astinenza e il primo giorno di voto, il 26 giugno, decide di prolungare fino a tre giorni le operazioni di voto. Per favorire l’afflusso alle urne, dichiara festa nazionale il 28 giugno, terzo e ultimo giorno utile per votare.

Le opposizioni e in primis i Fratelli musulmani invitano i sostenitori al boicottaggio. 

Lo spoglio si chiude con la schiacciante vittoria di Al-Sisi: ottiene il 96% dei consensi contro il 3% del progressista Hamdeen Sabahi. Ma l’astinenza è alta, attorno al 40%. 

Dopo aver interrotto nell’ottobre 2013 gli aiuti militari (1,5 miliardi di dolllari), gli Usa versano a fine giugno 2014 una prima tranche di aiuti di oltre 500 milioni di dollari.

Il 3 luglio 2014 i Fratelli Musulmani organizzano 35 cortei diretti tutti verso la piazza simbolo della rivolzione contro Mubarak, Tahrir. Nessuno dei cortei riesce davvero a tenersi. I manifestanti si radunano, ma la polizia li disperde velocemente, arrestandone dozzine. Le misure di sicurezza spiegate dal governo egiziano sono al massimo: piazza Tahrir è circondata da un cordone militare, così come il palazzo presidenziale. Artificieri lavorano per bonficare la zona da qualsiasi esplosivo. Chiuse piazza Rabaa al Adawiya (quella del sit in dello scorso agosto dei Fratelli Musulmani) e alcune stazioni della metropolitana del Cairo. Nella notte, al Cairo, quattro attentati dinamitardi non hanno causato feriti.

La restaurazione è completata.

(MAHMUD KHALED/Getty Images)

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