Non solo Tavecchio: tutti i razzismi d’Italia

Non solo Tavecchio: tutti i razzismi d’Italia

Saggezza popolare vuole che il pesce puzzi dalla testa. E se c’è il candidato di punta alla presidenza della Federazione italiana giuoco calcio, Carlo Tavecchio, che se ne esce dicendo «Opti Poba è venuto qua che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio», chissà cosa penseranno gli altri italiani, che il calcio lo seguono (e non poco). Non bastano certo le 14mila firme raccolte in un solo giorno sulla piattaforma change.org per la campagna #Tavecchioritirati per fare dell’Italia un Paese non razzista. D’altronde lo avevamo già visto con l’arrivo di Cecile Kyenge al governo, primo ministro di colore in Italia, colpita dalle banane durante una festa del Pd, oltre che dall’accostamento con un “orango” da parte dell’attuale vicepresidente del Senato nonché membro della Commissione affari costituzionali che oggi sta riformando il nostro bicameralismo. Senza dimenticare il caso Balotelli che, al di là delle “balotellate”, è stato più volte apostrofato dagli stessi tifosi come “negro di m…”

Ma oltre alle cronache, lo dicono anche i dati. Secondo una recente indagine di Pew Research, l’Italia sarebbe addirittura uno dei Paesi più razzisti d’Europa: l’85% mostra un atteggiamento negativo nei confronti di rom e nomadi (la percentuale più alta d’Europa), il 63% nei confronti dei musulmani (anche questa in testa all’Ue), mentre il 24% non vede di buon occhio gli ebrei (in questo ci superano solo Grecia e Polonia). 

Percentuale di rom che hanno subito una discriminazione mentre cercavano un lavoro

Atteggiamenti confermati dall’Unar, Ufficio antidiscriminazioni razziali del governo italiano, che ha criticato le dichiarazioni di Tavecchio. «I migranti sono portatori di differenze che non raramente suscitano resistenze o aperta opposizione», si legge nel dossier statistico, «in particolare quando i tratti esteriori ne rendono evidente l’origine straniera o quando professano religioni diverse e con una spiccata visibilità nello spazio pubblico (come l’Islam)». I rom, circa 150mila tra italiani e stranieri, sono l’emblema della stigmatizzazione, oltre che di condizioni di vita di emarginazione e ghettizzazione: la metà dei bambini rom in Italia lascia la scuola nel passaggio dalle elementari alle medie e sono solo 134 quelli iscritti nelle scuole superiori italiane. 

(Razzismo ad escludendum/Flickr/di Italo losero)

Ma anche gli altri stranieri non se la passano bene: trovare una casa in affitto, ad esempio, per un immigrato in Italia è molto difficile, e se si riesce a trovare, magari è in un’area degradata città, e con contratti non sempre regolari. Nell’insieme si stima che circa il 20% degli immigrati nel nostro Paese vive in condizioni di disagio e precarietà.

Senza contare il lavoro: l’80% delle discriminazioni razziali sul lavoro avviene in forma diretta, senza troppe mezze misure, e spesso accompagnate da molestie. Il 41,2% degli occupati stranieri è sottoinquadrato, cioè svolge una mansione più bassa di quanto il suo titolo di studio richiederebbe. Con la crisi, poi, è aumentato il «lavoro sommerso», e si è acuito il «lavoro sfruttato e paraschiavistico». Non è un caso, forse, che tra gli immigrati vi sia una elevata incidenza di infortuni (il 15,9% del totale), senza parlare dei cosiddetti “infortuni invisibili” non denunciati: 164mila in tutto secondo l’Inail. Come riporta lo Shadow Report dell’Enar (European Network Against Racism), in Italia le minoranza etniche lavorano nei cosiddetti 3D-jobs and sectors, dangerous, dirty and demeaning (pericolosi, sporchi eumilianti): il 34% degli stranieri è impiegato in lavori poco qualificati, mentre tra gli italiani la percentuale si ferma all’8 per cento.

Pure la scuola non aiuta. Causa anche una carenza di risorse economiche e professionali, gli interventi di sostegno per l’apprendimento della lingua italiana per i nuovi arrivati sono scarsissimi. Anche gli orientamenti sono selettivi: l’80,7% degli stranieri è concentrato negli istituti tecnici e professionali.

Per quanto riguarda la sanità, non tutte le regioni (solo sei nel 2013) hanno formalmente ratificato l’accordo approvato nella Conferenza Stato Regioni per superare le disuguaglianze nell’accesso degli immigrati ai servizi sanitari. Ed esistono ancora molte difficoltà nell’accesso a prestazioni sociali come bonus bebè o gli assegni per le famiglie numerose, nonostante su questi temi sia intervenuta una legge europea (la n.97 del 2013) che ha sancito che non devono esistere ostacoli al pubblico impiego né restrizioni per l’accesso alle prestazioni assistenziali.

Ma oltre alle discriminazioni dirette, secondo l’Enar, bisogna parlare anche di «un razzismo quotidiano diffuso e crescente che consiste in atteggiamenti, comportamenti, modi di relazionarsi umilianti e inferiorizzanti». Dove? Nell’accesso ai pubblici esercizi, nel controllo dei documenti, nelle perquisizioni e nelle verifiche amministrative. E anche nello sport, guarda un po’: nel campionato di calcio 2012-2013 gli episodi di razzismo che hanno coinvolto le tifoserie sono stati 699, con ammende pari a quasi mezzo milione di euro e 29 società coinvolte.

(Razzismo a Roma/Flickr/da Cau Napoli Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli)

I dati del contact center dell’Unar parlano di quasi mille segnalazioni (959) per discriminazioni etnico-razziali arrivate nel 2013, il 79,6% delle quali è risultato essere un effettivo episodio di discriminazione. Solo nei primi due mesi e mezzo del 2014 (dati al 17 marzo 2014) nell’archivio dell’Unar erano presenti 38 casi segnalati. Un terzo dei casi arriva dal Centro Italia, dal Nord arriva quasi il 55% delle segnalazioni. Più contenute le discriminazioni provenienti dal Meridione (11,3%). Dati che chiaramente risentono della distribuzione della popolazione straniera sul territorio italiano, con le regioni del Centro-Nord che ospitano numeri superiori di cittadini di origine straniera. Soffermandosi invece sulle città, i primi due posti sono occupati dalle due più grandi metropoli italiane, Roma e Milano, seguite da una piccola provincia come Rovigo. «Il dato», scrivono dall’Unar, «può essere anche letto in termini di diffusione della cultura dell’antidiscriminazione, una cultura che sembra farsi spazio, non solo nelle grandi città, ma anche nell’Italia profonda».

Da dove arrivano le segnalazioni di discriminazioni

Segnalazioni di discriminazioni per regione

Nel 2013 le denunce per discriminazioni dirette sono state il 64% del totale, percentuale alla quale bisogna aggiungere il 20,7% di comportamenti discriminatori diretti con l’aggravante delle molestie. Le discriminazioni indirette, più difficili da riconoscere e quindi da denunciare, sono invece solo il 10,9 per cento.

Tipo di discriminazioni segnalate

Riguardo alle persone che hanno segnalato casi di discriminazione, nel caso si tratti di testimoni, il 64,4% è di origine italiana. Anche tra le vittime di discriminazione, gli italiani sono la percentuale più alta (26,5%), seguiti da persone di origine marocchina e rumena. «Questo dato», dicono dall’Unar, «dimostra, in positivo, come il principio della parità di trattamento stia entrando a far parte del patrimonio culturale di cittadini italiani, sempre più protagonisti attivi della realtà multietnica del nostro Paese». Per quanto riguarda invece gli ambiti di discriminazione, in testa si trovano i media (34,2%), seguiti dalla vita pubblica (20,4%) e dal tempo libero (11,4%). E nel tempo libero, guarda caso, c’entra anche lo sport.

Ambito delle discriminazioni segnalate

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