Alla fine Roche e Novartis hanno deciso di pagare la maximulta di 180 milioni di euro (90,5 milioni a carico della prima e 92 milioni di Novartis) imposta dall’Antitrust per il caso Avastin-Lucentis (le due aziende si sarebbero accordate, secondo il Pm Guariniello, per bloccare la diffusione del farmaco più economico). Ammissione di colpa da parte delle due aziende farmaceutiche? Non proprio: «Il pagamento non implica il riconoscimento di alcuna responsabilità da parte di Roche – spiega l’azienda in una nota – che conferma la totale fiducia nella fondatezza delle proprie ragioni e nell’esito positivo del giudizio del Tar Lazio, confortata anche dall’orientamento assunto dal Consiglio Superiore di Sanità, che ha ribadito la differenza tra ranibizumab e bevacizumab, stabilendo rigorose condizioni per l’utilizzo di quest’ultimo in campo oftalmologico». Una mossa per non dover pagare gli interessi sulla sanzione, come continua il colosso svizzero, anche perché «se il Tar del Lazio dovesse darci ragione il pagamento ci verrebbe restituito».
A voler cercare di capire come sono andate le cose (per quanto si possa) bisogna andare indietro alla metà degli anni ’90, quando la Genentech, una società specializzata in attività biotecnologiche (allora non ancora di proprietà della Roche), inizia a sviluppare il bevacizumab, nel 2004 entrato in commercio con il nome di Avastin: un anticorpo monoclonale che ha come target un fattore di crescita vascolare implicato nella crescita tumorale. Poco dopo ci si accorge che a livello oculare lo stesso fattore è coinvolto nello sviluppo della maculopatia della retina. «Il farmaco però – come spiega Federico Pantellini, responsabile medico del settore oncologico Roche, a Linkiesta – non aveva le caratteristiche specifiche per l’iniezione intraoculare. Era stato sviluppato per il trattamento di neoplasie e perciò per essere somministrato per via endovenosa, in modo da poter raggiungere il tumore. Per lo stesso motivo fu ideato con un’emivita, cioè un tempo di permanenza nel circolo sanguigno, molto lunga, di circa 21 giorni, in modo da arrivare fino alle metastasi».
La difesa di Roche: “avevamo una molecola efficace ma con troppi effetti collaterali”
Benché il bevacizumab avesse un effetto farmacologico sulla maculopatia retinica, non era però il farmaco adatto per la cura della patologia, come continua a spiegare Pantellini: «Avevamo una molecola che poteva essere efficace, ma che sin dalle prime ricerche appariva di dimensioni troppo elevate per l’utilizzo intraoculare, con difficoltà di penetrazione nella retina, passaggio non ottimale a livello dell’occhio e il rischio di sviluppare reazioni infettive e infiammatorie a livello oculare per via della grandezza della molecola. In considerazione delle caratteristiche specifiche di bevacizumab, era inoltre molto elevata la probabilità che la permanenza in circolo prolungata del farmaco causasse possibili effetti collaterali che potevano mettere a rischio i pazienti con patologie diverse dal tumore. In base a questo si è deciso che non era il farmaco giusto per il trattamento della maculopatia retinica, e di sviluppare il ranibizumab».
Genentech perciò, un paio di anni dopo (nel 1996) aver avviato gli studi su Avastin, inizia a sviluppare un’altra molecola, il ranibizumab appunto, entrato in commercio nel 2006 con il nome di Lucentis, che differisce dal bevacizumab per dimensioni, via di somministrazione ed emivita. Si tratta di un frammento di anticorpo monoclonale (derivato dal bevacizumab), adatto anche alla somministrazione intraoculare. Nel 2009 la Roche acquisisce completamente Genentech e di conseguenza i due farmaci, ma decide di commercializzare solo bevacizumab, farmaco oncologico, settore in cui l’azienda è particolarmente forte; mentre cede il diritto di vendita del ranibizumab (in tutto il mondo tranne che negli Stati Uniti) alla Novartis.
Prima dell’arrivo di Lucentis sul mercato quindi, Avastin, nonostante sia un farmaco antitumorale, viene usato “fuori indicazione” (off label) per uso oftalmico, opportunamente preparato e rielaborato dai farmacisti che, a partire da Avastin venduto da Roche, allestiscono per gli oculisti una diversa preparazione galenica a base di bevacizumab. Nel 2012 però l’European Medicines Agency (Ema), l’Ente regolatorio europeo, decide di inserire nel foglio illustrativo di Avastin i rischi connessi all’utilizzo non autorizzato nella maculopatia, in seguito a una serie di eventi avversi segnalati dai medici che prescrivono il farmaco e raccolti dall’azienda fornitrice del farmaco, secondo il processo di farmaco vigilanza. «La Commissione Tecnico Scientifica dell’Aifa decise, nel dicembre del 2012, di escludere Avastin per l’uso intravitreale off label (ovvero per indicazione non autorizzata) dalla lista dei farmaci erogabili a carico del Ssn secondo la Legge 648/96, basandosi sui rischi di sicurezza del medicinale richiamati da Ema e dalla concomitante presenza di un farmaco (Lucentis) specificamente studiato e registrato per l’uso intravitreale» si legge sul sito dell’Aifa.
L’accusa: Roche avrebbe modificato in maniera artificiosa il profilo di sicurezza di Avastin, spingendo per l’utilizzo del Lucentis più costoso
Da qui la prima accusa di “allarmismo”, secondo cui Roche avrebbe modificato in maniera artificiosa il profilo di sicurezza di Avastin, rendendolo più pericoloso agli occhi di medici e servizi sanitari, spingendo per l’utilizzo del Lucentis più costoso. La multinazionale svizzera dal canto suo afferma che la segnalazione di eventi avversi all’Ema e la modifica del foglietto illustrativo in base a questi (la differenziazione artificiosa), altro non sono che processi obbligatori alla luce della normativa comunitara nazionale. «Ogni farmaco è sottoposto a un processo di segnalazione di eventi avversi da parte dei medici, sia che lo si utilizzi secondo le indicazioni che off label», afferma Fausto Massimino, legale Roche. «Tutte le segnalazioni vengono poi recepite a livello della rete di farmacovigilanza, e arrivano a Roche che le consolida ed è tenuta obbligatoriamente a richiedere all’Ema di modificare il rapporto rischio e beneficio e il foglietto illustrativo se necessario. La domanda di modifica del foglietto viene sottoposta all’Agenzia europea che ha piena facoltà di decidere se respingerla o meno. La decisione definitiva quindi l’ha presa l’Ema e l’ha fatto perché l’ha ritenuto necessario per la tutale dei pazienti».
Un altro punto chiave che la Roche tiene a sottolineare è l’interferenza da parte dell’Antitrust nell’operato dell’Ema. «Sostenendo che la modifica del foglietto illustrativo non andava fatta perché crea un allarmismo artificioso è come se dicesse che l’Ema ha sbagliato ad accettare la modifica. Ma in questo modo si attribuisce un peso scientifico superiore all’Antitrust rispetto a quello che deve avere l’autorità del farmaco» continua il legale di Roche. «E in Europa infatti c’è parecchia preoccupazione per quello che sta succedendo in Italia: questo sconvolgimento dei poteri non è passato inosservato».
All’accusa di aver fatto cartello, Roche risponde che Novartis ha solo il 6% del suo capitale e non ne influenza le decisioni
Tra le altre cose Roche è stata accusata di aver fatto cartello con Novartis perché ha un interesse ad aumentare le vendite del Lucentis, in quanto attraverso la sua controllata Genentech ottiene su di esse rilevanti royalties da Novartis. Novartis inoltre, sembra detenere il 30% delle azioni Roche, ricavando a sua volta profitti tramite royalties, oltre che dall’incremento delle vendite di Lucentis. Il colosso svizzero si difende ancora una volta affermando che Novartis non detiene il 30% del capitale azionario di Roche, ma di un tipo particolare di azioni. «Roche ha più categorie di azioni: Novartis detiene il 30% delle sole azioni al portatore, che nel capitale totale di Roche rappresentano appena il 6 per cento. Per questo Novartis non influenza le decisioni di Roche, non nomina alcun consigliere di amministrazione e non guadagna come si vuole far credere» spiega ancora Massimino.
Il Consiglio Superiore di Sanità
Per il Consiglio Superiore di Sanità benché i due farmaci siano diversi non sono state riscontrate differenze significative sulla sicurezza
Per cercare di fare chiarezza sul caso, lo scorso 15 maggio è intervenuto anche il Consiglio Superiore di Sanità, che alla fine ha dichiarato che «i due farmaci sono diversi per struttura, farmacologia e indicazioni approvate». Ma gli esperti hanno anche aggiunto che «i dati attualmente valutabili dalla comunità scientifica evidenziano che il Lucentis e l’Avastin, pur nella diversità strutturale e farmacologica delle molecole, non presentano differenze statisticamente significative dal punto di vista dell’efficacia e della sicurezza nella terapia della degenerazione maculare senile». In pratica benché siano diversi non sono state riscontrate differenze significative sulla sicurezza, in quanto non esistono studi che possano fornire indicazioni statisticamente definitive, anche se, come ha sottolineato Roche e diversi scienziati italiani, secondo il metodo scientifico non è tanto l’assenza di prove a essere determinante quanto la presenza. In una situazione di incertezza in merito alla reale sicurezza di bevacizumab a uso intraoculare il Consiglio superiore di sanità ha concluso che il farmaco meno costoso, e cioè la preparazione galenica magistrale derivata da Avastin, da ora in poi potrà essere usata solo in centri di alta specializzazione per monitorare la sicurezza del farmaco attraverso registri dove segnare gli eventi avversi riconducibili al suo utilizzo, rafforzando così la farmacovigilanza sull’Avastin.
Per quanto riguarda il prezzo infine, occorre ricordare che prima dell’approvazione di Lucentis veniva utilizzato Avastin perché non c’erano altre cure disponibili, ma non era stato approvato per la maculopatia. Il farmaco non aveva quindi superato tutta una serie di procedure che dovevano verificarne efficacia e sicurezza. In pratica era il medico a valutare rischi e benefici dell’usare un farmaco non approvato per quell’indicazione e assumersi la responsabilità dell’utilizzo di Avastin, possibilmente informando anche il paziente dei rischi. Quando nel 2008 Lucentis arriva sul mercato italiano il suo costo è elevato, come spesso capita per tutti i farmaci innovativi, soprattutto quando rappresenta l’unica cura disponibile. «L’agenzia regolatoria del farmaco quando ha stabilito il prezzo, ha tenuto conto sia dell’innovazione, perché era il primo farmaco con un dossier di studi completo, e delle caratteristiche di sicurezza e qualità idonee; sia dei soldi investiti per la ricerca e lo sviluppo del farmaco» precisa il legale Roche. «Se avessimo deciso di registrare bevacizumab per la stessa indicazione, avrebbe avuto lo stesso prezzo perché registrare un farmaco seguendo tutto il processo di validazione e registrazione è molto costoso, e l’azienda produttrice poi deve recuperare i soldi investiti. Avremmo avuto due farmaci con lo stesso prezzo e per la stessa indicazione». Attualmente, quindi, l’unico prezzo di Avastin certo e riconosciuto dall’Aifa è quello per indicazioni oncologiche e i prezzi dei due farmaci non sono paragonabili perché viene confrontato un farmaco registrato, il Lucentis, che ha subito tutta una serie di verifiche e processi, con un farmaco preparato in farmacia non autorizzato e perciò privo delle spese di ricerca e sviluppo. Così inoltre c’è il pericolo che queste decisione crei un precedente, per cui si possa utilizzare un farmaco non autorizzato, bypassando il contesto normativo di riferimento europeo ed italiano, che ha lo scopo di proteggere la sicurezza dei pazienti.
Conclude Massimino che «questa vicenda consente agli oculisti, che nel settore sono in maggioranza privati, di usare il farmaco meno costoso, non autorizzato e con la benedizione dell’Antitrust che ha affermato che è equivalente a Lucentis, con il rischio che si determini una riduzione dell’informazione verso i pazienti. Finché il farmaco era nella lista 648 veniva rimborsato dalle Regioni agli ospedali, il medico poteva affermare che vi era un minimo riconoscimento da parte di Aifa dell’utilizzo non approvato. Poi nel 2012, l’Aifa ha tolto Avastin dalla lista escludendone la rimborsabilità anche per ultime minime indicazioni, fatto che – secondo quanto dichiarato dalla Società degli Oculisti – ha aumentato le responsabilità professionali a carico degli oculisti, che a quel punto dovevano spiegare ai pazienti che bevacizumab è un farmaco senza indicazione e con dei rischi. Inoltre – come affermato dall’Associazione cliniche private di day hospital – con la rimozione del bevacizumab dalla lista 648 potevano anche aumentare i costi assicurativi, perché per le assicurazioni il farmaco senza più avvallo da parte dell’Agenzia regolatoria veniva assimilato a un farmaco sperimentale, con un premio maggiore. Infine non dimentichiamoci che alcuni oculisti sottoponevano ai pazienti un modello di consenso informato che Aifa ha ritenuto ambiguo, in quanto non pienamente esauriente nell’informazione del paziente, al quale veniva comunque richiesto di dichiarare di essere a conoscenza del minor costo, ma anche degli eventuali rischi o svantaggi derivanti dal trattamento».
Luca Pani, direttore generale dell’Aifa: «sospettiamo un’associazione a delinquere mirata a non segnalare volontariamente le reazioni avverse»
Proprio di questi giorni infine è la dichiarazione di Luca Pani, direttore generale dell’Aifa, che in una nota dell’agenzia Ansa, ha affermato la sua preoccupazione per la scarsa segnalazione di avventi aversi in Italia, tanto da far pensare a un’associazione a delinquere. «L’Italia è l’unico Paese in cui non si è verificata nessuna reazione avversa all’utilizzo di Avastin per via intraoculare» spiga Pani. «In altri Stati, invece, si va dall’1% di reazioni gravi al 28% per quelle lievi. Per questo sospettiamo un’associazione a delinquere mirata a non segnalare volontariamente le reazioni avverse». Fenomeno, quello delle mancate segnalazioni di farmacovigilanza, che si ripercuote anche sulla salute dei pazienti, come ha continuato a spiegare Pani, che viene prima di tutto. «Il prezzo del farmaco, invece viene in secondo piano, ma nel caso in cui ci sia stato un cartello, chi è responsabile pagherà».