Con l’inizio del semestre europeo, tutti si affollano intorno a Renzi con proposte e ricette. Alcune vecchie, discusse in tutte le loro varianti, altre nuove di zecca, che sono da esplorare e discutere ex-novo. I due campioni di proposte del primo e del secondo tipo sono rispettivamente gli Eurobond, rispolverati da Graziano Delrio nella versione Prodi-Quadrio Curzio, e la proposta del sussidio di disoccupazione europeo, sollevata da Luigi Zingales, e proposta in alternativa agli Eurobond. Nessuno gli ha detto cosa non fare, tranne Marcello Esposito che in un eccellente contributo qui su Linkiesta ha «stemprato lo scettro al regnatore», sollevando la questione che ha accompagnato la carriera politica di Renzi, e che oggi diventa la principale debolezza dell’Italia in Europa: l’inadeguatezza del personale tecnico al seguito della politica. Un’analisi degli aspetti della questione Eurobond che sono ignorati nel dibattito mostra facilmente la debolezza del nostro arsenale tecnico.
Non è la prima volta che i tecnici vengono snobbati dai giovani leoni di Renzi. Abbiamo scritto qui che appena approdato a Palazzo Chigi, Renzi ha messo più cura nella scelta della cravatta che nel meccanismo per pagare i debiti arretrati della Pa, e tutti i commentatori “tecnici” hanno concordato che si trattava di un marchingegno inutilmente sofisticato, e che non avrebbe fatto arrivare i soldi alle imprese. Il Governo ha scelto la linea del “non ti curar di lor, ma guarda e passa”, e il pagamento dei debiti delle Pa sarà il primo iceberg che attenterà alla chiglia del bastimento di Matteo Renzi nel giorno di San Matteo (21 settembre).
Si scoprirà che i debiti non sono stati pagati, o che quelli che sono stati pagati non sono arrivati alle imprese, e nessuno di noi tecnici sarà in grado di dire una parola a favore del governo. Lo stesso processo si ripropone oggi a proposito degli Eurobond. Comincia il semestre europeo e Graziano Delrio chiede: cosa c’è di pronto? C’è il progetto Prodi-Quadrio Curzio. E lo si adotta senza indugio, come se non ce ne fossero stati altri. E non ci si chiede il motivo per il quale non potrà mai essere accolto dai Partner europei.
A costo di impersonare Cassandra una volta ancora, è il caso di ricordare i punti fondamentali della discussione sugli Eurobond, e dove si colloca il cavallo scelto da Delrio. La proposta originaria degli Eurobond, quella del Rapporto Monti e la cui parte tecnica venne pubblicata su un Bruegel Policy Brief, comprendeva il bastone e la carota. La carota, almeno per i Paesi del Sud Europa, era ovviamente il mettere in comune dei debiti. Ma per gli stessi Paesi la proposta conteneva anche la minaccia di una bastonata. Per rimanere sul semplice, il rimborso degli eurobond che venivano proposti avrebbe avuto la priorità, in caso di crisi finanziaria, rispetto ai titoli tradizionali (Btp e compagnia, per intenderci). Gli eurobond sarebbero quindi stati per definizione a basso rischio, perché sarebbero stati pochi (40 o 60% del Pil) e dotati di un diritto di precedenza sugli altri.
Ora, c’è una sorta di principio dei vasi comunicanti, che fa sì che se il rischio di insolvenza diminuisce sui titoli privilegiati, aumenta sugli altri in modo da lasciare inalterato il rischio sul debito preso nel suo complesso. È semplice: se il rischio complessivo resta lo stesso, e diminuisce per la categoria eurobond, deve aumentare per gli altri, i Btp. Ed ecco il bastone: per il ministero dell’Economia sarebbe stato più costoso emettere nuovi Btp, e sarebbe stato più caro far aumentare il debito. Angelo Baglioni ed io provammo a quantificare l’impatto di questo colpo di bastone nel 2011, prima dell’estate degli intrighi.
Ricordo che quando presentai i risultati a un convegno in Banca d’Italia, l’economista del Ministero presente in sala si disse nettamente contrario a quella proposta di Eurobond, proprio perché imponeva una penalità all’aumento del debito. Va da sè che gli altri soggetti contrari sarebbero state le banche, che si sarebbero trovate una mini-Patrimoniale sul portafoglio di titoli governativi europei.
Questa la proposta originaria degli Eurobond, e questi i motivi per cui, contrariamente a quanto si crede, erano contrari i Paesi del Sud Europa almeno quanto la Germania. Il motivo: paura del bastone. Nacque quindi la proposta Eurobond in versione italiana: gli Eurobond con la carota e senza il bastone. La proposta Prodi-Quadrio Curzio è basata sulla regola del tre. Deposito di 1000 miliardi di euro di garanzie reali per l’emissione di 3000 miliardi di obbligazioni con una cedola del 3%. Una leva di 3 per una cedola del 3. Ma al di là dell’ingegneria finanziaria, che dietro questa regola del 3 non esiste, è sparito il bastone. Anzi, aumentare il debito ora costa meno. Per dirla tutta, la carota spetta solo all’Europa del Sud e il bastone solo ai Paesi “virtuosi”. Se quindi Graziano Delrio insiste con proposte di questo tipo, non fa altro che preparare un secondo iceberg per il bastimento su cui è capitano in seconda.
Quando insieme a Baglioni abbiamo analizzato il problema degli Eurobond, nella versione con carota e bastone, abbiamo trovato qual è il motivo per cui sarebbe auspicabile avere gli Eurobond, e il motivo per cui non li avremo. Il motivo è il calcolo dei benefici e la ripartizione dei costi. Con gli Eurobond, nella loro versione sensata, il surplus primario (entrate fiscali meno spese al netto degli interessi) e il tasso di crescita di Paesi diversi concorrerebbe a garantire la sostenibilità della quota di debito garantita dagli Eurobond stessi. Ma chi pagherebbe il costo dipende dal valore relativo del contributo apportato agli Eurobond, e dal vantaggio ricevuto da ciascun Paese.
Per essere chiari, la Germania contribuirebbe agli Eurobond con un tasso di crescita del Pil più alto della media europea, anche se il surplus primario è stato storicamente debole. L’Italia porterebbe un surplus primario storicamente elevato (tra i migliori dell’area euro), ma talmente elevato da aver tarpato le ali alla crescita. D’altro canto la Germania non avrebbe alcun aggravio nè alcun vantaggio dal progetto di Eurobond. L’Italia avrebbe un vantaggio, in cambio della minaccia del bastone ricordata sopra. Quindi chi dovrebbe garantire questi Eurobond, e quanto? Non la Germania, perché non trarrebbe nessun vantaggio dagli eurobond. Dovrebbe invece pagare l’Italia, se gli Eurobond le servono a mettere in sicurezza una parte del proprio debito. Questi argomenti di buon senso indicano che l’Italia dovrebbe pagare molto di più della Germania. Anche sulla base di queste considerazioni la proposta Prodi-Quadrio Curzio non pare presentabile, visto che prevede che la Germania metta a disposizione garanzie per 270 miliardi contro 180 da Parte dell’Italia.
Ecco il problema aperto, e l’ostacolo alla finalizzazione di un progetto di Eurobond. Chi paga? Chi mette le garanzie? Problema di bassa lega ma cui ancora nessuno ha trovato una soluzione tecnica soddisfacente: neppure Baglioni e il sottoscritto, che concludemmo la nostra analisi con una soluzione cervellotica. E le soluzioni cervellotiche hanno elevata probabilità di essere inefficienti.
E veniamo ora alla proposta di Luigi Zingales, che come vedremo ha gli stessi vantaggi e si ferma di fronte alla stessa domanda: chi paga? Zingales propone un sussidio di disoccupazione europeo, e argomenta che se la Germania opponesse un no a questa proposta getterebbe la maschera e si addosserebbe la responsabilità della crisi dell’euro. Le mosse che conducono a questo scacco matto alla Germania mi sfuggono, e questo non è un buon inizio: se sfuggono a me che mi occupo di finanza ed economia di professione ritengo sia difficile rappresentarle all’opinione pubblica. Ma al di là di questo, i pregi della proposta di Zingales sono gli stessi degli Eurobond.
Mettendo insieme i sussidi di disoccupazione se ne riduce, per via della diversificazione, il costo. Ma a chi dovrà andare questo vantaggio, e in funzione di cosa dovranno essere ripartiti i costi? Il primo principio che mi è venuto in mente, e che opporrei a Zingales se fossi un tedesco, è che il pagamento dovrebbe essere ripartito in funzione della disoccupazione strutturale di un Paese rispetto agli altri. Se questo principio fosse ritenuto sensato, si aprirebbero discussioni infinite. Qualche econometrico proporrebbe una metodologia per ricavare la componente permanente della disoccupazione. Qualcun altro, specialista di cointegrazione, andrebbe a caccia di un trend comune della disoccupazione europea. Poi entrerebbero gli economisti e rivendicherebbero la necessità di un modello strutturale. L’esempio riportato da Marcello Esposito, di una disoccupazione strutturale italiana che non sappiamo se è dell’8% o dell’11%, getta una luce sinistra sull’esito di un dibattito simile. Comunque sia, è chiaro che ci troveremmo in cima a una Torre di Babele peggiore di quella degli Eurobond. E per noi sarebbe anche peggio, poiché nella discussione sugli Eurobond abbiamo qualche disciplina in cui siamo campioni, il surplus primario, mentre sulla disoccupazione siamo un fallimento su tutta la linea.
La proposta di Zingales ha quindi gli stessi limiti della proposta sugli Eurobond, con l’aggravante che non esiste ancora una teoria dello “spread di disoccupazione” tra i Paesi. Ma dietro a questa proposta c’è un principio, e un’esigenza che condividiamo.
È il caso che l’Europa cominci a mettere insieme qualcosa di più delle banche, dei mercati finanziari e delle moneta. L’Europa vuole mettere in comune qualcosa che vada oltre la finanza e che arrivi alla vita degli individui. Su questo concordo e sono anzi più radicale di Zingales: per me l’Europa ha bisogno di mettere in comune qualche cosa che non sia economia. Oltre a rappresentare un rilancio dello spirito di unificazione europea, la condivisione di attività e servizi pubblici implicherebbe il corollario inevitabile di un finanziamento condiviso: un servizio europeo sarebbe finanziato in maniera naturale dagli Eurobond. Per questo, alla fine di questa giostra tecnica su interventi profondi e dirompenti, ci sentiamo di consigliare a Renzi di cominciare dal progetto che ha più volte annunciato: il servizio civile europeo.
Qualche cosa che sia piccolo e lontano mille miglia dalle questioni e dalle liti di politica economica. Gli diranno, e lo facciamo noi per primi, che si tratta di un cavallo di Troia a dondolo. Ma lavorare su questo progetto minore, e sul modo in cui verrà finanziato, consentirà di disporre di un modello o un protocollo essenziale per realizzare l’Europa che vogliamo: l’Europa che condivide un insieme sempre più vasto di servizi pubblici (difesa, istruzione) e che finanzia questo perimetro di attività comune con gli Eurobond.