Sono passati solo otto mesi dalla firma a Trieste di 28 accordi commerciali tra Italia e Russia. L’allora presidente del Consiglio Enrico Letta accoglieva nella città italiana il presidente russo Vladimir Putin. «Abbiamo molti impegni da implementare, gli accordi devono diventare fatti concreti», dichiarava Letta a fine giornata. In quell’occasione si erano radunate molte delle maggiori aziende italiane: Poste italiane e Selex insieme a Poste russe, Mediobanca con Vnesheconombank, Ubi Banca con Transcapital Bank, Sace, il Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. Tra i grandi gruppi dell’energia erano presenti Eni ed Enel, Prysmian nel settore dei cavi per la distribuzione di energia, Fincantieri, Cremonini, Pirelli. E l’istituto italiano di tecnologia con Skolkovo. Tutti pronti a stringere accordi con Mosca. Otto mesi più tardi, dure restrizioni economiche introdotte dall’Unione Europea contro la Russia rischiano di cancellare in breve lo sforzo diplomatico e commerciale fatto in quella occasione. «Le conseguenze delle sanzioni europee per l’economia italiana saranno pesanti», commenta Carolina de Stefano, ricercatrice Ispi. E insieme all’Italia sofriranno anche la Germania, l’Austria e molte delle nazioni europee che con la Russia hanno stretto in passato e progettavano di avviare in futuro importanti collaborazioni economiche.
Ma ripercorriamo la questione dall’inizio.
Quali sanzioni ha introdotto l’Unione Europea
L’Unione Europea ha deciso ieri, 29 luglio, di introdurre nuove sanzioni contro la Russia. Come si legge nel documento diffuso dal Consiglio Europeo, i cittadini e le aziende che appartengono agli Stati dell’Unione non possono più vendere o comprare bond, partecipazioni azionarie e strumenti finanziari simili con una scadenza superiore ai 90 giorni ed emessi dalle maggiori banche di proprietà russa, o da banche di sviluppo, o dalle loro società sussidiarie o chi opera per loro conto. Sono vietati anche i servizi legati all’emanazione di tali strumenti, come le negoziazioni (brokering).
L’Unione Europea ha introdotto anche un embargo sull’import/export di armi e materiali connessi. Bandito anche il commercio da e verso la Russia di beni o tecnologie a doppio utilizzo, sia civile che militare (sono compresi tutti gli articoli presenti sulla lista militare dell’Ue)
Servirà un’autorizzazione delle autorità competenti degli Stati membri per esportare materiali e tecnologie collegate al settore energetico. È proibito il commercio di prodotti destinati alle esplorazioni petrolifere in acque profonde, esplorazioni petrolifere in territorio artico o a progetti di produzione di gas di scisto (shale oil).
Le misure, in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue prevista per il 31 luglio, saranno applicate solo ai nuovi contratti. L’Ue ha previsto anche misure aggiuntive per la Crimea e Sebastopoli, aree ucraine che hanno chiesto l’annessione alla Federazione russa.
Si tratta per la prima volta di vere sanzioni economiche, mentre in precedenza erano state colpite solo singole persone (87 in tutto) e enti (20 in tutto) con divieto di ingresso in Ue e congelamento dei beni (nuovi nomi sono stati aggiunti alla lista il 25 luglio scorso). Secondo il Financial Times si tratta delle sanzioni contro Mosca più dure dalla fine della Guerra Fredda.
Tre ore dopo la decisione dell’Ue, gli Usa hanno introdotto sanzioni contro tre banche russe (Vtb Bank, Bank of Moscow, Russian agricultural bank) e contro un costruttore navale di proprietà statale (lo United shipbuilding corp). Misure che si aggiungono alle restrizioni decise dagli Stati Uniti solo due settimane fa (in questo articolo il quotidiano russo Kommersant fa il nome delle aziende colpite). Nel suo discorso, il presidente Usa Barack Obama ha spiegato che le nuove restrizioni, coordinate con quelle europee «renderanno più difficile per la Russia sviluppare, nel lungo termine, il suo settore petrolifero».
Le sanzioni europee mirano a resringere l’accesso della Russia al mercato europeo dei capitali. Con una dichiarazione rilasciata nella sera del 29 luglio, il Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy e il Presidente della Commissione Europea definiscono le nuove sanzioni «un duro avvertimento». E commentano: «Le annessioni illegali di territorio (quello della Crimea annesso alla Russia, ndr) e la volontaria destabilizzazione di un Paese sovrano vicino non possono essere accettate nel 21esimo secolo.
Soprattutto, aggiungono i due, «quando la violenza genera una spirale fuori controllo e porta alla morte di circa 300 persone innocenti in un volo dall’Olanda alla Malesia, la situazione richiede risposte risolute e immediate».
Le conseguenze economiche sull’Occidente
Le sanzioni economiche introdotte da Bruxelles non colpiranno solo la Russia. Il giorno successivo si misurano già le prime conseguenze. Secondo quanto riferisce Bloomberg, tra le aziende europee che saranno costrette a ridurre il giro d’affari ci sarebbero già Siemens, Bp Plc (British Petroleum) e Renault. La Siemens, con base a Monaco di Baviera, subirà effetti diretti, poiché non potrà più vendere alla Russia l’attrezzatura destinata al settore petrolifero. La Siemens conta 3.100 impiegati in Russia. Tra i suoi clienti ci sono la russa Oao Gazprom e Oao Transneft. Fornisce attrezzatura elettrica alla Oao Lukoil. E ha una joint-venture con la Russian Railways per la costruzione di treni.
La British Petroleum possiede il 19,75% della russa Rosneft. In un report pubblicato ieri, martedì 29 luglio, la Bp dichiarava che «il deterioramento futuro delle relazioni con Rosneft e l’impatto di ulteriori sanzioni economiche avrebbe potuto avere un effetto negativo sul nostro business e sugli obiettivi strategici in Russia, i nostri profitti, produzione, scorte, investimenti nella Rosneft, e reputazione». La Rosneft, ricorda il Kommersant russo, è stata aggiunta alla lista delle sanzioni statunitensi di metà luglio, limitando la sua possibilità di ottenere credito dalla banche Usa.
La compagnia petrolifera francese Total, spiega il Financial Times, aveva già congelato il suo programma di acquisto di azioni della russa Novatek, azienda produttrice di gas di cui la Total possiede il 18 per cento, il giorno in cui il volo MH17, partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur, è stato abbattuto nei cieli dell’Ucraina dell’Est. Le sanzioni Ue hanno ulteriormente spinto la decisione. L’azienda dice non poter ancora prevedere gli effetti delle sanzioni Ue contro Mosca sui suoi profitti.
Altre aziende invece avranno effetti indiretti. La Renault si aspetta una contrazione del 10% sulla vendita di auto in Russia per il 2014. La British Petroleum, che possiede il 20% della russa Oao Rosneff, di proprietà statale, ha avvertito ieri che subirà danni nei profitti e nella produzione. Sempre secondo Bloomberg, il commercio della Germania con Mosca, il primo Paese esportatore in Russia, subirà una contrazione tra il 10 e il 20 per cento (nel 2013 la Germania ha commerciato con la Russia per un valore di 88 miliardi di dollari).
In questo articolo pubblicato su Linkiesta Stefano Grazioli descrive gli stretti intrecci tra i mercati tedesco e russo. Dopo la Cina, la Russia e il secondo mercato mondiale per i tedeschi e i settori dell’energia e delle tecnologie (colpiti dalle sanzioni Ue) sono quelli che maggiormente coinvolgono Berlino. La Germania vende in Russia macchinari e impiantistica (22,9% sul totale nel 2012), automobili e componenti (22,1%), prodotti chimici (14,4%) ed elettronici (7,5%).
Ma le sanzioni statunitensi ed europee avranno un effetto boomerang anche perché la Russia fa affidamento su aziende occidentali per avere la tecnologia e le competenze necessarie a sviluppare il suo settore petrolifero e di estrazione del gas. Tra esse ci sono – spiega Bloomberg – la Exxon Mobil Corp, la già citata British Petroleum, la Halliburton Co. e la Schlumberger Ltd.
Le conseguenze economiche sull’Italia
A rischio, in Italia, è soprattutto il progetto di cooperazione italo-russa culminato nell’incontro tra Letta e Putin lo scorso 28 novembre a Trieste. «In quell’occasione si erano radunate le più grandi aziende italiane tra cui Sace, Eni, Finmeccanica e Unicredit per la parte finanziaria», spiega Carolina de Stefano, ricercatrice Ispi. «E tra i 28 accordi firmati, la maggior parte ancora da avviare, c’era anche la creazione di un fondo di investimento in cui Italia e Russia avrebbero versato 500 milioni di euro a testa». Il rischio probabile, ora, è che quei fondi restino completamente bloccati. Più che le sanzioni di natura finanziaria, sono quelle commerciali a mettere in difficoltà le aziende italiane, fortemente esposte, spiega De Stefano, «nel settore della modernizzazione tecnologica, della difesa e dell’energia».
Un secondo effetto, di medio termine, sarà il disincentivo agli investimenti in Russia a causa dell’interruzione delle attività bancarie. Mentre nel medio-lungo termine, continua De Stefano, ci sarà la probabile interruzione di grossi progetti già avviati dalle major italiane come Fincantieri o Finmeccanica con la Russia per non compromettere la relazione economica e commerciale con gli Stati Uniti. Se le sanzioni sono state emesse dall’Unione Europea, infatti, è impossibile negare che ci sia una «forte pressione da parte degli Usa» affinché l’Ue danneggi la Russia.
Infine, la Russia non mancherà di giocare la sua carta forte. In autunno minaccerà di ridurre le forniture di gas all’Ucraina, spiega De Stefano. E l’Unione Europea sarà chiamata a difenderla.