Non trova un aggettivo adeguato, Mario Sabatelli, per descrivere i risultati ottenuti dall’Ice Bucket Challenge, la campagna a sostegno della ricerca sulla Sclerosi laterale amiotrofica (Sla) divenuta virale negli Stati Uniti all’inizio di agosto, e poi arrivata anche in Italia. «Definirla incredibile è troppo poco, non basta», continua il presidente della Commissione medico scientifica di Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), «non avrei mai immaginato un risultato simile, fuori da ogni nostra precedente previsione, sia come entità della raccolta fondi, sia come sensibilizzazione della popolazione». Le regole di Ice Bucket Challenge ormai le conoscono tutti: i nominati di volta in volta devono gettarsi, o farsi gettare addosso, una secchiata di acqua ghiacciata o in alternativa fare una donazione all’Als Association in America o all’Aisla in Italia. O entrambe le cose. E stando all’associazione, per ora in Italia i fondi raccolti con le donazioni sono arrivati a un milione e 100mila euro, al 2 settembre (erano meno di mezzo milione di euro solo il 26 agosto) e l’obiettivo è di arrivare a due milioni entro il 21 settembre. «Ma quando mai siamo riusciti a raccogliere una cifra simile in cosi poco tempo?» afferma, sorridendo, Sabatelli.
Insomma al di là delle polemiche che in questi giorni hanno accompagnato le secchiate ghiacciate di alcuni personaggi famosi e non (accusati di ipocrisia e di usare l’Ice bucket challenge più come una vetrina per se stessi, che per spirito di solidarietà), chi come Sabatelli lavora nel settore è a dir poco felice per i risultati ottenuti. «Il nostro obiettivo è combattere la malattia, e questo è solo uno strumento etico per raggiungere questo scopo», aggiunge. «In Italia c’è stata un’impennata di donazioni dopo che il Presidente del consiglio Matteo Renzi, ha fatto la sua secchiata, come si fa a non dire grazie a queste persone? Non sono soddisfatto, sono felice, e come me il presidente di Aisla, e tutte le persone che lavorano nel campo». Insomma la campagna funziona, come dicono anche i numeri.
Sbagliato poi pensare che i fondi raccolti in Italia paragonati a quelli degli Stati Uniti siano poca cosa, come fa notare anche Sabatelli. Prima di tutto perché se anche la campagna fosse andata bene solo negli Stati Uniti, dove fino a ieri sono stati raccolti 80 milioni di dollari (ma oggi saranno già di più), sarebbe stata comunque un’ottima notizia. «Perché gli Usa sono al primo posto al mondo per produzione scientifica sulla Sla (seguita subito dopo dall’Italia) e 80 milioni di euro, o una parte di essi, destinati alla ricerca scientifica sulla Sla negli Usa, significa una spinta fenomenale alla ricerca». L’altra buona notizia è che a prescindere dalle donazioni, in queste settimane la conoscenza della malattia tra la popolazione è aumentata notevolmente. Altro grande traguardo, soprattutto per una malattia come la Sla, che rientra nelle malattie rare, spesso dimenticate. In Italia si stima che ne siano affette circa 3.500 persone (5.000 secondo i dati Aisla) con tre nuovi casi ogni anno ogni 100.000 abitanti, e una maggiore prevalenza della malattia in Lombardia, seguita da Campania, Lazio e Sicilia (l’Osservatorio malattie rare, ci va cauto e spiega che questa differenza potrebbe però essere dovuta a una maggiore capacità di diagnosi delle strutture ospedaliere locali). Colpisce sia maschi che femmine, con un leggera preponderanza verso i primi, in genere dopo i 50 anni, mentre è rara in età giovanile e dopo gli 80 anni. Trattandosi di una patologia poco conosciuta, Sabatelli è ben contento che si crei coscienza che questa malattia esiste. «È un ottimo risultato e sarebbe bastato già solo questo».
La cause che portano allo sviluppo della Sla sono il principale oggetto di studio dei ricercatori. Per adesso si è arrivati a capire che i fattori alla base del suo sviluppo sono diversi, e non solo uno. Nel 5-10% dei casi la malattia è dovuta a predisposizione genetica (ci sono altri casi in famiglia), mentre nel restante 90% la malattia è sporadica e non si sa ancora con certezza cosa la scateni (tra le ipotesi, eccesso di glutammato, carenza di fattori di crescita e fattori tossico ambientali) . È una malattia neurodegenerativa a decorso lento, che porta nel giro di mesi o anni alla morte dei motoneuroni, le cellule nervose che portano il segnale del movimento dal cervello fino ai muscoli. Con il loro progressivo deterioramento, la persona colpita da Sla va lentamente incontro a paralisi dei muscoli, e vengono risparmiate solo le funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali (vescicali ed intestinali). Con la conseguenza che il malato di Sla è perfettamente cosciente e vigile ma intrappolato dentro un corpo che non gli permette alcun movimento e spesso neanche di comunicare.
Il primo a descrivere la Sclerosi laterale amiotrofica fu Jean-Martin Charcot, un neurologo francese, nel 1860. Per questo la malattia prende anche il nome di malattia di Charcot, e morbo di Lou Gehrig, a ricordare il famoso giocatore di baseball americano che ne fu colpito. Ma nonostante i circa 160 anni di conoscenza della Sla, la ricerca è ancora molto giovane (è solo 20 anni che si studia in maniera seria questa malattia), e solo ora inizia a entrare nel vivo. Sulla Sla tutto ancora deve essere scoperto e scritto, a iniziare dalle cause, per arrivare attraverso esse alla terapia. «L’unico modo per combattere questa malattia, come molte altre, è conoscerla, studiarla, e per questo servono fondi. La ricerca sta facendo dei progressi eccezionali, ma tutto questo ha un costo, e senza soldi non si va da nessuna parte. In Italia siamo molto avanti, ci sono numerosi gruppi attivi in questo campo a Roma, Torino, Milano, centri d’eccellenza che lavorano e studiano la Sla con ottimi risultati. Io sono molto felice per quello che sta succedendo in questi ultimi anni, anche dal punto di vista scientifico. Stiamo producendo sempre più idee e ci stiamo avvicinando con fatica a capire i meccanismi della malattia. Che significa poi individuare dei possibili bersagli per sviluppare una terapia. Ma non so con certezza quando arriveremo a questo traguardo».
Oggi quindi non esiste una cura per la Sla, e l’unico farmaco approvato è il Riluzolo, in grado di rallentarne il decorso ma non di bloccare la malattia. Esistono poi farmaci e dispositivi (come l’apparato per la ventilazione) in grado di ridurre i sintomi e migliorare la qualità della vita dei pazienti, accrescendone comunicazione e movimento. Per questo nella gestione della Sla è fondamentale anche l’assistenza domiciliare fornita al paziente e ai familiari, con ausili tecnologici e supporto medico e non. Intanto la ricerca va avanti, e in questi anni sono partiti i primi studi clinici con terapie mirate, perché si è iniziato a conoscere qualche meccanismo genetico. Studi che sebbene non abbiano dato i risultati sperati, mostrano che siamo già in una fase avanzata. «Negli ultimi 20 anni abbiamo scoperto cose veramente interessanti soprattutto grazie alla genetica, che si ha permesso di individuare degli obiettivi sensibili per cominciare l’attacco nei confronti di questa malattia» afferma Sabatelli. «Non è una strada facile e non so quanto è lunga, ma almeno l’abbiamo trovata e una volta cominciato il cammino le prospettive diventano interessanti. L’unica cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento sono i fondi. Le idee le abbiamo, i gruppi ci sono, la volontà e l’intelligenza c’è. Si fanno dei tentativi e solo uno su centinaia sarà quello giusto ma se non proviamo e sbagliamo non ci arriveremo mai».
Un altro grande problema che riguarda la Sla è l’assistenza. Da anni per esempio i pazienti si battono per ottenere il rimborso da parte del Servizio sanitario nazionale, di dispositivi medici come i comunicatori a comando oculare e simili. «Il Ssn ci deve aiutare», conclude Sabatelli, «perché il problema è complesso su piano assistenziale. Qualche cosa si muove, ma il sostegno delle istituzioni, a partire dal ministero passando per regioni e le singole Asl, ci renderebbe la vita molto più semplice. Con buona volontà si potrebbero destinare un po’ più di soldi per la gestione dell’assistenza di questi pazienti». In questo senso una buona proposta arriva dalla regione Toscana che, proprio a seguito della campagna Ice bucket challenge, ha deciso di rivedere politiche sanitarie di assistenza e sostegno ai malati di Sla e delle loro famiglie, a di aumentare i fondi destinati a questi pazienti. Ma molto anche in questo senso, resta da fare.