Nuovi software potrebbero dare alle persone un maggiore controllo sulla condivisione dei loro dati sanitari fra medici e istituzioni mediche — ammesso che un numero sufficiente di enti per l’assistenza sanitaria decidano di implementarli.
Oggi, i dati di un paziente vengono solitamente conservati all’interno di un ospedale o di una clinica privata. A meno che non venga formulata una richiesta speciale per accedere ai vostri dati, nel cui caso il vostro registro medico può essere consultato dal richiedente, rivolgendovi altrove non risulterebbe alcuna informazione utile sulla vostra salute. Molti pazienti preferiscono però che la loro anamnesi non sia accessibile da chiunque, per cui vi è una forte pressione per lo sviluppo di strumenti che permettano di limitarne l’accessibilità. Uno dei problemi principali sta nel fatto che l’oscuramento dei dettagli di una diagnosi non rimuovono necessariamente tutti gli indizi sulla condizione del paziente, come ad esempio i farmaci prescritti o i test da laboratorio.
Un nuovo strumento, sviluppato dagli scienziati informatici dell’Università dell’Illinois, riesce a determinare quali parti di una cartella clinica possono inavvertitamente rivelare aspetti dell’anamnesi di un paziente. Con l’avanzare di proposte di condivisione dati, l’idea è quella di permettere al paziente di decidere quali parti del suo registro mantenere riservate. Un medico riceverebbe quindi da questa tecnologia una serie di consigli utili su come rettificare la cartella clinica.
Il software basa le sue raccomandazioni sull’analisi via machine-learning di diversi altri registri medici. Questo rivela quali dettagli potrebbero essere associati a cose come problemi di salute mentale, abuso di droghe in passato, o la diagnosi di malattie sessualmente trasmissibili quando la cartella viene condivisa con un altro ospedale o medico. Lo strumento potrebbe rimuovere automaticamente questi dettagli addizionali per mantenere le informazioni confidenziali.
John Halamka, professore della Harvard Medical School, CIO del Beth Israel Deaconess Medical Center e presidente della New England Healthcare Exchange Network, dice che il software prometter di colmare questo solco. «Le cartelle cliniche digitali, al momento, non dispongono di alcuna – proprio nessuna – infrastruttura per suddividere le informazioni in parti», dice. «Si accede al registro intero o a niente». Con la riforma del sistema sanitario e diverse iniziative per espandere l’uso delle cartelle cliniche digitali, il traguardo è quello di agevolare la condivisione, migliorare l’assistenza e contenere gli esorbitanti costi dell’assistenza sanitaria.
Ciononostante, al fine di condividere le proprie informazioni, i pazienti devono aderire, ma molti di essi sono preoccupati da un’eccessiva condivisione dei loro dati personali, spiega Carl Gunter, un professore dell’Università dell’Illinois che ha sviluppato la tecnologia come parte del progetto nazionale che co-dirige e che mira a incrementare la sicurezza e la privacy dei dati sanitari. «A meno che non venga dato un certo controllo ai pazienti, nessuno sarà disposto a condividere alcuna», dice. «E questo costerà parecchio all’assistenza sanitaria».
L’unico grande svantaggio è che, dando ai pazienti la possibilità di redigere i propri registri condivisi, i medici potrebbero avere maggiori difficoltà a curarli. Se un paziente, ad esempio, dovesse occultare un particolare farmaco che sta assumendo – e il medico supponesse che la cartella clinica sia integrale – potrebbero essere prescritti nuovi farmaci con potenziali iterazioni negative, dice Halamka. Di fatto, però, in molti casi i medici non dispongono comunque di alcun dato. «In qualità di medico di emergenza, la maggior parte delle volte mi trovo a procedere alla cieca», dice. «Se avessi anche solo qualche dato da cui partire, sarebbe già tutto più semplice».