Il Mediterraneo ribolle. Attorno al grande specchio d’acqua, la situazione è esplosiva, dall’Africa all’Iraq. L’Italia si trova al centro, come sempre, porta d’ingresso per chi parte dalle coste libiche dopo mesi (o forse anni) di viaggio. Secondo il ministero dell’Interno, dall’inizio del 2014 sono arrivati sulle nostre coste quasi 100mila persone e, stando ai dati delle Nazioni Unite, da gennaio ad oggi nel canale di Sicilia sono morte quasi duemila persone. Anche questa volta da Roma si grida all’emergenza e si accusa l’Europa di non fare abbastanza. La posizione è questa: l’operazione Mare Nostrum, di cui il nostro Paese si è fatto carico dal 18 ottobre 2013 (dopo l’ennesima tragedia in cui hanno perso la vita più di 300 persone), non è più sostenibile con le sole forze italiane, l’agenzia europea Frontex deve fare di più. Dopo il tavolo tecnico a Roma del 26 agosto, il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha fissato per il giorno successivo un incontro con il commissario europeo per gli Affari interni Cecilia Malmström, che è anche responsabile per l’Immigrazione, con l’obiettivo di coinvolgere Spagna, Francia, Germania e Malta nell’operazione Mare Nostrum per il controllo del Mediterraneo. Bruxelles, intanto, starebbe lavorando a un rafforzamento dell’agenzia Frontex, ma avverte: «L’Ue non si sostituirà all’Italia». È quello che sostiene anche Paolo Bonetti, professore di Diritto costituzionale all’Università Bicocca di Milano e membro dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi): «La gestione dei flussi migratori deve riguardare gli Stati. Il problema non è l’Europa, ma l’Italia, che continua a sottovalutare l’immigrazione. Le regole europee ci sono e sono chiare».
Professore, si torna a criticare la gestione europea dell’immigrazione e si chiede una maggiore collaborazione da Bruxelles. Cosa dovrebbe fare l’Europa?
Il problema non sono gli altri, il problema è l’Italia e basta. Il nostro Paese ha un problema quarantennale, da quando nel 1974 si è trasformato da Paese di emigrazione a Paese di immigrazione. Non esiste quindi una “emergenza immigrazione”. L’unica emergenza è la perdurante impreparazione dell’Italia davanti a questo inevitabile fenomeno sociale. Il nostro Paese deve fare i conti con la sua storia di migrazioni – è sempre stato il territorio di incontro di popoli lontani e diversi e dal Paese sono emigrati in un secolo 29 milioni di italiani – e deve ricordarsi la sua posizione al centro del Mediterraneo, non sta di certo sul mare del Nord. Il Mediterraneo è da molti anni circondato da situazioni di grave instabilità ed è un mare facilmente navigabile. Sembra che ci accorgiamo solo ora che i nostri vicini sono soggetti ai flussi migratori. Bisogna stanziare soldi, come già hanno fatto gli altri Paesi europei. Ci dobbiamo attrezzare per avere 200mila posti per l’accoglienza, non 13mila. E invece sottovalutiamo sistematicamente l’immigrazione. Non ci possiamo solo attrezzare con le navi della Marina Militare per soccorrere le persone in mare. Dobbiamo affrontare il problema in modo più completo e pensare all’accoglienza, come prevedono le regole europee.
Cosa significa sottovalutare l’immigrazione?
Facciamo un esempio: per l’anno scolastico ci sono 2 milioni di studenti, ma io preparo solo 500mila posti nelle aule. Se ogni anno il numero degli studenti è quattro volte superiore alle mie aspettative, il problema non sono gli studenti né l’Unione europea, il problema sono io che sbaglio le previsioni e non voglio adeguarmi alla realtà sociale, ma pretendo che la realtà sociale si adegui alle mie ottusità o inefficienze. È una questione politica: nel momento in cui si decide quanto stanziare per l’immigrazione si prende una decisione politica. Gli altri Paesi si preoccupano delle loro frontiere. Davanti a picchi anche di 450mila richiedenti asilo, la Germania si è attrezzata. Stessa cosa ha fatto la Francia. Cioè hanno previsto nei loro bilanci cifre maggiori per l’accoglienza dei richiedenti asilo. Noi invece abbiamo 8mila chilometri di coste sul mare più navigabile che esiste e non ci siamo preparati, e andiamo in giro a dire che la colpa è degli altri. Cambiano i ministri, passano gli anni. E l’Italia dice sempre di essere in crisi con l’immigrazione. Siamo ancora qui a pensare cosa dobbiamo fare. È vero che la situazione intorno è gravissima. Ha detto bene il Papa quando ha parlato di terza guerra mondiale. Ma non basta urlare “cattivo” al cielo sperando che smetta di piovere, come fece Maroni con i respingimenti di massa che, come ha dichiarato la Corte europea dei diritti dell’uomo, violavano le norme internazionali che vietano il respingimento dei migranti che potrebbero chiedere asilo e l’espulsione di massa di stranieri senza valutare una a una le situazioni. Il rischio è che non avendo aperto un ombrello, cioè essendosi ostinati i poteri pubblici italiani a sottovalutare i nuovi flussi migratori e a non prepararsi credendo che siano momentanei e non strutturali, anziché la pioggia ci becchiamo proprio il diluvio.
Molti di quelli che arrivano via mare, poi, sono persone che fuggono da guerre e persecuzioni e che chiedono asilo. Alfano ha suggerito di cambiare la Convenzione di Dublino per permettere ai migranti di passare dall’Italia senza doversi per forza fermare qui. È possibile una cosa del genere?
Per modificare il regolamento Dublino III sui criteri di determinazione dello Stato competente a esaminare le domande di asilo, manca del tutto la volontà degli altri Stati membri e del resto l’Italia stessa l’aveva approvato soltanto qualche mese fa. Se ne può parlare, ma occorre immedesimarsi in ognuno degli Stati membri e perciò un’eventuale modifica è senz’altro molto futura e molto incerta. Occorre invece applicare subito anzitutto la Costituzione italiana che all’articolo 10 stabilisce il diritto d’asilo in Italia allo straniero al quale nel suo Paese non è garantito l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione. Questo è stato scritto dai costituenti, molti dei quali a loro volta erano stati migranti e molti asilanti durante il fascismo o durante la guerra. Questa norma fondamentale è in vigore dal 1 gennaio 1948, ma ogni volta sembra che ce lo dimentichiamo. Perciò prima di parlare delle responsabilità degli altri, l’Italia ha l’obbligo costituzionale di dare asilo. Da uno o due anni finalmente anche i poteri pubblici hanno la consapevolezza che gran parte delle persone che arriva via mare è costituita da richiedenti asilo. Si parla del 70% sul totale dei flussi migratori. Prima si veniva a dire che erano tutti clandestini, ma anche allora moltissimi avevano diritto a ottenere il diritto di asilo.
Il problema non è l’Europa, il problema è l’Italia e basta
La Convenzione di Dublino sul diritto d’asilo è stata firmata il 15 giugno del 1990. Erano gli anni in cui la Germania riceveva un numero gigantesco di richieste di asilo, mentre i regimi sovietici si sgretolavano. La logica tedesca era questa: noi ce la facciamo ad accogliere tutti quelli che allora arrivavano in Germania dall’Est Europa (anche 450mila l’anno) se almeno altri Stati si fanno carico di quelli che arrivano da altrove. La frontiera esterna dell’Ue allora era la Germania. Ora abbiamo il Trattato di Lisbona che prevede molte politiche uniche europee in materia d’asilo e siamo arrivati al regolamento Dublino III, che stabilisce il principio generale per cui spetta allo Stato dell’Ue di primo ingresso la responsabilità di esaminare la domanda di asilo e dell’accoglienza del richiedente asilo e si stabiliscono altri criteri per determinare lo Stato competente. La convenzione del 1990 è stata cambiata tre volte e sempre con voto favorevole dell’Italia sia nelle Commissioni parlamentari sia al Parlamento europeo. E ora Alfano dice che vuole cambiarla. Il ministro dell’Interno chiede alla Ue di fare qualcosa in più, quando è lui stesso che non vuole applicare le norme europee non identificando le persone che passano per l’Italia, cosa che sta già accadendo con i siriani.
Mi spiego meglio. Lo Stato membro nel quale quella persona è entrata per la prima volta in modo irregolare è responsabile per 12 mesi di esaminare la sua domanda di asilo, ma nel caso in cui il richiedente abbia soggiornato per almeno 5 mesi in più di un altro Stato membro, è competente quello in cui si trovava negli ultimi 5 mesi. Perciò ci sono casi di persone che si nascondono per 5 mesi in Germania o in Francia o in Svezia per non essere identificati fino a quando possano chiedere asilo in quel Paese anche se sono entrati da altro Stato membro. In questo l’Italia ha tutto l’interesse a non prendere subito le impronte. Tuttaviail regolamento Dublino III è stato votato anche dall’Italia anche per evitare che il richiedente asilo vada a cercarsi lo Stato più favorevole. Intendiamoci bene: in base alla legge italiana e alle norme internazionali non è espellibile comunque uno straniero entrato irregolarmente se proviene da uno Stato in cui è in atto un conflitto o una persecuzione e anzi anche se non chiede asilo in Italia avrebbe comunque diritto a un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma nessuno può costringerlo a chiedere il permesso di soggiorno in Italia. Tuttavia in base all’art. 5 del regolamento recante Codice frontiere Schengen questo ingresso per motivi umanitari, consentito in Italia in deroga ai requisiti generali per gli ingressi dovrebbe essere segnalato agli altri Stati membri e dovrebbe valere soltanto per l’ingresso e il soggiorno in Italia. Perciò non identificarli e lasciarli andare informalmente in altri Stati Ue significa non rispettare le norme Ue sui controlli alle frontiere. Il problema è nazionale, le norme dell’Ue sul diritto di asilo ci sono da molti anni (tre direttive sul riconoscimento della protezione internazionale, sulle procedure di esame delle domande di asilo e sull’accoglienza dei richiedenti asilo e due regolamenti sulla determinazione dello Stato competente ad esaminare le domande di asilo e su Eurodac, il sistema europeo di gestione delle impronte digitali dei richiedenti asilo) e sono chiare. È l’Italia che di fatto non vuole fondo in fondo applicarle in modo da essere attrezzata per i flussi di nuovi richiedenti asilo.
Ma perché molti dei richiedenti asilo non vogliono fermarsi in Italia?
I richiedenti asilo non vogliono fermarsi in Italia soprattutto perché l’Italia non rispetta la direttiva europea sull’accoglienza, in termini di alloggio e assistenza per i richiedenti asilo. È chiaro che se l’Italia non si attrezza con strutture idonee che assicurino una dignitosa accoglienza qualsiasi persona vorrebbe andare altrove. Il problema è la sottostima dei numeri. Per attuare la direttiva UE sull’accoglienza l’Italia ha istituito lo Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che è un’ottima cosa: centri di accoglienza con standard comuni e numeri umani, che alloggiano, orientano, forniscono assistenza per le domande di asilo, per la lingua italiana, per la formazione professionale e lavorativa. La rete dei centri Sprar è finanziata dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo gestito dal ministero dell’Interno che assegna i contributi per gli enti locali che presentano progetti di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati. Tale fondo è alimentato sia con stanziamenti nell’ambito del bilancio dello Stato, sia con contributi erogati dal Fondo europeo per i rifugiati. Quindi abbiamo sia i contributi europei (26,4 milioni per il 2013, di cui quasi 19 milioni di quota comunitaria, ndr) sia i soldi messi a bilancio dallo Stato con una quota fissata con decreto del ministero dell’Interno che ogni anno fa una stima di quanti possano essere gli asilanti. Il punto è che se il Ministero dell’interno stima, o meglio sottostima, che ne arrivano16mila (così si è deciso nel settembre 2013) e poi invece già nel 2013 le domande di asilo sono state 23.000 e nei primi 8 mesi del 2014 ne sono arrivati altri 100mila, si crea l’emergenza. Tutto si fonda su una scelta politica in realtà, in cui si dice “fin qui io stanzio i soldi, dopo no”. Come dire: se per caso ne arriveranno altri si arrangeranno o vedremo lì per lì. Ma è questa sottostima la radice della non accoglienza, che spinge migliaia di persone ad accamparsi in strada nelle città o a fuggire altrove. Inoltre in Italia avevamo solo dieci commissioni per l’esame delle domande di asilo il che allunga inutilmente la durata dell’esame di ogni domanda di asilo: solo pochi giorni fa con un decreto legge ne sono state istituite 50 (20 commissioni più 30 eventuali sezioni aggiuntive) e il Fondo nazionaleper le politiche e i servizi dell’asilo è stato aumentato.
Ma in una situazione di gravità come quella attuale, non si potrebbe prendere una decisione straordinaria?
Esiste in realtà un’altra direttiva europea, la 55 del 2001, che prevede la cosiddetta protezione temporanea di un anno in caso di afflusso massiccio di sfollati nell’Unione. È una direttiva che non è stata mai applicata da quando è stata approvata. Presuppone che il Consiglio europeo debba decidere di applicarla, cosa che non è mai stata fatta finora. Perché oggi non si sente parlare di questa direttiva? Perché se viene attivata, gli Stati membri devono cooperare nella gestione di masse di persone, anche prendendosi in carico quote di sfollati, così aiutando i Paesi di primo arrivo come l’Italia. Il problema è che in questo momento la geografia delle crisi e degli esodi di massa è spaventosa. Chi aiutiamo per prima? Quelli che scappano dalla Libia? Dall’Iraq? Dalla Siria? E poi si potrebbe creare il caso per cui la Turchia, che ha 1,5 milioni di profughi siriani, potrebbe decidere di mandarli in Bulgaria o Grecia. Il Consiglio europeo potrebbe attuare la direttiva domani, perché c’è una crisi gigantesca in corso. Quello che si sta cercando di fare coinvolgendo anche altri Paesi europei nell’operazione Mare Nostrum di fatto è attuare una forma di protezione temporanea senza dirlo. Ciascuno Stato, con le proprie navi, per dirla brutalmente si porta a casa sua quello che tira su. Ma può essere questo un criterio? Il punto è che nessuno vuole ammettere che serve un intervento internazionale in Libia. Si potrà pure avere un aiuto nel pattugliamento delle coste, ma per far fuori gli scafisti che partono dalle coste libiche l’unica cosa è un intervento militare in Libia. Non auspico certo un intervento militare in Libia, ma chi oggi davvero voglia portare subito in salvo le centinaia di migliaia di migranti che stanno in Libia allora dovrebbe avere l’onestà intellettuale di affermare che oggi si dovrebbe organizzare un gigantesco intervento militare multinazionale, poiché il Paese è in fiamme e c’è una guerra civile che non risparmia civili e strutture aereoportuali e portuali.
Gli immigrati non vogliono fermarsi in Italia perché l’Italia non rispetta la direttiva europea sull’accoglienza
Serve un’azione maggiore da parte dell’agenzia europea Frontex come si dice da più parti?
Frontex è un’agenzia creata a supporto delle politiche dell’immigrazione per fornire aiuto agli Stati membri. Ogni Stato controlla le frontiere per conto dell’Unione e ognuno lo fa a sue spese. Ma ci sono Paesi più soggetti ai flussi migratori, come l’Italia, e per questo l’Ue ha creato Frontex. Il suo compito è il controllo delle frontiere dal mar Glaciale artico scendendo giù fino alle isole greche, Malta, Spagna, Marocco, e anche le frontiere aeree. Ma il budget di cui dispone (89 milioni per il 2014, ndr) è addirittura inferiore al costo che l’Italia da un anno sostiene per Mare Nostrum, e il bilancio è deficitario. La maggioranza dei governi degli Stati membri non vuole aumentare il budget da destinare per Frontex e questo chiaramente ricade su Paesi come Italia, Malta, Grecia, che sono al centro del Mediterraneo. La Commissione può chiedere agli Stati membri di fare la loro parte, ma la responsabilità resta dei singoli Stati membri. Quando il ministro dell’Interno italiano di turno dice: “Andremo a Bruxelles e ci faremo sentire” poi arriva a Bruxelles e fa sempre una figuraccia. Infatti di fronte alla richiesta italiana di condividere i flussi dei richiedenti asilo ogni volta il rappresentante della Germania dice: “Va bene la condivisione: la Germania da sola prende 160mila richiedenti asilo l’anno e poiché l’Italia ne prende sempre molti di meno quanti dei richiedenti asilo finora accolti dalla Germania vorrebbe prendere in più l’Italia?”.E così il ministro italiano di turno dopo quella riunione non ne parla più.
È vero: l’Italia accoglie molti meno richiedenti asilo di quanto faccia credere (nel 2012 l’Italia ha risposto a 15mila richieste di asilo a fronte delle oltre 77mila tedesche, ndr) e non ha predisposto le attrezzature adatte per l’accoglienza effettiva del numero di richiedenti asilo (basterebbe prevedere che il numero di posti di accoglienza dello Sprar sia non inferiore al numero medio delle richieste di asilo degli ultimi tre anni). Gli altri invece si sono attrezzati (la sola eccezione è la Grecia, la cui crisi economica complessiva ha travolto anche l’attuazione delle norme Ue in materia di immigrazione e asilo).Tuttavia occorre evidenziare il coraggio del governo italiano che dopo migliaia di morti in mare attivando l’operazione Mare nostrum ha salvato centomila persona dal naufragio. La futura e incerta operazione Frontex plus – di cui non sappiamo quasi nulla – partirà forse soltanto a novembre e avrà il contributo soltanto di alcuni altri Stati (per ora soltanto la Francia ha risposto), ma appare fin da subito assai ambigua, perché sembra mirata non tanto all’accoglienza e al salvataggio delle persone in pericolo in mare quanto al controllo del mare territoriale e basta (anche perché si vorrebbero rinegoziare gli accordi di riammissione tra l’Ue e gli altri Stati nordafricani) e ciò potrebbe comportare un arretramento dell’intervento alle acque territoriali perché così significherebbe fare riesplodere le morti nel mare, fingendo che non vi siano migranti in pericolo di vita e che devono essere salvati come impongono anche le convenzioni internazionali sul diritto del mare. Già le missioni Frontex al confine greco sono segnate da centinaia di morti.
Ci sono però anche persone che attraversano il nostro Paese ma hanno come obiettivo un altro Stato perché lì vivono già altri parenti.
In questo caso, secondo il regolamento di Dublino, queste persone devono poter andare nel Paese dove vivono già gli altri parenti. Se arriva una famiglia siriana e dice che vuole andare in Germania perché lì ci sono i parenti, l’Italia deve interpellare la Germania che deve rispondere entro 45 giorni. La domanda da porsi è: perché non 45 minuti? Questi tempi sono troppo lunghi. Se tali tempi fossero accorciati, l’Italia non dovrebbe occuparsi anche dell’accoglienza di costoro. Ecco, in questo la Commissione europea deve migliorare e velocizzare le procedure. Anche perché il 90% dei richiedenti asilo che entrano in Europa passano dall’Italia. La domanda che ci si può porre è: perché per andare a chiedere asilo non posso prendere, anche dal mio Paese, un aereo e arrivare direttamente all’aeroporto di Amburgo? Perché nei regolamenti dell’Ue sta scritto che serve un visto, un motivo di soggiorno e dei mezzi di sostentamento per entrare nell’area Schengen.
Quindi non c’è alternativa alla traversata in mare in cui si rischia la vita?
Un’alternativa ci sarebbe, anche se pure questa difficilmente applicabile. All’articolo 5 del regolamento Ue recante il Codice delle frontiere Schengen, è previsto l’ingresso per motivi umanitari. Ogni Stato membro, se vuole, può derogare per motivi umanitari ai requisiti generali prescritti per l’ingresso di tutti i cittadini extracomunitari, ma in tal caso l’ingresso è valido solo per questo Stato e non anche per gli altri Stati dell’Ue. Quindi il siriano può chiedere la possibilità di entrare in Germania direttamente al consolato tedesco di Damasco. Ma sono i singoli Stati che devono prendere questa decisione. È quello che sta facendo ora la Francia, concedendo l’ingresso ai cristiani dell’Iraq. Altrettanto ha fatto la Germania con 10.000 siriani. Questo è possibile, ma sono gli Stati che devono deciderlo. Le alternative alla traversata in mare esistono già, quindi, e sono la protezione temporanea e l’ingresso per motivi umanitari. È chiaro che dipendono da una forte discrezionalità politica dei singoli Stati e in questo momento, soprattutto nel caso della protezione temporanea, sono difficili da applicare. Che facciamo? Spostiamo tutti i siriani o gli iracheni in Francia o Germania? Così rischiamo di favorire i disegni liberticidi degli estremisti. E poi da chi cominciamo? Sono oltre 3 milioni i siriani fuggiti dalla Siria. Ci sono 1,5 milioni di profughi siriani in Turchia e altrettanti in Libano. Si pensi anche alla Libia: di fronte allo scoppio della guerra civile, gli stessi 3 milioni di libici sono in pericolo e potrebbero fuggire e chiedere asilo. È davvero sostenibile, praticabile e lungimirante il trasferimento immediato di milioni di persone dalle zone di guerra a Paesi di asilo? Ci vuole la politica estera: l’asilo è l’estremo rimedio al fallimento della tutela dei diritti umani, della prevenzione dei conflitti e della politica estera.
C’è chi, poi, come la presidente della Camera Laura Boldrini, propone un ufficio dell’Unhcr nei Paesi di transito come la Libia in cui chiedere l’asilo di modo da evitare la traversata in mare.
Sono proposte irrealistiche e anche pericolose per il diritto di asilo. Come si fa a fare un punto di asilo a Tripoli o Damasco in cui si stampano visti per entrare nei vari Paesi? Questo significa che a Tripoli, tra il caos e la guerra dovrebbe esistere un’oasi non toccata dal conflitto a cui potrebbero accedere subito centinaia di migliaia di persone senza che nessuno glielo impedisca o senza che nessuno faccia loro del male. Un misterioso punto in cui si stampano visti con misteriosi funzionari. E questo anche in Iraq, un punto in cui l’Isis non metta piede. Né vi sono garanzie adeguate che si possano esaminare in modo imparziale e sereno le domande di asilo al di fuori del Paese, con un’adeguata difesa: il rischio sarebbe quello di esaminare in modo sommario e frettoloso domande di asilo respingendo in anticipo molte di quelle che invece in Europa sarebbero accolte, lasciando così i migranti alla mercé dei conflitti o dei persecutori. È evidente che non stiamo parlando di nulla! Non esistono soluzioni semplici, immediate ed efficaci nell’attuale situazione generale così complessa, in cui gli scenari di esodi di massa sono molti e molto gravi e in cui per la prima volta il numero di richiedenti asilo nel mondo ha superato quelli del 1945.