L’Istat ha diffuso i dati sui trattamenti pensionistici degli italiani: guarda caso, viene fuori che gli uomini guadagnano cinque volte più delle donne. Il problema è che non è una novità: cosa ci potevamo aspettare da un Paese in cui lavora solo il 46% delle donne (12 punti meno della media Ue) e per giunta con una retribuzione netta inferiore di circa il 20% rispetto ai colleghi uomini? Le discriminazioni di genere cominciano nell’accesso al mercato del lavoro e, ovviamente, continuano anche dopo la fine dell’età lavorativa.
Le donne rappresentano il 52,9% dei pensionati, ma percepiscono redditi più bassi: 10.953 euro a fronte dei 17.448. Tra il 2002 e il 2008 la forbice dei redditi tra pensionati e pensionate è aumentata di 2,1 punti percentuali; a partire dal 2008 c’è stata una progressiva riduzione mantenendo però livelli di disuguaglianza superiori a quelli del 2004.
La spesa per pensioni erogate agli uomini è pari al 9,6% del Pil e supera di 2,1 punti percentuali quella di trattamenti erogati alle donne. Viene fuori anche una maggiore concentrazione degli uomini nelle classi di redditp più elevate: il 6,5% degli uomini è concentrato nella classe di reddto tra 3mila e 4.999 euro, a fronte del 2,1% delle donne. Le pensionate, al contrario, sono concentrate nelle classi di reddito più basse: il 52% ha una pensione di meno di mille euro; mentre gli uomini nella stessa condizioni reddituale sono il 32,2 per cento.
Il divario maggiore nei redditi pensionistici si registra a Nord. La Liguria è la regione in cui la pensione degli uomini presenta lo scarto maggiore rispetto a quello delle donne (53,9% più elevato), seguita da Lazio, Lombardia e Veneto. Le minori disuguaglianze invece per Calabria (+19,9% per gli uomini), Basilicata e Molise. Le donne, in compenso, vivono di più. E nelle pensioni per i superstiti sono di gran lunga la maggioranza, l’87,1 per cento.
Tutto questo non è altro che il prodotto di un mercato del lavoro in cui, come ha scritto InGenere, non solo esistono i soffitti di cristallo che impediscono alle donne di accedere alle posizioni più alte, ma anche le pareti di cristallo, barriere invisibili che incastrano le donne nei contratti peggiori, frutto della sistematica marginalizzazione delle donne verso settori, professioni e posizioni deboli del mercato del lavoro. Durante tutto il percorso della vita lavorativa le donne sono più sottoutilizzate degli uomini, soprattutto se laureate.
Una volta superato lo scoglio dell’accesso al mercato del lavoro, quello che salta subito all’occhio è che le donne vengono pagate meno dei colelghi uomini. È il cosiddetto gender pay gap. A parita di posizione, le donne italiane guadagno circa il 20% in meno degli uomini. Rispetto ai colleghi uomini, le donne firmano ancora un numero maggiore di contratti di lavoro atipici e part time involontari (soprattutto dopo il ritorno dalla gravidanza, per quelle che riescono a tornare, visto il livello dei servizi). Non c’è quindi da stupirsi se anche da pensionate, poi, vivano peggio dei colleghi uomini.