«Nell’eccessiva serietà vedo sempre qualcosa che fa un po’ ridere». E come darle torto? Wisława Szymborska, la musa di Cracovia, ha fatto della sua vita un elogio dell’ironia, del paradosso, del gioco. Un po’ corazza, un po’ fioretto, non ha mai abbandonato quella leggerezza sconosciuta a chi si prende troppo sul serio. L’ha usata per raccontare ogni istante della vita. Compreso l’ultimo. Non risparmiando neppure il tristo mietitore. Sulla morte senza esagerare è il suo inno all’immortalità, in cui, dal confronto con la vita, è la stessa protagonista a non reggere il confronto.
[…]
Quando conversiamo del domani
intromette la sua ultima parola
a sproposito.
Non sa fare neppure ciò
che attiene al suo mestiere:
né scavare una fossa,
né mettere insieme una bara,
né rassettare il disordine che lascia.
[…]
Col cuore spiegato al vento Szymborska ha praticato «La gioia di scrivere/ Il potere di perpetuare /la vendetta d’una mano mortale». Gioca con le parole, le crea, ne cura gli accostamenti come fossero collage surreali — un’altra sua grande passione, che trovate tra queste righe per concessione della Wisława Szymborska foundation — e con semplicità apparente scrive versi, li suona e li canta, dipinge paesaggi e cesella con le parole, riesce a scrivere fotografie zumando sulle cose più date per scontate. Non smette mai di provocare, risveglia l’anima sopita di chi la legge, che torna a provare meraviglia. Le sue lenti non si fermano mai alla superficie, ma guardano il senso profondo e lo raccontano con la scanzonata libertà di chi cresce restando bambino. Non c’è nulla di più stupefacente che quel che ci sta intorno nella quotidianità che scivola identica. Quanti altri poeti sono riusciti a trasformare anche La Cipolla in una magia?
La cipolla è un’altra cosa.
Interiora non ne ha.
Completamente cipolla
fino alla cipollità.
Cipolluta di fuori,
cipollosa fino al cuore,
potrebbe guardarsi dentro
senza provare timore.
[…]
La giovane Szymborska è stata una donna del suo tempo. Nasce a Bnin, vicino a Poznań (Polonia occidentale), il 2 luglio di 91 anni fa, ma raggiunge la sua città d’adozione, Cracovia, ancora bambina. Inizia a lavorare appena maggiorenne come impiegata alle ferrovie, evitando così la deportazione. All’Università sceglie sociologia e lettere. Lascia gli studi perché non ha scelta: deve guadagnarsi il pane. Ma anche perché, sotto regime, anche il sapere è terribilmente noioso e poco dialettico. Diventa segretaria di redazione e compone poesie «semplicemente…di modesto valore», a detta del primo marito, il giornalista Adam Włodek. Anche lei nella pseudo-indipendente Repubblica Popolare di Polonia, satellite sovietico, ha scorto il sogno di salvezza dell’umanità. Ci ha creduto limpidamente. E a 29 anni, correva l’anno 1952, l’esordio. Con la pubblicazione di una raccolta di poesie, Per questo viviamo, che segna l’adesione al socialismo reale, nonostante secondo il regime, appena tre anni prima, un suo volume non fosse in linea con i requisiti socialisti. La fede nella dottrina comunista, l’appello ai compagni tra le rime, l’adesione al Partito operaio unito polacco — fino al 1960 —, i versi dedicati a Stalin sono un “peccato di gioventù” che per la stessa Szymborska non avrà dignità di ristampa. E infine la dissidenza.
«Non mi giustifico, l’ho scritto» dirà la poetessa riferendosi al componimento per Stalin. «Me ne pento… Ma, d’altra parte, anche questo fa parte delle mie esperienze, il che significa che a volte ci mancano conoscenza e immaginazione. La cosa peggiore è che c’era molta buona volontà».
Disconosciuto il passato comunista diventa una donna che supera il suo tempo. Alla ricerca, riservata e costante, della perfezione nelle più piccole cose. C’è chisale in cattedra con certezze indiscutibili. Lei preferisce sedersi accanto al lettore, suo pari, con lui condivide gioie e dolori, interrogativi e fragilità, con lui coltiva il dubbio.
C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.
È tutto in ordine dentro e attorno a lui.
Per ogni cosa ha metodi e risposte.
[…]
E quando è licenziato dalla vita,
lascia la postazione
dalla porta prescritta.
A volte un po’ lo invidio
– per fortuna mi passa.
Quando l’Accademia svedese le assegna il Nobel per la Letteratura nel 1996, è «per la capacità poetica che con precisione ironica permette al contesto storico e biologico di manifestarsi in frammenti di umana realtà». Lei a ritirare il premio arriva ancora semisconosciuta al grande pubblico, tramortita da qualcosa di totalmente inatteso, e si chiude a riccio per nove anni prima di pubblicare nuovi versi. Esordisce strappando il sorriso dell’uditorio di Stoccolma con la sua semplicità disarmante: «dicono che la prima frase in qualunque discorso sia sempre la più difficile. Beh, è dietro di me comunque». Poi si lancia in una riflessione sul poeta e il mo ndo, quel pudore e l’inibizione nel definirsi tali, preferendo presentarsi come scrittori, poco importa a porte chiuse, quando quello che conta davvero è il confronto con un foglio di carta bianco, aspettando silenziosamente, pazientemente l’ispirazione.
Szymborska si rivolge a tutti, anche se sa — e lo scrive in Ad alcuni piace la poesia — che ad amare la lettura in versi «saranno forse due su mille». I suoi versi non si leggono con gli occhi, ma con il cuore. «Vorrei che i lettori percepissero tutte le mie poesie come fossero loro, come scritte per loro. Perché una poesia appartiene a te che la leggi, ed è a te che dedico quello che scrivo». Un appello che ha certamente colto Woody Allen che di lei dirà «profonda, ma conscia del suo obbligo di divertire il lettore».
E questa aspirazione a raggiungere tutti e ognuno in qualche modo si è pure avverata. Dal regista Ferzan Ozpetek nel suo Cuore sacro, a Jovanotti che da lei impara che «si nasce senza esperienza, si muore senza assuefazione», persino i taiwanesi hanno imparato ad ascoltarla grazie alla cantante mandopop Hebe Tien, che in mandarino canta Sotto una piccola stella.
Dietro i giochi di parole acuti, distici e limerick, si nasconde la sostenibile leggerezza dell’essere Wisława Szymborska. Oggi, nonostante la sua scomparsa due anni fa, festeggiamo il suo anniversario con la vita. Buon compleanno.