Vita dura per i consiglieri regionali del Lazio. Dopo gli scandali della scorsa legislatura, le polemiche su Batman Fiorito e le relative riduzioni alle disponibilità economiche della Pisana, all’orizzonte si prospetta un’altra sforbiciata. Una spending review estiva. Tanto incisiva quanto inattesa. La decisione di limare ulteriormente gli stipendi è contenuta nella riforma costituzionale all’esame del Senato. Un piccolo articolo che – come raccontava stamattina il Corriere della Sera nella sua edizione romana – rischia di avere effetti tutt’altro che marginali. Specie per il portafoglio di tanti eletti sul territorio.
Il ministro Maria Elena Boschi l’ha inserito in mezzo al disegno di legge, all’articolo 29. «All’articolo 122, primo comma, della Costituzione – si legge – sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “E i relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione”». Nella Capitale c’è aria di terremoto. L’articolo 122 della Carta si occupa infatti dei consiglieri regionali. E nella versione rivista dal governo ne vincola gli stipendi a quelli del sindaco del capoluogo.
Eppure a Roma lo stipendio dell’inquilino del Campidoglio non è particolarmente faraonico (almeno se paragonato ad altri importanti incarichi istituzionali). Tanto che a inizio legislatura Ignazio Marino si era persino lamentato della sua busta paga. In città aveva fatto scalpore un’intervista al Venerdì, in cui il sindaco puntava il dito contro i 4.500 euro al mese. Troppo pochi per chi, oltre a lavorare 15 ore al giorno, amministra «bilanci miliardari e responsabilità enormi». In realtà il calcolo di Marino era sbagliato. I circa 9.700 euro lordi che il successore di Gianni Alemanno riceve mensilmente equivalgono a un netto di 5.800 euro. Non solo. A questo stipendio va anche sottratta la percentuale a cui pochi mesi fa – con intervento non dovuto e molto apprezzato – il sindaco ha deciso di rinunciare. Il dieci per cento circa, che oggi porta la sua busta paga a 5.300 euro netti al mese, come conferma al telefono la segreteria di Marino.
Se la riforma della Costituzione sarà approvata senza modifiche, la cifra indicherà anche il tetto massimo degli emolumenti per i consiglieri regionali del Lazio. Senza entrare nel dettaglio, una sforbiciata alle buste paga sembra inevitabile. Oggi i consiglieri regionali ricevono circa 7.500 euro al mese. Così stabilisce la legge regionale n.4 del 2013. A un’indennità di carica pari a 7.600 euro lordi – il presidente della Regione e il presidente del Consiglio regionale hanno un’ulteriore indennità di funzione di 2.700 euro – si aggiungono 3.500 euro di rimborso spese «per l’esercizio del mandato». In totale si tratta di almeno 2mila euro al mese in più rispetto allo stipendio di Ignazio Marino.
Decurtazioni virtuali, sia chiaro. Prima di tutto perché il disegno di legge costituzionale deve ancora vedere la luce. E chissà che da qui alla definitiva approvazione – mancano ancora quattro letture parlamentari – qualcuno non riesca a introdurre qualche piccola modifica. Magari proprio all’articolo in questione. Ma soprattutto perché i consiglieri regionali potrebbero facilmente aggirare l’ostacolo. A sollevare qualche dubbio è il gruppo regionale dei Cinque Stelle. I consiglieri grillini di stipendi se ne intendono: come i loro colleghi parlamentari restituiscono mensilmente una parte della busta paga. Sul sito internet un contatore aggiorna in tempo reale la cifra già resa dai sette M5S eletti alla Pisana (siamo poco meno di 500mila euro).
Sono proprio i pentastellati a fare luce sul piccolo escamotage che potrebbe rendere vana la sforbiciata. «Probabilmente – racconta il capogruppo Silvana Denicolò – il rimborso forfettario di 3.500 euro mensili non sarà conteggiato nel calcolo degli emolumenti». Si tratta di una somma accessoria, netta, ricevuta mensilmente dai consiglieri regionali senza alcuna necessità di rendicontare le spese realmente sostenute. «E come tale – spiega la grillina – non viene considerata nella retribuzione». Lo stipendio dei consiglieri scende così a 7.600 euro lordi. E la spending review è scampata.