Gaza, l’economia fiorente dei tunnel sotterranei

Gaza, l’economia fiorente dei tunnel sotterranei

Sapere quanti sono è impossibile. «Lo può chiedere solo ad Hamas», scherza Claudio Neri, direttore dell’Istituto italiano di studi strategici. «Nemmeno gli israeliani lo sanno, e appena ne scoprono uno, lo attaccano». È successo nell’ottobre 2013, ad esempio, quando Israele ha scoperto un tunnel di 1,7 chilometri che attraversava il fianco est della Striscia di Gaza. Iniziava nel villaggio di Absan, vicino a Khan Younis, e sbucava nel kibbutz israeliano Ein Hashlosha. Quel tunnel era profondo circa 18 metri e – supponeva il portavoce dell’esercito israeliano – c’era voluto almeno un mese per scavarlo.

Tutta Gaza è attraversata da una fitta rete di tunnel sotterranei, gallerie che nel corso degli anni gli stessi abitanti hanno creato per poter sopravvivere. Lo hanno fatto ancora più intensamente dopo il 2007, l’anno in cui Hamas prende il potere nella Striscia, e Israele – che considera Hamas un gruppo terroristico – aumenta le restrizioni economiche su Gaza.

Da quel momento, tutti i valichi di frontiera della Striscia vengono chiusi e Israele controlla quello che entra a Gaza, via terra e via mare, e limita la quantità e il tipo di beni ammessi per evitare – ufficialmente – che i palestinesi possano armarsi.

La popolazione di Gaza ha cercato allora un modo per non morire di stenti. Per commerciare cibo, auto, materiale edilizio, medicine. E anche armi. E ha scavato tunnel. «Le gallerie sono lo strumento principale per mantenere in vita la fiorente economia sommersa della Striscia», spiega Claudio Neri.

Un video diffuso dalla Bbc mostra il tunnel scoperto da Israele nell’ottobre 2013

Secondo un vecchio articolo di Al Jazeera, il valore dell’economia sommersa dei tunnel del Sud, quelli che mettono in comunicazione Gaza con l’Egitto, è stimato attorno ai 700 milioni di dollari all’anno, e nel 2011 è cresciuta del 20 per cento. Sono circa 7000 i palestinesi che lavorano in oltre 500 gallerie del Sud (la Striscia conta un milione e 800.000 abitanti).

(ABID KATIB/Getty Images)

I tunnel hanno una struttura sociale precisa: ci sono i semplici lavoratori, quelli che li attraversano per trasportare merci e che quotidianamente rischiano di rimanere sommersi dal crollo delle pareti o da un attacco di Israele. E poi ci sono i proprietari del tunnel, destinati a diventare molto ricchi, come racconta Death Tunnels, un documentario realizzato da Mohamed Harb, giovane filmaker di Gaza.

Ci vogliono tra i tre e i cinque mesi per costruire una galleria e si stima che siano almeno 3.000 i palestinesi che se ne occupano. Gli ingressi dei tunnel sono sempre all’interno di una casa, in modo da nasconderli alla vista dall’alto.

Il ministro della Difesa israeliano Moshe Ya’alon nel tunnel scoperto a ottobre dall’esercito israeliano (MOD/Getty Images)

«Uno dei principali elementi di potere di Hamas», racconta Amos Yadlin dell’Institute for national security studies di Tel Aviv (Issn), «progettato per mettere fuori gioco il vantaggio israeliano nella qualità dell’intelligence e nella precisione di sparo, è il suo network sotterraneo». Gaza, continua, «possiede un intero network di tunnel e rifugi usati non solo dalla leadership di Hamas, ma anche da un ampio numero di agenti militari».

Il quadro in cui leggere gli eventi lo spiega sinteticamente Claudio Neri, anche «a costo di sembrare brutale». «La situazione è semplice: le due parti non si accettano e non si vogliono riconoscere. È una sfida all’ultimo sangue che finirà solo nel momento in cui una delle due parti collasserà. Non c’è nessuna volontà di arrivare a un accordo definitivo, ma solo di raggiungere una tregua che servirà solo a “rialimentarsi”. Basti pensare che la vera strategia di Israele fino alla emetà degli anni 2000 è stata quella di ridurre la pressione demografica dei palestinesi. La vera minaccia per Tel Aviv è che i palestinesi fanno molti figli. Ci sono proiezioni che mostrano come tra 20 anni la popolazione araba avrà un peso rilevante nel territorio. Ecco perché Israele vuole isolare i palestinesi rinchiudendoli nei loro territori».

Una delle ipotesi circolate negli ultimi giorni, è che Israele miri a «ripulire» l’area nord di Gaza per creare una sorta di zona cuscinetto che impedisca la costruzione in futuro di nuovi tunnel. Janiki Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente, la ritiene un’ipotesi probabile nel caso in cui Tel Aviv non riesca a raggiungere un accordo per il cessate il fuoco. «Se Israele non riesce ad avere una garanzia che Hamas sospenda il lancio di razzi, Israele è pronto a restare a lungo nella Striscia e cercherà di “ripulirla” il più possibile, spiega, anche ritagliando una striscia cuscinetto di due chilometri come l’aveva in Libano».