È una giornata grigia e piovosa. Piove sulle case, sugli uffici silenziosi dei palazzi dove, da decenni, si è decisa la politica in Campania; piove sulle terre dove, negli ultimi vent’anni, sono stati sversati illegalmente decine di milioni di tonnellate di rifiuti tossici; piove sui cimiteri, dove riposano i bambini morti di leucemia e di tumore.
Come se non bastassero i dati in possesso, le denunce dei comitati per la salute e dei cittadini, le battaglie legali e civili e le morti di innocenti, ora è un altro studio a certificare che in questo triangolo della morte è realmente avvenuto, e continua ad avvenire, un vero e proprio avvelenamento di massa, un biocidio, in spregio alla vita degli uomini che calcano quella terra e alla natura che li nutre. L’aggiornamento dello studio epidemiologico “Sentieri”, pubblicato alcuni giorni fa dall’Istituto superiore della sanità, ha infatti indicato che nella Terra dei fuochi il tasso di mortalità, rispetto al resto della regione Campania, è superiore del 10% per gli uomini e del 13% per le donne nei comuni in provincia di Napoli, mentre per quelli in provincia di Caserta è in eccesso rispettivamente del 4 e del 6 per cento.
Lo studio, che si basa sui dati di 55 comuni, ha riscontrato anche un eccesso di ricoveri ospedalieri per diversi tipi di tumore tra i quali i tumori maligni dello stomaco, del fegato, del polmone, della vescica, del pancreas, della laringe, del rene. Per quanto riguarda poi la fascia di età 0-14 anni si è osservato un eccesso di ospedalizzazione per leucemie in provincia di Caserta mentre, nella provincia di Napoli, servita dal Registro tumori, si è osservato un eccesso di incidenza per tumori del sistema nervoso centrale nel primo anno di vita e nelle classi d’età 0-14. Dopo questi drammatici dati, si può ancora affermare, come fece il ministro Lorenzin – scatenando la reazione della giornalista anticamorra Marilena Natale -, che la causa dell’impennata di tumori nella regione sono le abitudini di vita e alimentari dei residenti della zona?
Dicevamo dunque di una giornata piovosa. È qui che dobbiamo tornare: il 16 novembre del 2013, a Napoli, per la prima volta, succede qualcosa. Centomila persone sfilano per le strade per dire “No al biocidio”, per chiedere le bonifiche dei territori, per spegnere i roghi tossici e soprattutto per ricordare i morti, in una terra che vede morire i propri figli e che non riesce neppure ad immaginare il proprio futuro. Le gigantografie dei volti di Umberto Improta (ex commissario straordinario ai rifiuti dal 1994 al 1996), Corrado Catenacci (ex prefetto ed ex Commissario per i rifiuti), Antonio Bassolino (ex sindaco di Napoli ed ex presidente della Regione Campania) e altri protagonisti delle vicende politiche della Campania sono affisse in bella posta su cartelli bianchi con la scritta: «Colpevole di biocidio». Su un altro striscione bianco si legge: «Un solo grido: vogliamo vivere». È un fiume in piena, come l’hashtag che si era diffuso su Twitter in quei giorni.
È proprio con le immagini di questo #fiumeinpiena che si apre il documentario Ogni singolo giorno, prodotto da Rogiosi Editore, la cui idea nasce dall’incontro tra la giornalista napoletana Ornella Esposito, attivista per i diritti civili, e il regista friulano Thomas Wild Turolo, già autore di lavori a rilevanza sociale. «Il documentario», spiega il regista, «è una fotografia umana di questo difficile momento storico e sociale, un’istantanea che ritrae il problema della Terra dei fuochi di cui si deve parlare, ma attraverso l’umanità e la profonda sensibilità di alcuni personaggi eterogenei e trasversali. Persone che hanno subìto la situazione ma che l’affrontano con grande forza. Un inno alla vita che resiste e si afferma».
IL TRAILER
Nel documentario – che non usa la voce narrante ma lascia che le storie degli intervistati costituiscano il filo di Arianna per lo spettatore – s’intrecciano percorsi di vita e morte, esempi di battaglie civili e personali, storie di donne e uomini che lottano ogni giorno per il diritto alla vita. Oltre a esempi come quelli del parroco di Caivano Maurizio Patriciello, simbolo della lotta contro l’inquinamento illecito del territorio, o dell’oncologo Antonio Marfella, si affiancano le voci di altre persone: un attivista, un fotoreporter che fa ritratti delle madri nelle camerette dei propri bambini scomparsi, un agricoltore che continua a lavorare la sua terra e lotta contro la disinformazione (ancora non esiste una corretta mappatura degli sversamenti illegali ma il mercato boicotta i suoi prodotti), una madre che ha perso sua figlia, un ragazzo con il proprio padre che lotta per sopravvivere, una giovane donna che riesce miracolosamente a vincere la malattia in cui rischiava di sprofondare.
Tutte queste storie si susseguono e si completano tracciando un affresco in cui il regista inverte il punto di vista, tralasciando il registro giornalistico per prediligere invece il lato tutto umano. Il protagonista vero del documentario è quindi il cittadino, diventato conscio dell’importanza di salvaguardare e proteggere il proprio territorio. Il cittadino che lotta per vivere, e che si scontra con il mutismo delle istituzioni. Da questo scontro nasce la volontà di trasformare la terra, di riappropriarsene e di ritornare ad avere un rapporto naturale, vivo, come quello di un figlio con la propria madre.