Le sponde del Sacramento

Le sponde del Sacramento

Il racconto di Jack London Le sponde del Sacramento (orig. The Banks of Sacramento) è il quarto racconto della raccolta Dutch Courage & Other Stories, pubblicata postuma nel 1922 da MacMillian.

«And it’s blow, ye winds, heigh-ho,
For Cal-i-for-ni-o;
For there’s plenty of gold so I’ve been told,
On the banks of the Sacramento!»

Era soltanto un ragazzino, e cantava con voce stridula il canto che i marinai intonano per il vasto mondo ogni volta che azionano il cabestano e liberano l’ancora in direzione del porto di San Francisco. Era soltanto un ragazzo, e non aveva mai visto il mare, ma a poche decine di metri da lui scorreva il Sacramento. Lo chiamavano il Giovane Jerry, visto che il Vecchio Jerry era suo padre. L’aveva imparata da lui quella canzone, così come da lui aveva preso i suoi fantastici capelli rossi, i suoi occhi blu, guizzanti, e la sua pelle pallida e inevitabilmente lentigginosa.

Il Vecchio Jerry era stato un marinaio, aveva solcato i mari per metà della sua vita, per questo gli tornava in mente spesso quel canto ipnotico. Un giorno, in un porto asiatico, aveva intonato quel canto con il cuore, barcollando e ansimando intorno all’argano insieme ad altri venti. Poi, arrivato a San Francisco, volse le spalle alla sua nave e al mare, e andò a osservare con i suoi occhi le rive del Sacramento.

Cercò anche l’oro. Fu per questo che trovò lavoro alle miniere Yellow Dream, dove dimostrò la sua estrema utilità nel manovrare i grandi cavi per i minerali lungo il fiume, a una sessantina di metri di distanza dalla superficie dell’acqua.

Dopo essersi occupato dei cavi e della loro manutenzione, dopo averli manovrati e avergli voluto bene, divenne lui stesso un ingranaggio indispensabile delle miniere Yellow Dream. Poi si innamorò della bella Margaret Keey, ma lei lasciò lui e il piccolo Jerry ― quest’ultimo sgambettava appena ― per concedersi il suo ultimo e infinito riposo in un piccolo cimitero, tra cupi e immensi pini.

Il vecchio Jerry non tornò mai al mare. Rimase con i suoi cavi, e dedicò a loro e al piccolo Jerry tutto l’amore di cui era dotato. Quando per le miniere Yellow Dream arrivarono tempi magri lui restò alle dipendenza della compagnia come guardiano di quella proprietà praticamente abbandonata.

Ma quel giorno non c’era. C’era solo il Giovane Jerry, che sedeva sul gradino della casetta, intonando l’antico canto. Si era preparato la colazione da solo, aveva mangiato ed era uscito semplicemente per dare un’occhiata in giro. A una ventina di metri da lui c’era il pilone di metallo su cui si attorcigliava il cavo senza fine. Vicino al pilone, sottile e veloce, c’era il carrello per i minerali. Seguendo con lo sguardo il volo vertiginoso del cavo verso l’altra sponda poteva vedere l’altro pilone e l’altro carrello.

Il macchinario, per funzionare, sfruttava la forza di gravità, il carrello pieno attraversava il fiume in virtù del suo stesso peso, e, nello stesso momento, riportava indietro il carrello vuoto. Poi, quello pieno veniva svuotato, quello vuoto riempito di un altro carico di minerale e il procedimento continuava. Un procedimento che era stato ripetuto decine di migliaia di volte dal giorno in cui il Vecchio Jerry era diventato il responsabile dei cavi.

Il Giovane Jerry interruppe il suo canto al suono di passi che si avvicinavano. Un uomo alto, con una casacca azzurra e un fucile appoggiato all’incavo del braccio, uscì dall’oscurità della pineta. Era Hall, guardiano della miniera Yellow Dragon, il cui cavo trasportatore tagliava il Sacramento un miglio più a monte.

«Hey, piccoletto!», fu il suo saluto, «Cosa ci fai qua tutto solo?»

«Oh, vecchio», fece Jerry provando a rispondere con indifferenza, come se fosse la cosa più normale del mondo. «Mio padre è via, come vedi».

«E dove è andato?», gli chiese l’uomo.

«A San Francisco. È partito ieri notte. È morto suo fratello al paese, ed è andato a parlare con gli avvocati. Non tornerà fino a domani sera».

Disse così Jerry, con l’orgoglio datogli dalla responsabilità del tenere d’occhio la proprietà della Yellow Dream, che era ricaduta su di lui, e insieme dalla gloriosa avventura di vivere da solo sulla parete che scendeva verso il fiume e del prepararsi da solo da mangiare.

«Bene, stai attento allora» disse Hall, «e non fare la scimmia sui cavi, io sto andando a vedere se riesco a prendere un cervo giù al Cripple Cow».

«Mi sa che viene a piovere», disse Jerry dopo averci riflettuto con piglio da adulto.

«Penso che sarà poca cosa, al massimo una pisciatina». Hall rise mentre imboccava il sentiero della pineta.

La previsione di Jerry rispetto alla pioggia si realizzò eccome. Prima delle dieci i pini oscillavano e muggivano, le finestre della casetta tremavano, e la pioggia si tramutò in una tempesta. Alle undici e mezza fece un fuoco e al tocco della mezza si sedette prontamente a mangiare.

Niente uscita per lui quel giorno, così decise una volta aver lavato i pochi piatti e averli messi via ordinatamente. Chissà quanto si era bagnato Hall, e chissà se era riuscito a catturare un capriolo.

All’una in punto sentì bussare alla porta. Quando aprì si trovò di fronte un uomo e una donna, nel pieno di una fortissima raffica di vento. Erano il signor Spillane e sua moglie, degli allevatori che vivevano in una valle solitaria a una dozzina di miglia a monte del fiume.

«Dov’è Hall?» esordì Spillane, continuando a parlare velocemente e bruscamente.

Jerry si avvide del fatto che fosse moto nervoso e brusco nei movimenti, mentre la signora Spillane sembrava essere affaticata da una forte ansia. Era una donna magra, pallida, una donna decisa, la cui vita aspra e le fatiche infinite avevano segnato il suo volto duramente. La stessa vita che aveva piegato le spalle del marito, reso nodose le sue mani e virato i suoi capelli a un secco e polveroso grigio.

«È andato a cacciare al Cripple Cow», rispose Jerry, «volevate attraversare?»

La donna cominciò a lacrimare leggermente, mentre Spillane bestemmiò e si avvicinò alla finestra. Jerry lo seguì e guardò fuori per vedere dove fossero finiti i cavi in quella tempesta.

Era un’abitudine per gli abitanti della zona attraversare il Sacramento usando il cavo della Yellow Dragon. Pagavano poco per quel servizio, era il denaro che la Yellow Dragon usava per pagare lo stipendio di Hall.

«Dobbiamo riuscire a passare, Jerry», gli disse Spillane, e nello stesso tempo faceva un gesto con il pollice oltre la propria spalla, a indicare aìla moglie. «Suo padre è rimasto ferito a Clover Leaf. Un’esplosione. Non ce la farà. L’abbiamo appena saputo.»

Jerry rimase colpito. Sapeva che Spillane voleva attraversare usando l’impianto della Yellow Dream, ma durante l’assenza del padre non si sentiva di potersi assumere la responsabilità. Anche perché quell’impianto non era mai stato usato per i passeggeri, e non era usato da molto tempo.

«Hall, tornerà presto», disse.

Spillane scosse la testa e gli chiese: «dov’è tuo padre?»

«A San Francisco», disse Jerry.

Spillane emise un gemito e scagliò il pugno chiuso di una mano sul palmo dell’altra. Sua moglie stava piangendo più rumorosamente. Jerry riusciva a sentire il suo lamento: «papà sta morendo… morendo…»

Le lacrime gli sgorgavano dagli occhi mentre stava fermo, senza sapere cosa avrebbe dovuto fare. Ma l’uomo decise per lui.

«Guardami, ragazzo», disse l’uomo con determinazione, «mia moglie e io ora andiamo di là usando l’impianto dei tuoi! Lo azionerai per noi?»

Jerry arretrò leggermente. Lo fece senza accorgersene, come se fuggisse da qualcosa di spiacevole.

«Meglio aspettare che torni Hall», disse.

«E se non torna?»

Un’altra volta, Jerry esitò.

«Mi prendo il rischio», fece Spillane, «attraversiamo soltanto, ragazzo!»

Jerry, riluttante, fece un cenno affermativo.

«È inutile aspettare Hall», continuò Spillane,«sai meglio di noi che Hall non tornerà così presto da Cripple Cow! Andiamo, diamoci una mossa.»

Non c’era da meravigliarsi che la signora Spillane sembrasse terrorizzata mentre saliva sul carrello. Così pensava Jerry mentre fissava il baratro apparentemente insondabile sotto di lei. Pioveva così forte e c’erano così tante nuvole che si scontravano con estrema violenza, che l’altra sponda, a un paio di centinaia di metri da lui, era invisibile, e la riva scendeva a strapiombo ai loro piedi, perdendosi nel vapore turbinoso. Poteva sembrare un chilometro fin giù, piuttosto che qualche decina di metri.

«Tutto pronto?», chiese loro.

«Falla partire!», urlò Spillane per farsi udire nel frastuono del vento.

Si era spinto fin dietro alla moglie e le teneva una mano.

Jerry lo guardò scettico. «Avrete bisogno di entrambe le mani per reggervi, col vento che soffia».

L’uomo e la donna posizionarono le proprie mani di conseguenza, aggrappandosi con forza ai lati del carrello, e Jerry cominciò a lasciare il freno con cura. Il pilone cominciava a girare insieme al cavo che gli passava intorno, e il carrello scivolò lentamente sopra l’abisso, mentre le ruote giravano sul cavo al quale era sospeso.

Non era la prima volta che Jerry manovrava l’impianto, ma era la prima volta che lo faceva senza la supervisione del padre. Giocando con i freni regolò la velocità del carrello. Bisognava regolarla continuamente, perché ogni volta, preso dalla forza delle raffiche di vento, oscillava violentemente da una parte all’altra, tanto che una volta, appena prima di essere coperto da un’ondata di pioggia, sembrò quasi far cadere il suo carico umano.

Poi Jerry non ebbe più alcuna possibilità di vedere dove fosse il carrello, se non dal comportamento del cavo. Lo osservava accuratamente mentre scivolava sul pilone. «Trecento piedi», sussurrò a se stesso mentre le tacche del cavo sfilavano. «trecentocinquanta… quattrocento… quattrocentocinq…»

Il cavo si fermò. Jerry lasciò il freno, ma non si mosse nulla. Prese il cavo con le proprie mani e cominciò a tirarlo. Qualcosa era andato storto. Ma cosa? Non riusciva a capire, non riusciva a vedere. Guardando, riusciva a scorgere il carrello vuoto, che stava attraversando il fiume dalla parte opposta, alla stessa velocità di quello carico. Era a circa duecentocinquanta piedi da lui. Questo significava che, nell’oscurità grigia lì in mezzo, a duecento piedi dal fiume e a duecentocinquanta dalla sponda, Spillane e sua moglie erano rimasti fermi, e sospesi.

Jerry gridò tre volte con tutta la forza che aveva nei polmoni, ma dalla tempesta non arrivò nessuna risposta. Era impossibile per lui farsi sentire, così come era impossibile sentire. Si fermò un attimo, pensando rapidamente, e le nuvole sembrarono assottigliarsi e alzarsi. Riuscì a vedere per un attimo il letto rigonfio del Sacramento e, per un attimo ancora più breve, il carrello su cui stavano i due. Poi le nuvole ridiscesero, pesanti più di prima.

Il ragazzo esaminò da vicino la base, senza trovarci nulla che non andava. Evidentemente ad avere dei problemi era stato il suo gemello sull’altra riva. Era sconvolto dal pensiero dell’uomo e della donna, là fuori, nel mezzo della tormenta, appesi sull’abisso, basculando su e giù senza sapere che cosa diavolo stava accadendo a riva. E non gli piaceva pensare a loro mentre cercava di raggiungere l’altro pilone, sull’altra sponda, usando l’impianto del Yellow Dragon.

Poi però si ricordò della carrucola nella casetta degli attrezzi e andò a prenderla. Ce n’erano due, e si disse «un colpo da quattro» mentre portava la carrucola velocemente verso il cavo infinito. Poi glielo gettò sopra, le lanciò fino a quando non ebbe l’impressione che le sue braccia si disarticolassero e che i muscoli delle sue spalle non si strappassero. Ma il cavo non si mosse. Non rimaneva altro da fare che attraversare il fiume e arrivare all’altra sponda.

Era già completamente bagnato e non si curò della pioggia mentre correva verso l’impianto della Yellow Dragon. La tempesta era a suo favore, e non fu molto complicato, sebbene non ci fosse Hall dall’altro capo per manovrare i freni e regolare la velocità del carrello. Ce la fece da solo, in ogni caso, usando una fune tozza che aveva fatto passare, con un giro, sopra il cavo.

Quando tutta la forza del vento lo colpì in aria, facendo ondeggiare il cavo, soffiando e ruggendo intorno ad esso, con il carrello colpito che sbandava, capì molto meglio come dovevano sentirsi il signor Spillane e sua moglie. E questo gli diede più forza, e non appena fu sull’altra sponda, cominciò a salire la riva, nel pieno della tempesta, verso l’impianto della Yellow Dream.

Con costernazione non trovò nulla che non andava nel pilone. Tutto funzionava perfettamente da entrambi i lati. Dov’era il problema? Be’, senza dubbio in mezzo.

Da quella sponda, il carrello su cui erano gli Spillane distava duecentocinquanta piedi. Riusciva a intravedere l’uomo e la donna attraverso il vapore, rannicchiati sul fondo del carrello, esposti alla pioggia battente e alla furia del vento. In un momento di quiete tra due raffiche urlò a Spillane di controllare lo stato del carrello.

Spillane aveva sentito. Lo vide mettersi cautamente sulle ginocchia e alzare le braccia verso l’attaccatura del carrello. Poi si girò verso la sponda.

«È tutto a posto, ragazzo!»

Jerry sentì le sue parole, indistinte e lontane, come se provenissero da una distanza remota. Quindi qual era il problema? L’unica cosa che restava era il carrello vuoto. non poteva vederlo, ma sapeva che era lì, da qualche parte nel mezzo di quell’abisso, circa duecento piedi più in là del carrello degli Spillane.

La sua mente si mise subito a frullare. Era appena un quattordicenne, agile e atletico, ma era cresciuto tra quelle montagne, suo padre gli aveva insegnato l’arte del marinaio e non aveva particolarmente paura dell’altezza.

Nella cassetta degli attrezzi vicino al pilone trovò una cuneo inglese, una barra di ferro e una pertica di ottima fune di Manila nuova. Si guardò intorno invano alla ricerca di una tavola per poter costruire una “sedia del nostromo”. Non c’era nulla a portata di mano se non delle grandi tavole che non aveva strumenti per tagliare, così si vide costretto a fare a meno della più comoda delle selle.

La sella che riuscì a costruire era piuttosto semplice. Fece fare alla fune un largo giro attorno al cavo al quale era appeso il carrello vuoto. Quando si sedette sulla corda, le sue mani riuscivano a mala pena a raggiungere il cavo, e dove la fune rischiava sfilacciando sul cavo, Jerry usò anche la propria giacca, come avrebbe fatto con i vecchio sacco che avrebbe usato se fosse stato capace di trovarne uno.

Una volta ultimati questi preparativi, scivolò fuori, sull’abisso, sedendosi sul cavo e tirandosi con le mani. Con lui aveva la cuneo inglese, la piccola barra di ferro e poca corda di riserva. Era leggermente in salita, ma non se accorse più di tanto grazie al vento. Quando le raffiche furiose lo sballonzolavano da una parte all’altra, qualche volta quasi facendolo ribaltare, e guardava giù, in basso, nelle profondità grigie, sapeva bene di avere paura. Era un vecchio impianto. Cosa sarebbe successo se avesse ceduto a causa del peso e del forte vento?

Era paura quella che stava provando, una onesta paura. Si rese conto di sentire un senso di morte allo stomaco e un tremore alle ginocchia che non riusciva a trattenere.

Ma Jerry fu risoluto e coraggioso fino all’obiettivo. Il cavo era vecchio e consumato, dalla superficie uscivano pezzi taglienti di metallo e le sue mani erano tagliate e sanguinanti ora della prima pausa. Ebbe una conversazione urlando con Spillane. Il carrello era esattamente di fianco a lui, a soli cinque o sei piedi di distanza, e Jerry ebbe modo di spiegare la situazione.

«Vorrei poterti aiutare», gli urlò Spillane, «ma mia moglie è a pezzi! In ogni caso, ragazzo, stai attento! Mi sono infilato io in questo pasticcio, ma ora tocca a te tirarmi fuori!»

«E lo farò!», gli urlò Jerry di riposta, «dica alla sua signora che sarà finita in men che non si dica!»

Nonostante la tempesta quasi lo aveva accecato, ondeggiando da una parte all’altra quasi fosse un pendolo, le sue mani lacerate gli facevano un gran male e i suoi polmoni faticavano a respirare, come ogni volta che una folata di vento gli soffiava dritta in bocca con una forza devastante, finalmente arrivò al carrello.

Un singolo colpo d’occhi gli bastò ad assicurarsi che non aveva intrapreso quel pericolosissimo percorso invano. La ruota anteriore, allentata, era scivolata fuori dal cavo e il cavo stesso si era incastrato tra la ruota e la puleggia.

Una cosa sembrava chiara: la ruota doveva essere sbloccata. E anche una seconda cosa era molto chiara: mentre la ruota veniva sbloccata, il carrello doveva essere assicurato al cavo dalla fune che si era portato dietro.

Nel giro di un quarto d’ora, oltre all’aver messo in sicurezza il carrello, non aveva ancora fatto nulla. La cuneo che teneva le ruote in asse era incastrata e arrugginita. La martellò con una mano e la afferrò con l’altra al meglio che poteva, ma il vento persisteva nel farlo ondeggiare e ribaltare, soffiando con ancora più continuità di prima. Nove decimi dello sforzo che fece, lo fece provando a legarsi saldamente. Per paura di perdere la cuneo inglese, se la legò al polso con il fazzoletto.

Dopo mezz’ora, Jerry era riuscito ad afferrare la cuneo, ma non riusciva a sbloccarla. Andò vicino a mollare per la disperazione almeno una dozzina di volte, come se tutto il pericolo e la fatica fatta fino a quel momento fosse passata invano. Quindi ebbe un’idea. Ravanò nelle tasche con frenesia e alla fine trovò ciò a cui stava pensando: un chiodo da dieci penny.

Per quel chiodo, messo in tasca chissà quando e chissà perché, avrebbe potuto ritrovarsi a dover fare due viaggi sul cavo. Cerco di far leva con il chiodo sulla cuneo e alla fine trovò l’appoggio. In men che non si dica la cuneo era fuori.

Poi cominciò a picchiare con la barra di ferro per liberare la ruota dal punto in cui si era incastrata, tra il cavo e il freno. Dopo che ebbe rimesso al suo posto al ruota, usando la fune la tirò su fino a quando non riuscì a rimetterla in carreggiata.

Tutto questo prese tempo. Era passata più di un’ora e mezza da quando era arrivato sul carrello vuoto. E ora, per la prima volta, scese dal suo seggiolino di corda e si calò nel carrello. Tolse la corda e le ruote ricominciarono a muoversi lentamente. Anche il carrello si muoveva, e Jerry seppe subito che da qualche parte, dietro di lui, anche se non poteva vederlo, il carrello degli Spillane aveva ricominciato a muoversi anche lui, in direzione opposta.

Non c’era bisogno di frenare, visto che il suo peso bilanciava abbastanza quello dell’altro carrello, e ben presto rivide la parete riemergere dalla profondità delle nuvole e il familiare pilone dell’impianto finalmente in moto.

Jerry si arrampicò fuori e assicurò il carrello velocemente. Lo fece con cura e con attenzione, poi, un po’ poco eroicamente, si accasciò vicino al pilone, senza curarsi della tempesta, ed esplose a singhiozzare.

Aveva tanti motivi per cui piangere: un po’ per il dolore alle mani, che era lancinante; un o’ per la stanchezza, un po’ per il calo di tensione, tensione a cui era stato sottoposto per un bel pezzo, ma anche, e in larga misura, per il sollievo di aver salvato l’uomo e la donna.

Non erano lì a ringraziarlo. Ma da qualche parte, oltre quell’ululante abisso tempestoso, Jerry sapeva che i due i stavano sbringando lungo la strada che portava a Clover Leaf.

Jerry si diresse verso la cabina, e, quando aprì la porta, lasciò con la mano un segno rosso sulla maniglia bianca. Non se ne accorse.

Era così tanto fiero di se stesso, perché era certo di essersela cavata alla grande ed era abbastanza onesto da ammetterlo a se stesso. Ma un piccolo rimpianto si fece largo e si fissò nei suoi pensieri: se solo suo padre fosse stato lì a vedere!

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