Il 7 giugno 2014 la NASA ha confermato che la sonda spaziale Voyager I sta viaggiando nello spazio interstellare. Avevamo idea che la sonda fosse entrata nello spazio interstellare già dal 25 agosto del 2012, ma ci sono volute tre diverse rilevazioni delle Voyager per avere una conferma.
Lo spazio interstellare in cui sta viaggiando la Voyager è ancora ufficialmente parte del nostro sistema solare — e lo sarà per i prossimi 15mila anni del suo viaggio — ma la sonda è entrata nel grande spazio vuoto che c’è tra una stella e l’altra, dove le particelle emesse dal Sole diventano indistinguibili da quelle di fondo della galassia. La Voyager I è l’oggetto costruito dall’uomo più lontano in assoluto dall’umanità. Se ne sta, sola soletta, a circa 19 miliardi di chilometri dalla Terra, viaggiando a una velocità costante di circa 61mila chilometri all’ora nello spazio.
(NASA/Hulton Archive/Getty Images)
La Voyager I è una sonda spaziale lanciata il 5 settembre 1977 dalla NASA, la sua missione principale era fotografare e studiare Giove, Saturno e il suo satellite Titano. Ci ha mandato una quantità di informazioni interessanti e una delle più famose foto della Terra vista dallo spazio. Dopo essere passata sopra Titano, la Voyager I non ha più incontrato nessun pianeta e si è allontanata sempre di più dalla Terra, come tante altre sonde spaziali che dopo aver fatto il loro lavoro sono state abbandonate nello spazio. Però.
Però, anche se la Voyager I ha concluso la sua missione formale, ce n’è un’altra che ancora non ha compiuto. Una missione che inizia ora che è nello spazio interstellare e che andrà avanti finché la sonda esisterà. Sulla Voyager, appiccicato su uno dei lati esterni, c’è un disco di rame placcato d’oro. Un 33 giri con sopra registrato un pezzetto di Terra. Un messaggio messo lì nel caso qualcuno, tra mille, diecimila, centomila o un milione di anni, trovasse nello spazio interstellare la Voyager I.
Il disco è un disco da grammofono, come un vinile ma non fatto di vinile. Sopra c’è scritto: The Sound of Earth, i suoni della Terra. E sotto, più in piccolo, Stati Uniti d’America, pianeta Terra. Incise sul disco ci sono 116 immagini e una gran quantità di suoni del nostro pianeta. Parole, saluti in 55 lingue diverse, suoni della natura e canzoni. Sulla sonda, c’è una testina per suonare il disco e, incise sulla custodia protettiva, ci sono una serie di diagrammi che spiegano nel modo più universale possibile (o nel modo che nel 1977 pensavamo essere il più universale possibile) come suonare il disco e da dove viene.
(NASA/Hulton Archive/Getty Images)
L’idea di mettere sulla Voyager I (o, meglio, sulle Voyager visto che ce n’è una copia anche sulla Voyager II) il disco è di Carl Sagan, astrofisico e divulgatore scientifico, che nel 1972 aveva già messo a bordo della sonda Pioneer 10 una placca d’oro con un un messaggio per chiunque avesse trovato la sonda. Più che un messaggio, il disco d’oro è una speranza. Una speranza che attraverso il linguaggio della scienza due civiltà avanzate possano comprendersi anche a distanza di milioni di chilometri e milioni di anni. E un tentativo di raccontare cosa siamo noi umani. Nel libro Murmurs of Earth: The Voyager Interstellar Record, dedicato alla creazione e alla selezione delle tracce e delle immagini incise sul disco d’oro, Sagan scrive: «i nostri precedenti messaggi [quelli sulla Pioneer] contenevano informazioni solo riguardo a quello che percepiamo e a come pensiamo. Ma un essere umano è molto più di così. Siamo creature che provano emozioni. La nostra vita emozionale è la più difficile da comunicare, specialmente a esseri che potrebbero essere biologicamente molto diversi da noi. Mi è sembrato che la musica fosse almeno un degno tentativo di trasmettere le emozioni umane».
E così il disco diventa una specie di compilation d’amore da noi per gli alieni. Una compilation decisamente strana ed eclettica, che raccoglie 90 minuti di canzoni e musiche da tutte le parti del mondo: da un canto notturno degli indiani Navajo a Bach, dalle percussioni senegalesi fino a Stravinsky, passando per il jazz di Louis Armstrong e anche per Johnny B. Goode di Chuck Berry. Sagan scrive che avrebbe voluto inserire anche Here Comes the Sun dei Beatles ma, nonostante l’approvazione del gruppo, la canzone non fu inclusa per problemi legali (sì, ci sono problemi legali anche per lanciare nello spazio delle canzoni che probabilmente nessuno ascolterà mai). La tracklist completa è sul sito della NASA.
La Voyager I non è puntata da nessuna parte. «La sonda», ha detto Sagan al tempo, «sarà trovata e il disco sarà suonato solo se ci sono civiltà avanzate che viaggiano nello spazio interstellare. Ma lanciare questa bottiglia nell’oceano cosmico dice qualcosa di molto speranzoso per la vita su questo pianeta». Tra più o meno 15mila anni (noi, 15mila anni fa imparavamo per la prima volta a usare la pietra come strumento) la Voyager I uscirà dal sistema solare, superando la nube di Oort. La prossima stella che incontrerà sul suo tragitto — circa 25mila anni dopo — sarà Gilese 445, nella costellazione della giraffa. Ci passerà a 1,2 anni luce, ma Gilese 445 non è un sistema su cui pensiamo si possa essere sviluppata la vita. Carl Sagan e gli scienziati che hanno lavorato al disco d’oro lo sapevano, sapevano che le possibilità che qualcuno trovasse la Voyager I e il suo messaggio, più che rare, erano infinitesimali. Ma hanno comunque voluto che sulle Voyager ci fosse quel disco d’oro. Quel disco, sembrano dirci, è un messaggio per chiunque sia là fuori quanto lo è per noi.