La pesca selvaggia delle ricciole nell’isola di Linosa

La pesca selvaggia delle ricciole nell’isola di Linosa

LINOSA – Una storia che è l’emblema di una regione, la Sicilia, e di un Paese, l’Italia, pronti a mobilitarsi per i grandi ideali, ma totalmente incapaci di rispettare e salvaguardare le proprie risorse e, soprattutto, di far rispettare le regole del diritto. Con i problemi che abbiamo di fronte, viene da dire, che cosa sono 3 tre tonnellate di ricciole? Un’inezia, ma il cui peso in termini di cultura e rispetto delle regole vale ben di più.

Il peschereccio si è avvicinato alle prime luci dell’alba passando inosservato e, scivolando lentamente nelle acque oscure di punta Mannarazza, lato nord ovest dell’isola di Linosa, si è diretto verso un tratto di mare situato a meno di 500 metri dalla costa, poco prima di punta Calcarella, estremo promontorio rivolto verso le coste africane. Qui si è consumato, come da anni avviene nell’indifferenza delle autorità di controllo, lo scempio di centinaia di ricciole. Alle 19 del pomeriggio, il moto peschereccio Graziella è ripartito per Lampedusa con circa 3mila chili di pesce, destinati in buona misura ai mercati del nord Italia e alle ricche industrie di inscatolazione.

Sono state calate reti di profondità, con la tecnica della pesca per circuizione e le ricciole, esemplari dai 10 fino ai 45 chili, molte delle quali in periodo riproduttivo, nuotavano a pochi metri dalla superficie per riscaldare le uova prima di depositarle. Esemplari di 3 fino a 15 anni di vita sono finite in trappola. Nessuno scampo, una cattura senza selezione, che ha distrutto generazioni di pesce.

Una tecnica di pesca, quella utilizzata, che si applica in scenari diversi per catturare pesce azzurro in quantità e sempre nel rispetto di norme chiare che dovrebbero tutelare le specie più a rischio e, soprattutto, un ecosistema in perfetto equilibrio. Eppure, codice alla mano, le regole sarebbero chiare, ma nel territorio di mare che circonda la più piccola isola pelagica, sembrano perdersi tra le onde.

Per avere un quadro della disciplina basta telefonare alla capitaneria di porto di Lampedusa, solerte nel fornire informazioni su “Mare Nostrum”, ma impacciata se si chiedono dati sulle regole. «La pesca per circuizione è permessa ma deve essere effettuata ad almeno 500 metri dalla costa e a una profondità di oltre 50 metri. Pena per chi sgarra, una multa di 4mila euro», ci spiega al telefono un impacciato militare delegato dal Comandante a parlarci. Controlli ne vengono effettuati? «Certo come in molti altri generi di pesca», si appresta a spiegare il graduato.

Ebbene, requisiti, questi, totalmente disattesi nella mattanza di punta Calcarella a Linosa, dove le reti sono state calate in un punto che si alza fino a 30 metri di profondità, lo scoglio di Pietro Tuccio. Con buona pace della protezione dei pesci. Eppure, parlando con i pochi linosani che vivono di pesca per gran parte dell’anno, compresi i mesi invernali quando il vento e le onde rendono ancora più infernale il panorama, la storia della pesca intensiva e fuori norma delle ricciole è uno scandalo che ha creato gravi danni al sistema marino. 

«In 10 anni di pratica di questa pesca intensiva con tecniche sotto costa è stato distrutto un sistema che costituiva un unicum italiano in tutto il Mediterraneo», ci racconta un pescatore che fa traina nel rispetto delle regole. I pescherecci che vengono sotto costa a pescare così le ricciole danneggiano anche le famiglie che di questo pesce fanno una delle risorse più importanti della loro economia.

Linosa in effetti vive di poche settimane di turismo all’anno e degli affitti di appartamenti di quella che  con il tempo è divenuta il paradiso di sub e amanti del mare estremo. Quattro anni fa l’isola, per sua fortuna fuori dalla rotta degli scafisti che tendono e farsi accogliere dai lampedusani, visse la sua inebriante stagione di gloria quando Crialese vi ambientò il film Terra ferma, storia sul dramma dell’immigrazione dall’Africa. Il film, però, è stato un mezzo flop, e l’agognato effetto traino per il turismo sull’isola non c’è stato.

Ora, con gli effetti della crisi, resta il solo baluardo dei turisti che amano davvero l’isola, ma gli scempi come quello della pesca delle ricciole possono infliggere un colpo mortale al futuro di Linosa. Tuttavia, ascoltando i discorsi al bar del porto davanti a un ottimo caffè, viene fuori l’altra faccia della medaglia. Chi avverte i pescherecci della presenza dei branchi di ricciole intorno a Linosa? Nessuno fa nomi, ma è chiaro che c’è qualcuno che avvisa le barche lampedusane della presenza di banchi di ricciole. Per queste soffiate riceverebbero una mancia sul pescato di tre pesci, del valore di meno di 500 euro. Questo vale il danno arrecato all’isola e alle famiglie che vi vivono? Evidentemente nella peggior cultura dell’isola sì.

Che fare per fermare lo scempio? Gli amanti veri dell’isola hanno cercato sponde tanto nell’amministrazione locale, totalmente assente, quanto negli amici politici. Quel che è certo è che a pochi mesi da Expo, non a caso dedicato a “Nutrire il pianeta, Energia perla vita”, l’Italia e il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina, non intervengono su questo dramma. Tuteliamo i tonni, ed è giusto, proteggiamo i pesci spada, ed è sacrosanto. Ma che dobbiamo aspettare per proteggere anche le ricciole? Sono forse pesci di un Dio minore?

X