La discriminazione inconsapevole nelle partite Nba

La discriminazione inconsapevole nelle partite Nba

La discriminazione razziale è purtroppo molto diffusa. Ma la questione non è solo se tendiamo o meno a discriminare chi è diverso da noi; il problema è più profondo, poiché spesso non è facile nemmeno accorgersi che lo stiamo facendo.

Nel 2007 Joseph Price e Justin Wolfers hanno dimostrato che la probabilità che a un giocatore bianco dell’Nba venga fischiato un fallo è più alta del 4 per cento se la squadra arbitrale è composta da persone di colore (o viceversa, se il giocatore è di colore e gli arbitri sono bianchi) rispetto al numero di falli fischiati da arbitri ai giocatori del loro stesso colore di pelle. L’evidenza è molto ampia: Price e Wolfers sono giunti a questa conclusione utilizzando oltre 250mila informazioni raccolte nel corso di oltre dieci stagioni, da quella del 1991-1992 a quella del 2003-2004, per ciascun giocatore in ciascuna partita giocata. Hanno utilizzato non solo i dati dei falli fischiati, ma anche le foto dei singoli giocatori e arbitri per classificarli come bianchi e di colore; nonché una serie di informazioni aggiuntive quali minuti per partita giocata, canestri segnati e molto altro.

Tale risultato fu accolto presso la stessa Nba con incredulità. Rod Thorn, ex vice presidente della Lega, si rifiutò di crederci, mentre un anziano giocatore, Mike James, affermò: «Se effettivamente è questo quello che succede, bisogna andare a fondo alla questione… ma non me ne ero mai accorto».

E invece, le condizioni in cui la decisione arbitrale viene presa rendono questo risultato particolarmente interessante. Da una parte, gli arbitri Nba hanno un altissimo incentivo a essere imparziali nelle loro decisioni e vengono accuratamente formati proprio per raggiungere questo obiettivo. Il commissario Nba Stern dichiarò – all’epoca – che gli arbitri della lega sono il gruppo di impiegati le cui performance sono più frequentemente analizzate a livello statistico, classificate e comparate, rispetto a qualsiasi altro impiegato in qualsiasi altra impresa nel mondo. Resta il fatto che la decisione arbitrale è una decisione presa in condizioni di forte pressione psicologica e assunta nel giro di pochi secondi.

L’evidenza che le decisioni prese dagli arbitri sono influenzate dal colore della pelle dei giocatori solleva quindi un inquietante interrogativo sui meccanismi che ci guidano quando dobbiamo farci rapidamente un’opinione sul conto di qualcuno. Se persone allenate e incentivate a essere imparziali non riescono a esserlo, che ne è di noi?  Siamo tutti inconsapevolmente portati a discriminare chi è diverso da noi?

Il fatto è che la discriminazione non riguarda solo i falli fischiati durante una partita di basket, ma è stata provata anche per i giudici, nel formulare le loro sentenze (Abrams, David, Marianne Bertrand, e Sendhil Mullainathan, 2006), per i poliziotti, nel decidere le macchine da fermare e controllare (Antonovics, Kate, e Brian Knight, 2009), per i datori di lavoro nello scegliere i propri collaboratori (Stoll, Michael, Steven Raphael, and Harry Holzer, 2007) e valutarne l’operato (Stauffer, Joseph M., and M. Ronald Buckley, 2005).

Per saperne di più

Joseph Price, Justin Wolfers, “Racial Discrimination Among NBA Referees”, The Quarterly Journal of Economics (2010)

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